Omelia (10-06-2018)
padre Antonio Rungi
Chi non ascolta la voce di Dio, devia nella vita

La liturgia della parola di questa decima domenica del tempo ordinario ci indirizza a riflettere seriamente su come siamo in ascolto della parola del Signore, qual è la nostra sintonia con essa e soprattutto se siamo docili ad accogliere ciò che ci suggerisce di fare per il nostro e nostro e altrui bene spirituale. Nel testo della prima lettura, tratto dal libro della Genesi, il libro di apertura di tutta la sacra scrittura narra di ciò che accadde nell'Eden, il Paradiso terrestre, dove Dio Creatore aveva collocato l'uomo in una condizione doni particolari e speciali, che l'uomo stesso non seppe conservare e valorizzare nella logica del suo essere creatura e non creatore, accettando anche gli innegabili limiti insiti nella stessa natura umana. Infatti, il testo biblico ci porta all'esperienza della debolezza umana originaria sperimentato da Adamo ed Eva, dopo il primo peccato quello, definito originario, in quanto è il primo atto fondamentale di ribellione a Dio, commesso dall'uomo. L'uomo si scopre nudo, cioè nella condizione di povertà umana e spirituale, in quanto il peccato, causa l'allontanamento da Dio e concentrazione su se stesso, che come tale non è messo al riparo dal resto. Infatti, ad aggredire l'uomo, nella realtà di coppia, di maschio e femmina, costituita all'origine della creazione e voluta da Dio per la complementarietà, aperta alla vita, è il simbolo del peccato e del diavolo, quel serpente ingannatore che aveva convinto Eva a mangiare dell'albero proibito e poi passare il frutto avvelenato della superbia e dell'orgoglio al suo compagno Adamo. La coppia, nella sua corresponsabilità di entrambi i membri, commette quindi il peccato, attribuibile ad entrambi con responsabilità soggettive diverse, come è facile capire dal testo. Dio cerca Adamo per chiedere spiegazione in merito a quanto era successo. E la risposta del nostro progenitore è la seguente: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato». Un modo per scaricare la responsabilità sulla donna e per non assumersi anche le sue colpe. Dio non si ferma di fronte a questa giustificazione, potremmo dire infantile, come spesso capita quando succede qualcosa e la colpa è sempre degli altri e mai nostro, per cui chiede alla donna, ad Eva: «Che hai fatto?». Eva dà la sua motivazione a Dio, scaricando la responsabilità del male, a chi l'ha tentata: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». La conseguenza di questo primo peccato, descritto in questo modo, facile da capire ed accessibile a chi si vuole aprire ad un dialogo d'amore e di perdono con Dio, sta in queste parole di condanna, ma anche si speranza, definite da tutti gli studiosi, il protovangelo, la prima bella notizia che Dio dà all'uomo dopo il peccato originale: "Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». La certezza della salvezza è stata così annunciata da Dio stesso, in quel paradiso, una volta luogo della gioia e della serenità, divenuto, poi, luogo del tomento e della lotta contro il male. E' questa la storia di una vita umana che deve dibattersi tra il bene e il male e con la grazia di Dio, con la fede forte e convinta può vincere le insidie del male e far trionfare il bene.


Ad incoraggiarci in questo cammino di conversione e di purificazione viene in nostro aiuto l'Apostolo Paolo con il testo della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua prima seconda ai Corinzi: "Animati da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: «Ho creduto, perciò ho parlato», anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l'inno di ringraziamento, per la gloria di Dio".

Parole bellissime che devono fare i conti con la debolezza umana e con le nostre fragilità culturali, fisiche, interiori e di relazioni con Dio, con noi stessi, con gli altri e con il mondo. L'apostolo, forte della sua esperienza di convertito, ci incoraggia ad andare avanti, in quanto, anche "se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne".

La fede nell'eternità e nella vita oltre la vita ci fa accettare di buon grado ogni sofferenza e prova su questa terra, che è luogo di passaggio e non la nostra dimora definitiva: "Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un'abitazione, una dimora non costruita da mani d'uomo, eterna, nei cieli". E' la grande speranza cristiana che si alimenta della certezza della parola di Dio che non può ingannare, ma solo aiutare nel cammino verso la santità e la salvezza vera, eterna e definitiva.


D'altra parte, Gesù, nel testo del Vangelo di questa domenica cerca di far capire ai suoi interlocutori l'importanza che ha la docilità alla parola di Dio, nell'accoglierla e metterla in pratica, nell'immergersi continuamente nel lavacro della purificazione dal proprio egoismo che sta la vera ed eterna salvezza. Non senza motivo a chi lo accusa di essere posseduto dal capo dei demoni, ritenendolo un indemoniato, Gesù replica con parole fortissime che devono far riflettere a quanti gli Apostoli che non sanno valutare con sapienza del cuore gli eventi e non sanno discernere con la logica di Dio, ma si affidano alle proprie idee: «Come può Satana scacciare Satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa". Quel che segue sul perdono dei peccati da parte di Dio, è un chiaro invito a distaccarci da tutto ciò che spegne in noi lo Spirito, che azzera la nostra visione di eterno e di speranza della salvezza futuro, Ecco, perché Gesù ammonisce con queste parole: "In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna».

Di fronte a questo monito di Cristo, una considerazione finale va fatta. Gesù dice queste in una casa, dove molta folla e prima arrivasse la sua madre e i suoi parenti, anche loro per ascoltarlo. Quando giunsero sua madre e i suoi fratelli rimasero fuori la casa dove Gesù stava e allora lo mandarono a chiamare per informarlo dell'arrivo di Maria e dei suoi cari. L'evangelista Marco, come ottimo osservatore e cronista del fatto, annota: "Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre».

Allora chi è colui che può dirsi parente effettivo di Cristo? La risposta sta in queste parole finali del brano del vangelo di oggi. Prima di tutto è la stessa sua Madre, docilissima alla parola di Dio, da definirsi l'umile ancella del Signore e tutti coloro che sull'esempio di Maria ascoltano la voce di Dio, la mettono in pratica e fanno sempre la sua santissima volontà, come preghiamo nella stessa orazione che Gesù ci ha insegnato: "Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, vanga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra". Impegniamoci a fare sempre la santissima volontà di Dio e a rinnegare le nostre umane volontà e desideri che non vanno nella direzione che Gesù ci ha indicato con la sua incarnazione, passione, morte in croce e risurrezione.