Omelia (03-06-2018) |
mons. Roberto Brunelli |
Dal terremoto una lezione sempre d'attualità Pochi giorni fa mi è accaduto di celebrare la Messa in una città dell'Emilia, entro un salone rimediato per sostituire alla bell'e meglio la cattedrale, tuttora in fase di ricupero, a distanza ormai di non pochi anni dal terremoto. Mi è venuto spontaneo allora collegare quel venerando monumento ai tanti altri, chiese, edifici pubblici e case private che in varie parti d'Italia ancora attendono la ricostruzione, richiamando nel contempo i lutti, i dolori e i danni provocati da quella tragedia. Di fronte a questa, come alle altre catastrofi naturali di cui si ha spesso notizia, si resta smarriti, senza parole, e pur sapendo che non di rado esse sono provocate dall'insipienza umana si fa più intensa la ricerca di un perché, con la tentazione di chiederne conto a Dio: se è vero che è buono, perché permette queste sventure? La domanda è vecchia come il mondo, e chi scrive non ha certo la presunzione di trovare una facile risposta. Qualche considerazione tuttavia sembra possibile, proprio a partire dall'odierna solennità del Corpus Domini. Essa celebra l'Eucaristia: il vangelo (Marco 14,12-26) evoca l'Ultima Cena, che si rinnova e si ripropone in ogni Messa; Gesù ha dato la sua vita per l'umanità e ha trovato modo di trasmetterne i frutti ad ogni battezzato che lo accoglie in sé nella forma del Pane consacrato. L'Eucaristia resta così il segno permanente della bontà di Dio, che senza posa offre all'uomo la possibilità di realizzarsi in questo mondo in vista dell'altro. Dio ha cura della dimensione spirituale dell'uomo; non ha mai assicurato a nessuno il benessere in questa vita. Semmai è l'uomo, che in un'ottica tutta terrena, come se la sua esistenza finisse in questo mondo, si affanna a crearsela il più possibile confortevole. E allora, pregando per i morti e offrendo tutto l'aiuto possibile ai feriti, ai senza casa, ai senza lavoro, dal terremoto conviene trarre una lezione, severa ma salutare. Una lezione di umiltà: noi non siamo i padroni della nostra vita; il mondo non è nelle nostre mani; il paradiso non è, né potrà mai essere, sulla terra. "Non è qui la perenne città", ricorda la Scrittura (Lettera agli Ebrei 13,14) richiamata più volte anche nel mirabile dramma di T.S. Eliot ‘Assassinio nella cattedrale'. Qui siamo in transito, e per quanto sia giusto, anzi auspicabile, che tutti abbiano condizioni di vita dignitose, occorre rendersi conto che il fine ultimo, la meta cui tendere, sta da un'altra parte. Ha impressionato tutti, nella sventura del terremoto, l'accanimento con cui pare abbia colpito le chiese. Non si contano quelle distrutte, o chiuse perché lesionate. E anche da questo si può trarre una lezione: le chiese sono patrimoni di storia e d'arte, esprimono meglio di altri edifici l'identità di un paese, sono utili per ritrovarvisi nel segno della fede comune: sono importanti, dunque. Tuttavia va ricordato - e le circostanze richiedono di farlo - che le chiese non sono ‘la Chiesa', la quale è costituita non dai muri ma dalle persone. Si è cercato, e si cercherà ancora, di risanare le chiese ferite, perché sono belle e utili; ma sul piano della fede conterebbero poco, se non fossero strumento al servizio della vera Chiesa, cioè la comunità dei credenti. Tornando alla festa del Corpus Domini, nel prossimo settembre Genova ospiterà il periodico Congresso Eucaristico nazionale. Questa, di richiamare l'attenzione del mondo sulla Presenza di Dio tra noi, è un'iniziativa nata in Francia dall'intuizione di una donna, Emilia Tamisier: un significativo esempio dell'attiva partecipazione dei laici alla vita di quella che è anche la loro Chiesa. E il Congresso, se ha qualcosa da dire in particolare ai coinvolti dal terremoto, riguarda tutti: invita a non lasciarsi travolgere dalla paura o dallo sconforto, ricordando che il valore supremo non sta nelle cose ma nella fede, e la fede comporta speranza per il futuro, e per il presente amicizia e solidarietà. |