Omelia (27-05-2018) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura delle Clarisse di Via Vitellia Dopo aver celebrato la Pasqua di Gesù in tutta la sua pienezza, fino all'effusione dello Spirito promesso, restiamo con stupore davanti alla rivelazione del nostro Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo. Detto in una sola parola: Trinità, un termine con il quale gli antichi autori cristiani e i Padri della Chiesa hanno convenuto di poter chiamare il Dio della fede cristiana, il Dio che è relazione d'amore e ama la relazione. Ce ne danno un'immagine armoniosa e sinfonica le letture di questa solennità, nelle quali dall'inizio alla fine, in modo diverso e unanime, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo mostrano il desiderio di coinvolgerci e custodirci nella loro comunione d'amore. Celebriamo la Trinità immediatamente dopo il tempo pasquale perché la sua rivelazione avviene nella luce della risurrezione di Gesù. La manifestazione di Gesù risorto ha aperto come un lampo di luce uno sguardo nuovo sull'intera realtà di Dio. I vangeli della Pasqua, con i loro diversi linguaggi e modi di raccontare, dicono in modo unanime che Gesù, dopo la morte, si è manifestato in una dimensione totalmente nuova a quelli che lo avevano seguito. Non è semplicemente ritornato alla vita di prima e non è un fantasma; non c'è dubbio che sia lui eppure non è immediatamente riconoscibile; ha una corporeità che porta i segni della passione eppure entra a porte chiuse nella stanza dove sono radunati i suoi. I testimoni cercano di dire con diverse parole la novità inesprimibile: è risorto, è stato glorificato, è esaltato alla destra di Dio... Davanti a lui si provano timore e stupore, dubbio e gioia grande, fede e incredulità, un amore che vorrebbe trattenerlo in un abbraccio e una profonda venerazione che si prostra in adorazione: sono i sentimenti che l'uomo prova di fronte a ciò che lo supera infinitamente, di fronte alla presenza del divino. Davanti al Risorto lo Spirito suggerisce un nome nuovo e sulle labbra dei discepoli affiora il titolo che prima era riservato esclusivamente a Dio: Signore! Gesù è Signore! Questa è la finestra che si apre sull'infinita luce della Trinità: Gesù il Nazareno, il crocifisso risorto, condivide in pienezza la realtà di Dio e si rivela come parte integrante di essa. In Gesù, che ha un volto d'uomo come il nostro, possiamo imparare a riconoscere il cuore del Dio trascendente e a rapportarci con Lui in modo nuovo. «Dio, nessuno lo ha mai visto», dice Giovanni all'inizio del suo vangelo, e prosegue: «il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato». Gesù viene dunque a prenderci per mano per farci conoscere, in un cammino di vita, che l'unicità di Dio va contemplata e vissuta in termini di relazione positiva, di comunione. Non ci mette davanti ad una vetrina a guardare un Dio impenetrabile. Ci invita a camminare con Lui, insieme a fratelli e sorelle chiamati come noi, per entrare nel dinamismo di un Dio che è amore, che sempre si dona e mai si ferma a possedere. Lungo il cammino, proprio nelle relazioni, scopriamo che qualcosa ha drammaticamente alterato il nostro cuore e tende ad espropriarci della libertà di essere noi stessi, creature fatte a immagine e somiglianza di Dio, nate in una relazione d'amore e destinate alla gioia di amare. Scopriamo le tante piccole idolatrie che sottilmente si insinuano nel cuore con il risultato di creare ipocrisie, invidie, gelosie, avarizie e tutto ciò che ci divide interiormente e ci separa dalla comunione con i fratelli. Seguendo Gesù come comunità di discepoli, ciascuno nella sua unicità e insieme unanimi nel desiderio di scoprire fino in fondo la buona notizia di una salvezza possibile, entriamo a poco a poco, grazie al dono incessante dello Spirito, nella relazione d'amore che Gesù vive con il Padre. Troviamo la guarigione del cuore che ci ricompone come famiglia di Dio; la vita della Trinità entra nella nostra vita. Le letture di oggi ci fanno conoscere i passi essenziali di questo percorso, che parte dal Signore Gesù risorto. Conosciamo infatti da Lui che il Dio di Israele, il solo Dio «lassù nei cieli e quaggiù sulla terra» (Dt 4,39), non è isolato e accentratore; è invece un Dio di amore generoso e fecondo, che consegna «ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt 28,18) ad un Figlio che, ai nostri occhi, sembrava aver fallito completamente la sua missione. Proprio quel Gesù è invece ora il punto di riferimento per il nostro sguardo: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). La sua attuale gloria illumina la sua vicenda umana, nella quale riconosciamo lo stile di un Dio che ha sempre camminato accanto al suo popolo, fasciando le ferite e perdonando la durezza di cuore, donando la libertà e la via per custodirla. Gesù, che aveva iniziato il suo cammino rifiutando le ambigue proposte di potere da parte del tentatore, che gli prometteva «i regni del mondo e la loro gloria» (Mt 4,8), è il Signore chiamato ad esercitare sull'intera creazione la potenza salvifica del Dio creatore, che riguardo a noi ha un solo desiderio: «perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te» (Dt 4,40). Seguendo Gesù impariamo