Omelia (03-06-2018) |
don Alberto Brignoli |
Gesù ci ha messo la faccia. E il Corpo. Le letture che abbiamo ascoltato (mi riferisco in particolare alla prima lettura e al Vangelo) hanno un elemento in comune: ed è il verbo "prendere", riferito - come azione - ai due protagonisti dei testi proposti dalla Liturgia, ossia Mosè e Gesù. Entrambi stanno compiendo un rito: quello a conclusione dell'Alleanza, per quanto riguarda Mosè, e quello della cena Pasquale per quanto riguarda Gesù e i suoi discepoli. Entrambi, per compiere questo rito, prendono in mano alcuni elementi: Mosè prende un catino con il sangue dei sacrifici e il Libro dell'Alleanza, Gesù prende un pane e un calice con il vino. Presi in mano questi elementi, compiono entrambi dei riti che tra di loro hanno un altro elemento comune: l'Alleanza. Mosè sancisce in questo modo l'Alleanza tra Dio e il popolo d'Israele basandola sui sacrifici offerti a Dio e sul compimento delle Leggi scritte nel libro; Gesù sancisce la nuova Alleanza basandola su un pezzo di pane e un po' di vino condivisi con i suoi discepoli. Ma mentre l'Alleanza stabilita da Mosè doveva essere continuamente rinnovata con sacrifici nuovi ogni volta che il popolo la rompeva a causa della sua disobbedienza, Gesù dice ai suoi discepoli: "Non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio". L'Alleanza di Mosè, quindi, ha carattere provvisorio; l'Alleanza di Gesù viene sancita "una volta per sempre", come dice la lettera agli Ebrei. E l'altare su cui Gesù stabilisce e sancisce la sua alleanza è il patibolo della croce: ossia, non ci può essere Alleanza tra Dio e i suoi discepoli se non attraverso il sacrificio non di giovenchi o di agnelli, ma della sua stessa vita. Al tempo stesso, Gesù vuole che questo suo sacrificio rimanga nella memoria dei suoi discepoli, e venga ripetuto nei secoli, non per sancire da capo ogni volta un'Alleanza nuova, ma per farne "memoria", anzi "memoriale", qualcosa, cioè, che ogni volta che viene celebrato e vissuto si fa presente e vivo. Non lettera morta come quella scritta sul Libro dell'Alleanza; non sangue di animali sacrificati e ogni volta da immolare nuovi; bensì, presenza viva, reale, concreta. E c'è un'ulteriore "marcia in più", in questa nuova Alleanza: che a differenza di quella di Mosè, in cui il popolo assisteva da spettatore, la nuova Alleanza permette, a chi la celebra, di esserne partecipe, condividendo non un po' di cibo o qualche bevanda, e nemmeno un libro fatto di leggi, ma il corpo e il sangue dello stesso Cristo Gesù. "Mistero imperscrutabile e inaccessibile", come anche cantiamo nella Liturgia? Può darsi: ma di certo efficace, perché ha dato la salvezza ai suoi discepoli e, nei secoli a venire, al mondo intero. Da dove viene l'efficacia di questo misterioso sacrificio? Può sembrare banale dirlo, ma non lo è: dal fatto che Gesù, in questo sacrificio, ci ha messo la faccia e ha pagato di persona. Anzi, non ci ha messo solo la faccia: ci ha messo tutto il Corpo e tutto il Sangue. Ha bevuto fino in fondo il calice amaro della sofferenza che il Padre gli aveva chiesto di bere per la nostra salvezza; ha spezzato per noi la sua vita fino all'ultima briciola, come un pane consumato da un branco di persone affamate, in questo caso affamate di salvezza. Ma questo è stato possibile perché Gesù non si è tirato indietro: ci ha messo la faccia, ha pagato di persona. Invece di sangue di tori e di agnelli ha preso il proprio sangue; invece delle parole di un Codice di Alleanza ha preso la sua Parola, ha preso la Parola, anche quando i suoi nemici glielo volevano impedire. Perché ci ha messo la faccia. E così ha salvato il mondo. Il frutto più bello di questa Solennità del Corpo e Sangue di Cristo, il frutto più bello del Memoriale della Nuova Alleanza, il frutto più bello della Comunione che riceviamo ogni volta che veniamo a messa è che impariamo anche noi a metterci la faccia, ad assumerci le nostre responsabilità, a pagare di persona per le scelte che facciamo. È quello che chiediamo al Maestro oggi: che ci insegni a fare come lui, a metterci la faccia. E che lo insegni a tutti, credenti o no. Che lo insegni a coloro che ci governano, in particolare a quelli che iniziano una nuova esperienza di governo nel nostro paese, ai quali auguriamo buon lavoro, e non può essere altrimenti: ma chiediamo loro anche di saperci mettere la faccia, di prendersi le loro responsabilità e di ricordarsi che tutte le promesse che ci hanno fatto andranno a buon fine solo e quando ci metteranno la faccia e saranno disposti a pagare di persona. Che lo insegni a ogni cristiano impegnato, a partire da noi pastori, perché il servizio che un cristiano svolge nella sua comunità o nel suo ambito di volontariato è efficace solo se è capace di metterci la faccia, di assumersi le proprie responsabilità, e di lavorare per il bene comune anche pagando di persona. Che lo insegni anche al cristiano anonimo, a quello che partecipa a malapena alla messa domenicale, e che lo fa deliberatamente, evitando di impegnarsi a servizio della comunità e addossando la responsabilità di questa sua assenza agli altri, a quelli che non gli lasciano spazio, a quelli che sono incoerenti, a quelli che "dicono una cosa e ne fanno un'altra". Inizia tu, iniziamo noi, a metterci la faccia, ad assumerci le nostre responsabilità, a pagare di persona, a sacrificarci per gli altri senza doverlo far pesare a nessuno: questo vale molto più di tante comunioni eucaristiche fatte solo per assolvere il precetto domenicale. E termino con le parole sincere, vere, profonde, del Santo Papa Giovanni XXIII, di cui ricorre proprio oggi il 55° anniversario della salita al cielo: "La vera devozione Eucaristica porta alla lealtà, alla rettitudine, alla dirittura morale, anche a costo di sacrificio personale, in vista del bene comune". |