Omelia (05-05-2018)
don Cristiano Mauri
Complesso di normalità

Il tema di questa sequenza è l'odio del mondo (da intendersi qui come l'insieme degli uomini che si oppongono a Cristo) di cui i discepoli sono vittima.

Non si tratta di una possibilità, bensì di una dato certo e indiscutibile: i discepoli di Cristo sono oggetto d'odio.

Il verbo greco «miseo» con cui Giovanni indica l'odio in questa circostanza, richiama non solo un sentimento, ma comportamenti concreti di violenza distruttiva.

La Croce di Gesù è l'odio che prende forma concreta.

Ai discepoli Gesù non offre una consolazione con cui affrontare l'ostilità, offre invece una «conoscenza» ("sappiate"), una sapienza che li metta nelle condizioni di interpretare teologicamente la persecuzione.

Il criterio per comprendere quel che accadrà è ciò che è capitato al Maestro.

Nel suo rapporto conflittuale col mondo il discepolo rilegge la propria vicenda, comprendendo l'odio di cui è oggetto come occasione di comunanza di destino con Gesù.

Ciò non accadrebbe se i discepoli condividessero i valori del mondo, poiché il mondo «ama se stesso» e quel che gli è conforme.

Essi però hanno come fondamento della propria esistenza non il mondo ma Cristo.

È stato quest'ultimo a strapparli dai ristretti confini mondani con la parola della sua rivelazione.

I discepoli non sono separati dal mondo e odiati perché sono diversi o migliori.

Il mondo si ribella contro di loro perché essi gli appartengono, ma gli sono stati strappati.

L'odio del mondo è diretto contro Cristo, e, per partecipazione, a coloro che lui ha separato.

Dunque, ancora una volta, i discepoli sono invitati a ricordare che il modello per comprendere la loro esistenza e ciò che in essa dovranno affrontare è Gesù.

Pure nella diversità di ruoli e posizioni, essi sono stati chiamati a partecipare del suo stesso destino.

Dovranno sempre esser consapevoli che non saranno tanto le loro azioni o le loro parole a renderli invisi al mondo, bensì l'opera di rivelazione che Gesù ha compiuto, nella quale ora dimorano e che il mondo invece ha rifiutato.


Complesso di normalità.

Il «mondo» odia Cristo, non i discepoli. Essi sono odiati a causa sua, non a causa loro.

Non sono diversi, né migliori degli altri. Sono diventati di Cristo, per sua volontà.

No, non si è migliori perché si è ascoltato il Vangelo e si cerca di viverlo come si può.

Non lo si è neanche se lo si pratica alla perfezione.

Nemmeno il più grande dei santi è un uomo o una donna migliore di altri.

Un cristiano è solo uno che è stato sequestrato dal mondo per mano della Parola di Cristo.

Siamo dei rapiti da Gesù che, forse, un po', si sono lasciati rapire.

Questo ci farebbe migliori degli altri?

Questo ci dovrebbe porre in una posizione di superiorità?

Davvero i nostri tentativi spesso goffi e magari maldestri - i miei per primi, per carità! - di percorrere gli stessi passi di Cristo ci elevano per nobiltà e dignità sopra la massa di coloro che "seguono il mondo"?

No, non siamo i migliori.

Mettiamoci l'animo in pace, così magari abbiamo anche qualche ansia da prestazione in meno nel nostro vivere la fede che ci è data.

Essere cristiani è la maggior parte delle volte un colpo di fortuna, un episodio che ha girato da una parte, una situazione che ci ha indirizzato.

Roba da slidin' doors.

Poi certo, il nostro impegno, la volontà, la determinazione, la scelta consapevole. Ma anche questo possiamo considerarlo solo farina del nostro sacco?

Per essere buoni discepoli del Vangelo dovremmo essere tutti affetti da complesso di normalità.

Per riconoscere che di straordinario c'è il Vangelo, c'è la volontà di Cristo di rapirci dalle logiche mondane che nascondono il volto bello del Padre, c'è la verità della resurrezione che ci parla di una vita che sta oltre i confini del mondo.

Noi non siamo i migliori. Siamo normali. Godiamocelo.

Perché saperci rapiti da Colui che è Straordinario, sarà ancora più bello.