Omelia (18-05-2017)
don Cristiano Mauri
Fantasmi cristiani

Nei versetti precedenti Gesù ha declinato il proprio rapporto con il Padre e con i suoi discepoli attraverso l'immagine ricca della Vite (Gesù), i Tralci (discepoli) e il Vignaiolo (il Padre).

«Rimanere in me» è l'invito forte fatto ai suoi, come via per restare nella cura del Padre e portare frutto nella propria vita.

In questi versetti viene rimodulato il rapporto Padre-Figlio nei termini di una relazione d'amore. È il cuore del racconto giovanneo: facendo di Gesù l'oggetto del suo amore, Dio rivela al mondo il suo vero volto, quello della sollecitudine e della generosità.

Il «come» che concatena ciò che il Padre ha fatto per il Figlio, con ciò che il Figlio ha fatto per i discepoli, dimostra che in Gesù si manifesta storicamente l'amore divino.

Sulla base di questa affermazione, il «rimanere in Gesù» dei versetti precedenti, diventa qui «dimorare nel suo amore», facendo intendere l'amore come dono ma anche come esigenza forte della vita dei discepoli: amare e insieme portare frutto sono strettamente legati.

I discepoli, dunque, non sono chiamati a rispettare un comando etico generico circa l'amore, bensì a fondare la propria vita sull'amore di Cristo che è manifestazione di Dio al mondo.

«Rimanere nel suo amore» significa concretamente essere fedeli ai suoi comandamenti (saranno in seguito riassunti nell'unico comando dell'amore) trovando in Gesù stesso e nella sua esemplare obbedienza, il paradigma e il fondamento del proprio agire.

L'obiettivo delle parole di Gesù è destare la gioia nei discepoli, non però nei termini immediati e temporanei di una semplice reazione emotiva alle affermazioni del Maestro.

Non si tratta nemmeno della gioia connessa a una riuscita individuale o a un successo di qualche genere.

La gioia è qualcosa che Cristo possiede in prima persona e che offre ai discepoli in dono perché resti sempre con loro ed essi siano nella pienezza. Motivo e radice della gioia di Gesù è indubbiamente l'amore del Padre, nel quale egli è rimasto tramite l'obbedienza.

Obbedire a Gesù (=dimorare nel suo amore) è il modo per entrare nell'amore che lui riceve dal Padre e in quella gioia che ne è il frutto più pieno.


Fantasmi cristiani

Mi ha sempre colpito e mi è sempre piaciuta la corporeità del Risorto.

Mangia, parla, guarda, cammina, si fa toccare.

Sento tutta la forza d'immagine e di significato nel Suo ritornare vivo in quel corpo, lo stesso che la Croce ha tormentato.

Non era un peso o un accessorio.

Era parte integrante del Vangelo che annunciava e che in lui accadeva.

Il volto di Dio nella carne di un uomo. Il «totalmente altro» che si svela per via di membra pesanti e terrestri.

Nulla di evanescente e di etereo.

Il Regno di Dio viene in "carne e ossa". Concreto, pratico, tangibile.

E il fatto che il Risorto riprenda un corpo fa di ciò un «come» ben preciso per vivere il discepolato.

Avverto sempre il pericolo forte di diventare un "cristiano evanescente".

Magari molte volte lo sono anche o lo sono stato.

Mi pare un pericolo di ogni discepolo del Vangelo.

Mi fa piacere riascoltare oggi quell'invito diretto, preciso, inequivocabile alla fedeltà al suo comandamento.

Credere in lui, rimanere nel suo amore è una cosa pratica e tremendamente concreta.

Il nostro essere discepoli deve letteralmente "prendere corpo".

Azioni, decisioni, prese di posizione, rapporti, parole, desideri, sentimenti, pensieri.

Tutto è chiamato in noi a "dare corpo dell'amore", quello stesso che Gesù ha ricevuto dal Padre, quello suo di cui sia ha reso destinatari, quello che noi siamo invitati a praticare in obbedienza e in perfetta imitazione.

Certo, se invece si diventa il "fantasma di un cristiano"...

C'è forse qualcuno che ancora crede ai fantasmi?