Omelia (27-05-2018) |
dom Luigi Gioia |
L'immersione che ci illumina Alla fine del prologo al suo vangelo Giovanni afferma: Dio nessuno lo ha mai visto (Gv 1,18). Non si tratta di un'affermazione relativa al passato, ma che vale ancora oggi: Dio resta non evidente, inaccessibile, invisibile, anche quando Gesù ce lo rivela, ce lo fa conoscere. A volte si dice che Gesù è il volto umano di Dio. In realtà questa affermazione è teologicamente errata perché Gesù è Dio stesso in mezzo a noi. Vederlo agire e ascoltarlo è vedere e ascoltare Dio. Essere toccati da Gesù è essere toccati da Dio. Essere amati da Gesù è essere amati da Dio. L'esito delle grandi controversie sull'identità di Gesù nei primi secoli dell'era cristiana è proprio questo: l'io di Gesù è quello stesso di Dio. Al tempo stesso però - e qui incontriamo il paradosso che ci introduce nel mistero della Trinità - anche vedendo Gesù, anche sentendolo, anche toccandolo ed essendo toccati da lui, Dio resta invisibile e misterioso, proprio come afferma Giovanni: nessuno lo può vedere. Ce lo confermano i discepoli che hanno vissuto con Gesù. Anche dopo la sua risurrezione, dopo aver passato quaranta giorni con lui, aver assistito ai suoi segni e ai suoi prodigi, fanno fatica a riconoscerlo: Quando lo videro si prostrarono, però dubitarono (Mt 28,17). Lo riconoscono come Signore e per questo si prostrano, ma continuano a dubitare perché Dio resta misterioso. Per conoscere Gesù come Dio e, attraverso Gesù, conoscere il Padre, per essere toccati da Dio attraverso Gesù, ci vuole qualcos'altro. In questo siamo condotti nel cuore del mistero della Trinità. Il Padre e il Figlio non bastano. Malgrado tutto quello che Gesù ha fatto per rivelarci il Padre, ci vuole ancora un'altra manifestazione di Dio che è quella dello Spirito Santo. Solo con la venuta dello Spirito Santo la conoscenza di Dio diventa possibile. Paolo afferma che possiamo gridare nei nostri cuori Abbà, padre (Rm 8,15), soltanto dopo che lo Spirito Santo ha attestato nel nostro cuore che siamo figli di Dio, soltanto dopo che è stato versato nei nostri cuori. Questo non deve sorprenderci perché Dio non è semplicemente Padre e Figlio, ma è Padre, Figlio e Spirito Santo. Quindi, conosciamo Dio non solo dopo aver sperimentato e toccato il Figlio, ma ancora dopo aver ricevuto lo Spirito Santo. Padre, Figlio e Spirito Santo non sono tre realtà che potremmo conoscere separatamente. Si tratta sempre di conoscere il Padre attraverso il Figlio per mezzo dello Spirito Santo. In Matteo Gesù afferma: Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre e colui al quale il Padre lo voglia rivelare (Mt 11,27). E Giovanni aggiunge: Lo Spirito non rivela se stesso, non parla da se stesso (Gv 16,13), ma fa conoscere Gesù. Nella Trinità parliamo di Figlio perché vi è un Padre e viceversa. Ma occorre aggiungere che non ci sarebbero Padre e Figlio senza l'amore che li unisce, che è lo Spirito Santo; per questa ragione non si può entrare in questo scambio tra il Padre e il Figlio senza aver ricevuto nei nostri cuori il loro amore reciproco, lo Spirito Santo. Solo dopo che lo Spirito ci ha resi figli nel Figlio, unendoci a Cristo possiamo gridare: Abbà, padre (Rm 8,15). Conosciamo la Trinità unicamente entrando nella sua vita, essendo inabissati, immersi in essa. Questo è il senso profondo del battesimo. Nel momento in cui ascende al cielo Gesù non dice semplicemente ai suoi discepoli: "Andate e insegnate a tutte le nazioni ciò che riguarda il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo", perché l'insegnamento solo non basta. Dio non si conosce solo attraverso parole, idee e concetti. Per conoscere Dio bisogna essere immersi in lui. Per questo Gesù dichiara: Andate dunque e fate discepoli di tutte le nazioni, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19), immergendoli nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo. Questo spiega perché i primi cristiani chiamassero il battesimo "illuminazione". Con esso si riceve la luce che ci permette di vedere ciò che non percepivamo prima. Grazie ad esso diventiamo templi dello Spirito che non solo ci fa confessare il nome del Padre, ma ce lo fa gridare: Abbiamo ricevuto lo Spirito che ci rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà, padre (Rm 8,15). Siamo diventati figli di Dio, lo sappiamo, lo sentiamo e ce ne meravigliamo. Siamo così stupiti dalla luce nuova nella quale ci troviamo immersi che abbiamo bisogno di lasciare prorompere la nostra gioia. Celebrando dunque la Trinità siamo chiamati a ricordarci che la conoscenza e la relazione con Dio non sono prima di tutto una questione di idee, di concetti, di parole, di precetti, ma consistono nell'esperienza di cui ci parla Paolo, quella dello Spirito che vive in noi e proclama Abbà, padre. Conoscere Dio è essere in lui. Per questo i momenti nei quali lo conosciamo sono quelli della preghiera, quelli cioè nei quali, come figli nel Figlio, gridiamo nello Spirito Santo: Abbà, padre. E il Padre, ancora prima che noi abbiamo invocato il suo nome, viene incontro a noi, ci prende nelle sue braccia, ci ascolta, ci esaudisce. Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, "Educati alla fiducia. Omelie sui vangeli domenicali. Anno B" ed. Dehoniane. Clicca Clicca qui |