Omelia (20-05-2018) |
diac. Vito Calella |
Passività più che attività «Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gl 5,25). Il nostro vivere è un camminare. Non c'è camminare senza "prendere iniziativa". "Prendere iniziativa" è lo stesso che dire: «voglio essere libero di scegliere cosa fare e verso dove andare». La festa della Pentecoste è la festa della libertà. Ma quale libertà? Il nostro vivere quotidiano è determinato dalla due tipi di azioni: attività o passività. Per vivere la festa della Pentecoste come festa della libertà siamo chiamati a privilegiare la passività sull'attività. Il nostro vivere quotidiano è una relazione continua del nostro corpo vivente, cosciente e incosciente, con le cose e le persone che ci circondano, con il mondo della nostra vita. Se privilegiamo l'attività, il nostro sguardo verso le persone e cose, con cui veniamo a con-tatto ogni giorno, rischia di essere "consumato" e "usato" per soddisfare «le nostre passioni e desideri», perché in gioco ci sono la difesa del nostro io, («la carne»), e la vittoria della nostra sopravvivenza in questo mondo, di fronte alle invadenze degli altri e alle sfide dei nostri obiettivi, piccoli e grandi, da conquistare e dominare. Così viviamo di "attivismo", condizionati fortemente dalla nostra società che esalta la nostra autonomia incondizionata e ci costringe a correre da mattina a sera senza mai fermarci, prendendo e dominando cose, selezionando e classificando gli altri conforme il nostro esclusivo punto di vista. E quando le situazioni di separazione e sofferenza ci vengono addosso come problemi difficili da gestire, ci sentiamo oppressi, soffocati, impotenti, ribellati contro Dio e il mondo. Quante volte abbiamo la sensazione di non farcela da soli, pur avendo dato fiducia esclusivamente alla nostra capacità di "prendere iniziativa"? Ma se privilegiamo la passività, il nostro sguardo verso le stesse persone e cose, con cui veniamo a con-tatto ogni giorno, diventa uno sguardo di accoglienza, uno sguardo soprattutto di "ascolto" e meno di "tatto". Dall'ascolto della realtà, i nostri occhi si aprono ad uno sguardo nuovo perché ogni cosa, ogni persona si possono rivelare senza essere aggredite dal nostro giudizio selettivo e discriminante. L'azione più bella della "passività" è la preghiera fatta nel silenzio, nell'ascolto della parola di Dio, nell'attesa che la vita, la nostra storia ci parli. Non dimentichiamo che l'evento di Pentecoste, raccontato nel libro degli Atti degli Apostoli, avvenne in un contesto di preghiera, di ascolto, di passività di Maria e dei discepoli di Gesù. Incredibilmente si potrebbe dire che, nella passività dell'ascolto e dell'accoglienza, tutte le cose e le persone, tutte le situazioni, belle e brutte, sostenibili e insostenibili, possono rivelare la bellezza del "tutto è dono". Tutto è misteriosamente Cristificato, se crediamo nella risurrezione del Figlio di Dio. La Trinità Santa, in Cristo, è segnata per sempre dalla storia dell'umanità, nel bene e nel male. Nel male delle situazioni assurde di ingiustizia, di morte, separazione, perdita e lutto provocate dall'egoismo umano e dalla fragilità della nostra condizione fisica, c'è la presenza dello Spirito Santo in "passività", in attesa pazientissima di essere scoperto dall'uomo chiuso in se stesso, o inconsolato per non accettare il limite radicale della sua condizione umana, perché Dio rispetta profondamente la nostra libertà. Nel bene delle situazioni c'è la presenza dello Spirito Santo in "attività", che agisce con tutta la sua forza di liberazione e di vita eterna. Questa presenza misteriosa di Cristo in tutte le cose e persone è lo Spirito Santo "vento" e "fuoco". Il "forte vento" scombussola, mette tutto in disordine. Nella passività della preghiera di silenzio e ascolto, possiamo contemplare la presenza di Cristo anche nelle situazioni di crisi che attraversiamo nella vita, in quelle situazioni che scombussolano la vita, c'è "il vento forte" dello Spirito di Cristo. Anche una crisi profonda della vita può