dunque i primi passi della felicità: impariamo a fidarci di Dio e del suo desiderio di donarci tutto il bene possibile, piuttosto che volere tutto sotto controllo; impariamo a fidarci delle Sante Scritture che narrano la lunga storia della fedeltà di Dio, piuttosto che lasciarci rubare la comunione con Lui; impariamo a scegliere la regalità dell'amore che dona la vita, piuttosto che la solitudine sterile del dominio e del possesso. Seguendo Gesù, scopriamo quanto questa sua piena fiducia sia radicata nella relazione intima con Dio, che Egli chiama «Padre» e di cui si sente fino in fondo Figlio. Lo mostrano il racconto del Battesimo e della Trasfigurazione, i momenti di preghiera personale, il modo in cui egli parla e agisce in nome del Padre: Gesù si relaziona a Dio sempre a partire dalla condizione di Figlio. Egli appartiene alla realtà divina, è Dio, ma non se ne appropria in maniera totalizzante e possessiva. Accoglie la sua condizione filiale liberamente, lasciando che il Padre sia tale: fonte di una vita che il Figlio può soltanto ricevere. La sua comunione con il Padre ci appare come uno spazio ampio di reciproca amorosa consegna tra due persone, ben distinte ma senza alcuna divisione. Uno spazio abitato soltanto dalla realtà unitiva dell'amore, per cui, nel vangelo di Giovanni, Gesù può dire: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). Si tratta di un rapporto che riguarda Gesù in modo unico e speciale. Soltanto del Signore Gesù Cristo possiamo dire che è «unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli». Ma da questa vicenda eterna di amore non siamo affatto esclusi. Anzi, la partecipazione ad essa coincide con il sogno di felicità, con il desiderio di gioia profonda e condivisa che il Padre creatore ha inscritto nei nostri cuori e di cui abbiamo una profonda nostalgia. Fin dal Discorso della montagna, che Matteo riporta nei primi capitoli, Gesù dice che siamo chiamati anche noi ad un rapporto filiale con Dio, non solo a livello personale ma anche comunitario. In quei paragrafi impariamo da Gesù che Dio è «il Padre vostro», con il quale instaurare un rapporto di massima confidenza, e impariamo a pregare dicendo: «Padre nostro!». Sarebbe troppo poco se tutto questo restasse solamente un insegnamento da mettere in pratica. Gesù, che nel cammino terreno rivela ai discepoli la paternità di Dio, è ora il Figlio glorificato che dona ai credenti il suo stesso respiro filiale: «avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi», dice san Paolo ai cristiani di Roma. Questa è la nostra forza: il dono che riceviamo dal Signore risorto. Il Soffio divino, lo Spirito Santo di Dio, che agisce in modo efficace lungo tutto l'arco della storia della salvezza, con l'impetuosità del vento o la delicatezza della brezza sottile, ci raggiunge ora come Spirito del Figlio, è alitato in noi dal Risorto come nuovo principio vitale che ci fa essere figli. Lo stesso Spirito che ci fa riconoscere e proclamare: «Gesù è Signore!», fa anche risuonare in noi l'invocazione del Figlio: «Abbà! Padre!» (Rm 8,15). È la preghiera che più e oltre il Padre Nostro ci assimila a Gesù, ci fa entrare nel suo rapporto filiale con il Padre. È l'invocazione che l'evangelista Marco riporta sulle labbra di Gesù nel momento del Getsemani, proprio quando la fiducia incondizionata nel Padre lotta con la paura, lo sconforto, il dubbio e l'incertezza. Questa invocazione è ora il nostro grido più profondo, il frutto più intimo dell'opera dello Spirito, «che è Signore e dà la vita». Il dono dello Spirito ci tiene stretti in qualunque momento, in ogni situazione, nell'abbraccio di Gesù che si affida al Padre. La comunione vitale con Gesù è dunque ciò che ci introduce già nella Trinità: custoditi in questa relazione dal dono dello Spirito, accogliamo la grazia del Figlio e sperimentiamo l'amore di Dio Padre. Solo seguendo il Signore Gesù fino alla croce e accogliendo il dono dello Spirito la sera di Pasqua possiamo scoprire a poco a poco la paternità di Dio e aprirci alla nostra vocazione di figli: liberi di lasciarci amare da Colui che ci ha creati, contenti di farci strumenti del suo amore generoso, desiderosi di lasciarlo fluire in noi e attorno a noi. Seguendo Gesù possiamo sperimentare, passo dopo passo, la gioia di vivere in pace con tutti, imparando lo stile delle Beatitudini, la Regola d'oro, la correzione fraterna, il perdono fino a settanta volte sette... Sono questi i passi concreti con cui il Figlio ci introduce nel mistero d'Amore del Dio Uno e Trino. Seguendo Gesù, nel suo passaggio di morte e risurrezione, rinnoviamo la grazia del Battesimo che abbiamo ricevuto «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»; per questa grazia cerchiamo di vivere giorno dopo giorno la vita nuova dei salvati; nella fatica e nel buio invochiamo con forza lo Spirito che ci riconsegna alla fiducia, «Abbà! Padre!»; per la grazia del Battesimo conosciamo la felicità come amore misericordioso, come dedizione che nulla trattiene, come perdono generoso; per l'amore di Gesù possiamo conoscere la felicità preparata per noi dall'eternità nel cuore della Trinità, una felicità che non esclude affatto, anzi, comprende come vertice il dono della vita. |