Omelia (28-04-2018) |
don Cristiano Mauri |
Io non ti conosco, io non so chi sei L'annuncio della propria partenza fatto da Gesù nel contesto dell'ultima cena ha profondamente scosso i discepoli. La sua dipartita è però un'ottima notizia, perché è il preludio al suo ritorno, che corrisponderà al trasferimento dei discepoli nella piena e perfetta comunione con Dio. La morte di Gesù, perciò, non chiude l'esperienza dell'essere suoi discepoli, anzi, apre lo spazio a un nuovo tratto di percorso in cui vivere un rapporto eterno e indistruttibile con la sua persona. Egli continuerà ad essere per loro «via, verità e vita», colui nel quale, cioè, trovare il senso dell'esistenza (via), comprendere la realtà divina (verità), entrare nella pienezza e nella gioia perfetta (vita). Non c'è modo di accedere al Padre se non per mezzo di lui. Non c'è possibilità di vita se non con lui. Non c'è strada per comprendere il senso delle cose se non in lui. Il malinteso di Filippo («Mostraci il Padre») permette un chiarimento ulteriore e un rinnovato invito alla fede. Il tempo trascorso con i discepoli è stato per Gesù un tempo di manifestazione e i discepoli devono rifarsi a tutto ciò che hanno vissuto con lui. Nella sua carne, nelle sue parole, nella sua umanità hanno potuto vedere il Padre e toccare con mano il suo essere «via, verità e vita». Ciò è potuto accadere perché c'è identità tra le parole e le opere di Gesù e quelle del Padre. Il Figlio è l'Inviato dal Padre, non pronuncia parole proprie né compie azioni che non siano quelle di chi l'ha mandato. La presenza di Dio in Cristo è tanto reale quanto comprensibile solo agli occhi della fede. Solo chi crede "vede" il Padre nel Figlio. La dipartita di Gesù potrebbe dunque essere un problema per i discepoli. Come, dove, quando vedranno il Padre se non potranno più ascoltare le parole e vedere le opere del Cristo? Ma la sua partenza non li priverà di tutto ciò, perché dopo la Pasqua sarà la mediazione dei discepoli a dare continuità. Essi compiranno le sue opere e ne faranno di maggiori. L'espressione «opere più grandi di queste» non va intesa nel senso di atti più maestosi, estesi, potenti o efficaci. Piuttosto, lascia intravvedere il fatto che l'agire proprio dei discepoli trova la sua pienezza e compiutezza solo con la partenza di Gesù. Il loro operare non sarà peraltro una prestazione in proprio, bensì il frutto dell'esaudimento concesso da Cristo alle loro preghiere. Il protagonista resterà lui, che proseguirà la sua azione attraverso i discepoli.
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