diventare rivelatrice di un senso, che magari non riusciamo a comprendere fino in fondo mentre siamo nella tempesta, mentre il vento soffia forte e mette tutto in disordine, ma possiamo sentire una presenza, senza comprenderla, senza dominarla, come il vento che soffia dove vuole ed è imprendibile, ma c'è!. Il "fuoco" riscalda, illumina, consola, nella fase di serenità della vita, ma al tempo stesso brucia, purifica, nell'ora della prova, ma in ogni situazione c'è, perché il Cristo risorto è sempre con noi, in ogni fase del nostro esistere, nel dolore e nella gioia, nell'unità e nel conflitto, nel bene e nel male. È il signore della vita e della morte! Nella passività dell'ascolto e dell'accoglienza scopriamo allora che non esiste solo la nostra libertà, non esiste solo ed esclusivamente il nostro "prendere iniziativa", non c'è solo la nostra autonomia incondizionata. Esiste anche il prendere iniziativa di Dio Padre, per mezzo del Figlio, presente nel mondo come Spirito Santo, Spirito di Amore. Tra le due iniziative, quella umana e quella divina, tra le due libertà in azione,(nel silenzio della preghiera e nell'ascolto della parola di Dio) ci rendiamo conto che prevale sempre quella divina perché ci ha preceduto e ci precede sempre: siamo già amati e salvati, così come siamo, qui ed ora, nella nostra condizione di fragilità e di peccatori. È già stata fatta la scelta di Dio Padre, per mezzo del Figlio Gesù Cristo, morto e risuscitato, di venire incontro alla nostra fragilità umana di egoismo e di limite, per la nostra salvezza e la nostra liberazione, con il dono dello Spirito Santo, già presente in ciascuno di noi. Senza la scoperta di questa presenza divina in noi, che attende in "passiva pazienza", tendiamo a far prevalere l'attivismo. Quando siamo presi dall'attivismo frenetico delle nostre azioni, senza soste di silenzio e contemplazione, siamo esposti al grande rischio di diventare potenziali promotori di "fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere» (Gl 5,19-21). Che libertà è questa, se ci può schiavizzare e schiavizza gli altri? Che libertà è questa se usiamo e gettiamo le cose della creazione, che non ci appartengono, senza rispetto? Nella passività dell'ascolto e dell'accoglienza, nel prenderci cura della preghiera del silenzio, scopriamo allora che la festa della vera libertà consiste nella scelta libera di ciascuno di noi di far coincidere il più possibile il nostro "prendere iniziativa" con "l'iniziativa divina", che attende di essere accolta. Il solo passo di lasciarci consegnare allo Spirito Santo, di lasciare che riempia i vuoti dei nostri sbagli e del vaso di terracotta della nostra fragile esistenza, fatta di relazioni unitive e separative, ci può fare sentire, senza merito nostro, la bellezza di: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé» (Gl 5, 22-23a). Certo, dobbiamo fare le nostre attività, dobbiamo agire tra mille impegni quotidiani di casa, lavoro, scuola, sport. Ma la nostra attività, segnata dalla passività del silenzio, potrà diventare «testimonianza» della verità della signoria di Cristo risorto nella nostra vita e nel mondo. Ciascuno di noi potrà dire con San Paolo: «Vivo, ma non più io, ma vive in me Cristo» (Gl 2,20a) Si, perché il nostro agire di sempre sarà accompagnato dall'agire divino in noi, dallo «Spirito di verità» che ci permetterà di testimoniare in modo creativo la maniera di incarnare la verità del Vangelo di Cristo nelle situazioni della nostra vita e della nostra storia, belle e drammatiche. Non sarà facile far prevalere la passività sull'attività, non sarà sempre scontata la nostra consegna all'iniziativa divina, la vita è una lotta in cui spesso «non facciamo quello che vogliamo» (Gl 5, 17b). Ma la fedeltà dell'Amore di Dio, di fronte ai nostri "dietro front" è garanzia che lo Spirito Santo in noi è «Paraclito» cioè "avvocato", "difensore", "consolatore". Non siamo mai soli, ma siamo felicemente e fedelmente accompagnati nelle sfide della vita e nella fatica di ricominciare dopo ogni nostra caduta. |