Omelia (03-06-2018)
diac. Vito Calella
Gratitudine per il "sangue" di gratuità

Se volessimo custodire nel cuore una sola parola, tra tutte quelle ascoltate oggi, proclamate dal Cristo risorto, che ci ha appena parlato, ebbene, la parola potrebbe essere «sangue». Abbiamo ascoltato il rito della prima alleanza compiuto da Mosè, attestato nel libro dell'Esodo. Quel «sangue di giovenchi», bruciati in «olocausto», versato sull'altare e asperso su tutto il popolo divenne segno simbolico di quella celebrazione di comunione tra Dio e il popolo, in nome di «tutti i comandi del Signore», cioè i dieci comandamenti, che il popolo di Israele si impegnò solennemente ad eseguire. Dalla lettera agli Ebrei abbiamo ricordato «il sangue di capri e di vitelli» sacrificati in olocausto, che veniva usato per aspergere una volta sola all'anno il luogo più sacro del tempio di Gerusalemme, cioè il santo dei santi, nella celebrazione del grande perdono; lo stesso sangue veniva usato anche per aspergere il popolo. Ma il ricordo di quel rito, cessato con la distruzione del tempio, serve per ricordare «il proprio sangue di Cristo», «sommo sacerdote dei beni futuri». Gesù in vita sua, non fu mai sacerdote, ma attraversò un'altra tenda, non più quella del santuario del tempio, che separava il luogo sacro della presenza di Dio dal luogo riservato ai sacerdoti del popolo, separati dal popolo stesso. Gesù attraversò la "tenda" della morte di croce, e quella croce squarciò per sempre la separazione tra Dio e gli uomini. Per questo, nel momento in cui Gesù morì in croce, fuori del tempio, quel «velo del tempio si squarciò in due» (Mc 15,38). Gesù in vita non fu un sommo sacerdote, ma quando fu risuscitato dal sepolcro, entrò nel vero santuario della gloria di Dio, «non quello costruito da mani d'uomo», e realizzò definitivamente la remissione dei peccati e la nuova ed eterna alleanza con «l'offerta del suo proprio sangue». Per questo ora egli è per noi cristiani l'unico e definitivo sommo sacerdote. Nel Vangelo Gesù ci dice: «Quel sangue versato una volta per tutte con la mia morte di croce, lo potete bere nel segno del vino del mio banchetto eucaristico». Il sangue circola nel nostro corpo ed è simbolo di vita. Senza sangue ogni membro del corpo, a partire dal nostro cervello, è irrimediabilmente compromesso alla morte. Tutto l'organismo si ammala, cessa di esistere. Il sangue è garanzia di vita. Bere il calice del vino è ora un partecipare al dono vitale e liberante dello Spirito Santo, lo Spirito del Cristo risorto. Il sangue di Cristo, nel segno del vino, è il dono dello Spirito Santo per noi. Lo Spirito Santo aveva guidato tutta l'esistenza terrena di Gesù, il Verbo fatto carne. Il corpo di Cristo, che noi mangiamo nel segno del pane, non è il corpo biologico di Gesù, ma l'esistenza donata di Gesù, attraverso il suo corpo umano, ora trasfigurato, esistenza rivelatrice dell'immensa gratuità dell'amore del Padre, della sua misericordia infinita verso il nostro esistere ogni giorno nel mondo, con tutte le sue contraddizioni e sfide. Nel corpo umano di Gesù circolava il "sangue" dello Spirito Santo e tutto il suo corpo, fino all'estremo segnale di quel corpo inchiodato sulla croce, fu dono per l'umanità dell'amore gratuito del Padre. Mangiando il pane e bevendo il vino, noi mangiamo e beviamo la gratuità dell'amore di Dio, assimiliamo, assumiamo in noi la forza trasformante e liberante dello Spirito Santo, il sangue vitale della "gratuità". L'unica preparazione, o disposizione, che ci è richiesta, per entrare profondamente nel mistero dell'Eucarestia, è la gratitudine, cioè la scoperte del dono e la sua accoglienza.
