Omelia (27-04-2018)
don Cristiano Mauri
Se prometto, poi mantengo

L'annuncio della propria partenza fatto da Gesù nel contesto dell'ultima cena ha profondamente scosso i discepoli.

Lo sconforto provato, però, può essere vinto dalla fiducia. Devono affidarsi al Padre continuando ad affidarsi al Figlio, trasformando la loro fede vacillante in qualcosa di compiuto.

Le parole di incoraggiamento rivolte ai discepoli sono inquadrate da Giovanni nella tradizione che vedeva il mondo composto da due ambiti (dimore): quello terreno e quello divino.

Gesù annuncia che lascerà questo mondo ma la sua dipartita è un'ottima notizia, perché è il preludio al suo ritorno (da intendersi come quello definitivo, alla "fine dei tempi").

Questa seconda venuta corrisponderà al trasferimento dei discepoli («vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi») nella piena e perfetta comunione con Dio (la «casa del Padre»), dove saranno liberati dalla precarietà e dalla insicurezza terrene.

La morte di Gesù non chiude l'esperienza dell'essere suoi discepoli, anzi, apre lo spazio a un nuovo tratto di percorso in cui vivere un rapporto eterno e indistruttibile con la sua persona. Ciò che intendiamo come "salvezza".

La domanda di Tommaso ha la funzione retorica di spingere per un approfondimento del discorso, che infatti avviene, regalandoci alcune delle espressioni più tipiche, profonde e complesse del Vangelo di Giovanni.

Nel momento in cui Gesù si separa dai suoi, non indica una «via» da percorrere e su cui continuare a seguirlo, lui stesso «diventa la Via».

La metafora allude al tema del senso dell'esistenza e Giovanni la utilizza per affermare, dunque, che la questione del significato fondamentale della vita si risolve solo nella persona di Cristo e nel rapporto con lui.

Egli è colui che possiede il senso dell'esistenza poiché in lui c'è «verità», che nel linguaggio di Giovanni rappresenta la realtà divina.

Gesù è presenza di Dio e, proprio per questo, è anche l'unico luogo della vita vissuta in pienezza.

Non c'è modo di accedere al Padre se non per mezzo di lui.


Non c'è possibilità di pienezza di vita se non con lui.


Non c'è strada per comprendere il senso delle cose se non in lui.


Se prometto, poi mantengo

Tra le tante crisi di cui siamo testimoni in questo nostro tempo forse dovremmo aggiungere la crisi della «promessa».

Anziché essere sinonimo di garanzia e di sicurezza mi pare stia assumendo pian piano il senso contrario.

Una "promessa" sembra ormai essere ciò che, con buona probabilità, non si realizzerà.

"Promesse elettorali" è diventato sinonimo di qualcosa che tutti sanno che non verrà mai attuato.


Promettere un pagamento fa correre un brivido lungo la schiena del creditore che già intuisce di non incassare più.


Promettere un'assunzione è l'escamotage diffuso per estorcere stage e tirocini gratuiti.


La promessa di un amore eterno più che una sicurezza viene quasi presa come una minaccia.

Mi chiedo se il senso di precarietà che sperimentiamo sempre più insistentemente in questo tempo non sia una conseguenza della perdita di consistenza e di significato del promettere.

Perché la promessa è qualcosa che proietta nel futuro, che prolunga già la vita al di là dell'immediato presente, che fa avvertire la possibilità di porre il prossimo passo perché il terreno sarà solido.

Forse tutto ciò accade perché ogni promessa richiede di com-promettersi. Ogni parola data è un pezzo della propria libertà offerta all'altro, un pezzo di vita dato perché la vita futura dell'altro sia garantita.

Ci vuole coraggio.

A pensarci bene, quel senso di precarietà non è l'assenza di qualcosa di solido su cui poggiare la vita. È la mancanza di qualcuno che si com-prometta per la nostra vita.

Bello che Gesù, mentre invita alla fede i discepoli, accompagni l'incoraggiamento con una promessa: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi».

Ecco il com-promettersi: lui per loro, ma soprattutto lui con loro.

La sicurezza del futuro per i discepoli non è il posto garantito, ma Gesù garante, il suo volere per loro la vita piena, la gioia eterna.

I discepoli di Cristo sono chiamati ad essere "promettenti" nel loro stare dentro le relazioni, le situazioni, i contesti esistenziali.

Ad essere, cioè, una presenza che lotta perché la vita dell'altro sia piena, senza temere di mettere in gioco qualcosa della propria.