Omelia (13-05-2018)
fr. Massimo Rossi
Commento su Marco 16,15-20

La pagina tratta dagli Atti degli Apostoli è l'inizio del libro, e funge da sutura con l'altro testo di Luca, il terzo Evangelo. L'Ascensione del Signore segna la fine della vicenda terrena di Gesù, e l'inizio di quella della Chiesa. Non c'è soluzione di continuità, non c'è separazione tra la vita di Cristo e la vita della Chiesa.
Quello di Gesù non è un addio, ma un arrivederci! Il Verbo incarnato non ha abbandonato i suoi; la nostra relazione con Lui si è trasformata: non più fisica, ma sacramentale!
Da quando si incarnò nel grembo purissimo di Maria, il Figlio di Dio non ha più lasciato gli uomini; siamo chiamati a riconoscere la sua presenza in mezzo a noi, dentro di noi, nella forma sostanziale dello Spirito Santo; e dello Spirito Santo parleremo domenica prossima, in occasione della solennità di Pentecoste. La Chiesa distingue i diversi misteri della salvezza, e ci offre così l'occasione per riflettervi, per contemplarli, settimana dopo settimana. La distinzione tra i misteri gloriosi è un escamotage di ordine didattico, potremmo dire; il mistero di Cristo è uno...
San Giovanni fonde la risurrezione e l'ascensione in un solo atto; per il quarto Evangelista, la Pentecoste dello Spirito si realizza ai piedi della croce, al momento della morte di Gesù...
Non sembrino contraddizioni! Anche se, certo, queste discrepanze tra i quattro racconti non aiutano a comprendere i fatti... anche perché la nostra mente procede in base alla logica: in altre parole, ha bisogno di collocare i fatti in un tempo, in uno spazio...
Peccato che per il Cristo, da quella domenica di Pasqua, tutto avvenne in modo simultaneo, sincronico, contrariamente ai fatti che segnano la nostra vita, i quali si succedono l'uno dopo l'altro, in forma diacronica... e questo ne garantisce la storicità. È tipico della dimensione umana, caratterizzata dalle coordinate spazio-temporali.
Il Risorto è ormai libero dai vincoli spazio-temporali... e noi non siamo in grado di coglierlo, e neppure di raccontarlo, senza ricorrere alla finzione, pardon, alla funzione spazio-temporale!
Ecco perché le (quattro) narrazioni sono approssimative e non concordano.
E ora voliamo con la fantasia in Galilea, sul monte delle apparizioni, ove gli Undici stanno col naso all'insù a guardare il loro Signore mentre si sta alzando verso il Cielo; nessuno dubita che il paradiso sia in alto, rispetto alla terra!... Ma, anche in questo caso, si tratta di una finzione - e sottolineo, finzione - letteraria... qualcosa di simile alla descrizione del Paradiso, del Purgatorio e dell'Inferno, uscita dalla penna del poeta immortale.
Per poter credere, noi comuni mortali abbiamo bisogno di immaginare, di vedere con gli occhi della fantasia, ciò che gli occhi del corpo non possono vedere...
Siamo fatti così, tantovale accettarlo come un nostro limite...E non è il solo!
Gli apostoli guardavano dunque Gesù, che veniva portato su, sempre più su: non stento a credere che qualcuno di loro abbia sentito come un nodo in gola: chiamatelo dramma del distacco, senso di abbandono... Ne abbiamo avvertiti tanti nella nostra breve o lunga vita; taluni erano reali, altri frutto di una nostra percezione, come dire, particolarmente sensibile, forse troppo sensibile; una modalità di cogliere le relazioni, interpretando ogni allontanamento, come uno strappo, appunto, un abbandono... E gli strappi fanno sempre male! Ecco perché ci sono persone che rinunciano a legarsi a chicchessia, onde evitare il dolore del distacco, la sindrome d'abbandono.
Se appena proviamo a metterci nei panni degli Undici, il valore di quell'esperienza fu tale, che sfido chiunque, al loro posto, a non percepire il senso di vuoto, dell'assenza.
Del resto, lo stesso Signore lo aveva profetato ai farisei che gli chiedevano: "Perché i tuoi discepoli non digiunano?"; "Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? - aveva risposto - Ma verranno i giorni in cui lo sposo sarà loro violentemente strappato via e allora digiuneranno." (Mc 2,18ss.).
Ebbene, neanche allora fu consentito loro di battersi il petto e digiunare!
I giorni della Passione - tre, appena, forse quattro...- erano passati: ripeto, la presunta assenza consisteva, consiste nel fatto che i sensi esterni non percepiscono Cristo presente; ma lo percepisce la fede! o, meglio, dovrebbe percepirlo - il condizionale è d'obbligo! -.
Nel Vangelo di Giovanni, il Signore dichiara: "Vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore." (Gv 16,7).
La presenza di Cristo possiamo coglierla dentro e fuori di noi: dentro, in virtù della Grazia che ci è stata data nel Battesimo. La vocazione è il frutto maturo di questa Grazia, lo ricorda san Paolo ai cristiani di Efeso e (lo ricorda) anche a noi: alcuni sono stati chiamati all'ufficio di profeta, altri sono stati costituiti pastori, maestri; alcuni sono scelti per il matrimonio, la maternità e la paternità; altri si consacrano alla vita comune e alla missione di evangelizzazione...
Secondo la Grazia, edifichiamo non solo noi stessi, ma tutti insieme edifichiamo il corpo di Cristo. Ecco la ‘nuova' presenza di Cristo, all'indomani dell'Ascensione: siamo noi!
Il luogo della presenza di Cristo siamo noi!
Già sant'Agostino, nelle sue ‘Confessioni', dichiarava la fatica di riconoscere il Signore Dio, dopo averlo cercato per tanto, tanto tempo fuori di sé, e averlo finalmente trovato dentro di sé, invertendo per così dire il senso del cammino spirituale. Dobbiamo convertire la mente e il cuore: smettiamola di cercare Dio fuori di noi soltanto e rientriamo in noi stessi.
Ancora una volta Cristo ci mette con le spalle al muro; la fede fa appello alla nostra interiorità alla nostra coscienza, per ritrovare (in noi) il segno efficace della Grazia ricevuta un giorno, e alimentata regolarmente dai sacramenti della riconciliazione e dell'Eucaristia.
Ecco l'altro luogo di reale presenza del Cristo post pasquale.
"Allora essi partirono (...) e il Signore agiva insieme con loro."
Lavorare insieme, noi e Dio, è la condizione necessaria, l'unica possibilità che abbiamo per realizzare l'ideale evangelico, un progetto troppo alto per noi semplicemente uomini e donne...
Ce la faremo, ci riusciremo se diventeremo uomini e donne di fede.