Nel Vangelo ascoltato Gesù inviò due dei suoi discepoli a preparare la sala per la celebrazione della Pasqua. Sembra un semplice e irrilevante racconto di cronaca. Entrando in quella scena di "preparazione", possiamo scorgere tre segni: il segno dell'uomo con la brocca dell'acqua, il segno del piano superiore, il segno dei tappeti che addobbano la grande sala in cui si sarebbe celebrata quella prima eucarestia. Sono segni preparatori, che possono illuminare la nostra maniera di venire in chiesa ogni domenica per celebrare l'eucarestia con l'atteggiamento fondamentale della gratitudine. Secondo la cultura ebraica, non era comune incontrare un uomo a caricare una brocca d'acqua. Era compito delle donne andare alla fontana per attingere l'acqua necessaria al fabbisogno della casa. In quel segno dell'uomo senza nome, con la brocca dell'acqua, contempliamo la disposizione del nostro cuore all'umiltà, condizione essenziale per vivere in atteggiamento di gratitudine, di azione di grazie. La brocca d'acqua ci può far ricordare il nostro battesimo, la gratitudine per il dono dello Spirito celebrato nel giorno della nostra rinascita dall'alto. Se andiamo a messa ogni domenica, è perché la consacrazione battesimale celebrata una volta per tutte nella nostra vita, con il segno della nostra "immersione nell'acqua, e uscita dall'acqua", segno della nostra partecipazione esistenziale alla morte e risurrezione di Gesù, nostro Signore, ha bisogno di essere rinnovata costantemente con il segno del nostro "mangiare e bere" il corpo e sangue di Cristo". Il piano superiore ci può far ricordare l'atteggiamento di gratitudine come "salto di qualità" del nostro vivere e agire. Non è scontato vivere in stato di gratitudine. Anzi, viviamo in stato di dominio delle cose e delle persone, in un ritmo stressante di vita, incapaci di contemplare l'eccedenza di dono che la vita ci offre. Invece vogliamo andare a messa con uno sguardo profondo, con un "salto di qualità" del nostro essere presenti nella celebrazione eucaristica. Non possiamo arrivare distratti, ma vogliamo arrivare consapevoli e profondamente grati di sentirci "corpo" in comunione. I tappeti distesi, già predisposti di quella sala potrebbero diventare simbolo di tutti quei testi della parola di Dio dell'Antico Testamento, che trovano il loro significato definitivo nel mistero pasquale di Cristo. La celebrazione dell'alleanza attestata nel libro dell'Esodo, ascoltata oggi, è solo uno dei tanti tappeti che addobbano la sala della celebrazione eucaristica. Tutto è stato predisposto per la centralità dell'evento della morte e risurrezione di Gesù che diventa attuale per mezzo dello stesso Cristo risorto, il quale celebra per noi il ricordo di quel sacrificio di salvezza, avvenuto una volta per tutte, la cui forza di liberazione è trasmessa per noi oggi. Come non essere pieni di gratitudine? Nella Messa non c'è solo il corpo e il sangue di Cristo nel sacramento dell'Eucarestia. Prima c'è il Cristo risorto che parla a noi attraverso il "corpo delle Sacre Scritture". Il lezionario e l'Evangelario non sono semplicemente libri. Sono segno sacramentale del corpo del Cristo risorto che parla a noi. Senza il dono della parola di Cristo risorto non esiste nessun sacramento. Come non essere pieni di gratitudine per il "corpo delle Scritture"? Nel pane e nel vino contempliamo il nostro lavoro quotidiano, contempliamo la vita della creazione e tutte le nostre attività umane, perché pane e vino, presentati all'altare sono segni della creazione e frutti del lavoro umano. Come non essere pieni di gratitudine, per esserci dentro anche noi, in quei segni che diventeranno il Corpo e il Sangue del Risorto? Ma soprattutto, nel momento della comunione eucaristica, noi, insieme, diventiamo "Corpo di Cristo!". Mangiare il pane eucaristico e bere il vino eucaristico non è un'azione di intimismo, in cui Gesù entra nel nostro cuore. È molto di più: ci fa essere tutti insieme Corpo di Cristo. L'eucarestia fa la nostra comunità, fa la chiesa aperta alla missione. Come non essere pieni di gratitudine per sentirci membra vive del Corpo di Cristo? Tutta la celebrazione eucaristica è dunque una celebrazione di gratitudine, di azione di grazie, di stupore, di accoglienza del dono dello Spirito, finalizzata alla realizzazione del Regno di Dio nella nostra storia. La celebrazione termina con l'invio ad essere segni gioiosi di gratuità nel mondo, coscienti che è una responsabilità consegnata ai nostri corpi santificati dalla comunione eucaristica. L'ultima cena non fu quella che precedette l'evento della morte e risurrezione, a cui rimanda. L'ultima cena avverrà quando l'azione dello Spirito Santo nella storia e nel mondo, anche attraverso il nostro essere "Corpo di Cristo" nel mondo, realizzerà in modo evidente il Regno di Dio di unità nella carità. Quel momento finale sarà la celebrazione della gioia piena, di cui sono testimoni tutti i credenti conquistati dalla gratuità dell'amore divino. E il vino è anche il simbolo di questa gioia. Per questo Gesù disse: «Non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio»