Omelia (06-05-2018)
diac. Vito Calella
Dal "Ti do se tu mi dai" al "Do agli altri, perché tu mi hai dato"

Siamo impastati di due sguardi: uno controllore, un altro accogliente.
Il nostro vivere dipende dallo sguardo degli occhi. Se la vita è una corsa dalla mattina alla notte, i nostri occhi diventano servi del nostro tatto. Rischiamo di fare con-tatto con le cose e soprattutto con le persone che incontriamo, solo per sentire gratificazioni personali, solo per manipolare oggetti e persone a nostro uso e consumo, solo per controllare i nostri progetti a corta scadenza, solo per difendere la nostra autonomia incondizionata. Rischiamo di essere guidati dal nostro "io", fieri e illusi della nostra libertà individuale, che riduce tutte le nostre inevitabili relazioni con le persone secondo il comandamento del «io ti do se tu mi dai».
Se invece consideriamo l'importanza del «rimanere», cioè cominciamo finalmente a dimorare, a fermarci, a ritagliare spazi essenziali di silenzio interiore, giorno dopo giorno, i nostri occhi imparano a diventare servi dell'ascolto. Cominciamo a guardare ascoltando, accogliendo, ricevendo senza guardare dominando, controllando, manipolando cose e persone.
Cambia il nostro sguardo.
Il dimorare di Gesù con lo sguardo rivolto all'ascolto del Padre.
Impariamo da Gesù, nostro Signore, che per noi è oggi il Risorto. Gli occhi di Gesù di Nazareth erano il riflesso della sua anima, sempre in ascolto della volontà del Padre: Lui nel Padre, il Padre in Lui, una relazione che sapeva coltivare nei momenti privilegiati di silenzio, di un voler dimorare, uno stare senza lasciarsi travolgere dal fare, dal predicare, dal realizzare la sua missione, fatta di tanta strada e di tanti incontri. Gesù sapeva rimanere nell'amore del Padre e coltivava questo "dimorare" nel silenzio della sua preghiera. Gesù «osservava i comandamenti del Padre suo e dimorava nel suo amore». Nel silenzio ascoltava, custodiva nel suo cuore e nella sua mente i comandamenti del Padre suo, osservava, cioè guardava con l'ascolto, nel suo pregare faceva esercizio di ascolto della Parola delle Scritture per interpretare la volontà del Padre, osservava così i suoi comandamenti. La sua libertà non era esaltazione di una autonomia incondizionata da difendere in contrapposizione ala libertà degli altri. Era una libertà basata sulla scelta fondamentale dell'accoglienza di un'altra libertà: l'iniziativa d'amore gratuito del Padre, che si donava a lui continuamente. In fondo dire "volontà del Padre" voleva dire riconoscere di essere amati per primi, scoprire di essere Figlio amato, costantemente rivestito dell'amore del Padre per lui, un amore che non richiedeva un ritorno al Padre, ma un dono agli altri, non più secondo la legge del «io ti do se tu mi dai», ma del «Io do perché tu dai agli altri»: «Come il Padre mi ha amato, così io ho amato voi». Ecco la volontà del Padre, la legge della libertà del Padre, il comandamento dell'iniziativa dell'amore gratuito: Io mi dono a te, ma tu donati agli altri, non ritornare a me l'amore che ti ho dato. Io, che sono «Amore», do me stesso a te, ma non pretendo che tu mi devolva questo amore, voglio che tu lo riversi per gli altri.
Il nostro dimorare con Gesù per amarci gli uni gli altri.
Facciamo come Gesù, che dimorava, rimaneva nel Padre. Dimoriamo in Cristo! Ritagliamoci tempi di preghiera durante la giornata. Sono i tempi e gli spazi che faranno la qualità della nostra vita nel nostro correre dietro a tutti gli impegni e programmi della nostra agenda, regolata dall'implacabilità dell'orologio, del tempo quantitativo che scorre senza fermarsi mai. Dimorare in Gesù Cristo significa accogliere il dono dell'amore di Dio Padre per noi: «In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati». Nella preghiera lasciamoci stupire dal mistero della sua morte, sepoltura e risurrezione per noi. Lasciamoci rivestire della gratuità dell'amore divino, che ci salva senza pretendere nulla in cambio. L'amore gratuito di Dio viene incontro a noi. Ci incontra nella nostra condizione di peccatori, di gente affannata nel credere, travolta nel turbine della sofferenza e del limite fragilissimo della condizione umana: siamo peccatori già perdonati, siamo pellegrini in ricerca di senso, già raggiunti da un Amico, il Cristo risorto che cammina con noi. Spesso non ci rendiamo conto di questa presenza amica del Risorto, a causa del nostro sguardo malato, forse affranto dalla sofferenza provocata da una malattia o da una feroce ingiustizia o reso miope dalla schiavitù delle tante cose da fare. Riconoscenti del dono dell'amore gratuito di Dio, del dono dello Spirito Santo, che ci è stato dato, Gesù ci chiede di vivere il comandamento della gratuità superando il comandamento del «Io do se tu mi dai»: «Come io ho amato voi, amatevi gli uni gli altri». Come il Padre non chiede in cambio al Figlio il suo amore donato, ma chiede di donarsi all'umanità; così Gesù non chiede in cambio il suo amore riversato per noi nella sua consegna di morte di croce, ma chiede che noi doniamo l'amore ricevuto agli altri: «Do ad altri perché ho ricevuto da te».
Ecco la gioia! Un'amicizia in Cristo che si espande.
La gioia del risorto sia in noi: crediamo nel comandamento della gratuità, aderiamo alla dinamica della gratuità! Questa è la vita! Questo dà gioia! Produce gioia. Questa è la vita eterna che viene dal far prevalere nel mondo la logica della gratuità. La dinamica è questa: «Se ho ricevuto da te, non pretendere che io ti devolva il dono ricevuto; ma sappi che, profondamente grato per il tuo dono offerto a me, io mi farò dono per altri».
La gioia del risorto diventerà poco a poco pienezza di gioia tra noi, nelle nostre relazioni, perché cominceremo a vivere stupiti e pieni di gratitudine, per tanti doni ricevuti gratuitamente dagli altri, senza che noi ce lo aspettassimo. Al tempo stesso, decideremo di diventare dono per gli altri, non per chi ci ha fatto il dono, ma per gli altri, perché nessuno più, nella dinamica cristiana delle relazioni, pretenderà di ricevere un contraccambio.
La gioia piena è in fondo una misteriosa amicizia allargata sempre di più a macchia d'olio nella nostra quotidianità, perché pian piano, la dinamica della gratuità intesserà le nostre relazioni umane a partire dal dono fatto una volta per tutte, quando Gesù donò se stesso per noi nella sua morte di croce. Il nostro sguardo diventerà allora uno sguardo contemplativo, capace di gratitudine in ogni fase della vita, anche nella prova più drammatica del dolore di una perdita. Si, perché nel dolore e nel conflitto possono prevalere la solidarietà, la comunione, l'unità.
Il dono dello Spirito Santo è già stato riversato nei cuori di tutta l'umanità. Il dono fatto dal Figlio, nel mistero della sua morte, sepoltura e risurrezione, è già a disposizione nella porta del cuore di ogni essere umano. Non c'è più distinzione tra giudeo e pagano, cattolico e non cattolico. Lo stupore di Pietro e dei suoi fratelli in Cristo, a Cesarea, nella casa di Cornelio, diventi per noi uno stimolo in più per contemplare il dinamismo della libertà di Dio, della volontà di Dio: la gratuità del dono del suo amore, senza più escludere nessuno. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».