Omelia (17-06-2018) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
Commento su Ez 17,22-24; Sal 91; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34 In questa domenica siamo chiamati a riflettere sul seme del Regno: ed è una pagina, quella dell'evangelo di Marco, da considerare come un riferimento obbligato per chi si pone in una prospettiva di evangelizzazione, che dovrebbe poi essere la prospettiva normale per ogni cristiano. In un periodo storico particolarmente difficile per coloro che vogliono vivere da adulti la complessa mediazione tra fede e politica e che non intendono sottrarsi alle tensioni - invero assai stressanti - tra le esigenze della persona e quelle della struttura, tra la libertà dello spirito profetico e i condizionamenti dell'istituzione, la parola di Gesù si trasforma in giudizio critico per tutta la Chiesa e ci infonde ottimismo. Un ottimismo motivato anche dalla bella testimonianza di papa Francesco che ci sta a poco a poco traghettando da una Chiesa della lettera a una Chiesa dello Spirito. Il Regno di Dio è come un uomo che getta il seme... Chi è un uomo che getta il seme? È una persona nella quale si fondono fiducia, pazienza, speranza e coraggio, che sono le virtù chiave della famiglia, ma sono soprattutto virtù che rappresentano il dato antropologico fondamentale per identificare i veri costruttori del Regno. Il Regno è Dio stesso presente qui e ora nella nostra storia umana. Ma è un Dio nascosto, come il seme che viene incorporato dalla terra. Ci vuole tanta fiducia per credere che questo seme metta ridici e cresca. Ci vuole tanta fiducia per credere che il Regno cresce sotto terra, che lievita e germoglia nel silenzio. Dio è un Deus absconditus (cfr. Isaia 45,15) e così è il Regno, nascosto sotto terra, nelle pieghe della storia. Se la Chiesa tende a voler salvare il mondo, a costruire cioè il Regno, attraverso la forza delle strutture e la tendenza ad essere protagonista, non vive appieno la fiducia dell'uomo che getta il seme. La pazienza: esiste ancora nell'esperienza del cristiano di oggi? In realtà, guardandoci attorno, notiamo da un lato forme larvate di manicheismo, che tende a svalutare l'impegno temporale, il quale richiede appunto tanta pazienza e capacità di mediazione, quasi come se questo fosse senza importanza nei confronti dei più importanti problemi dello spirito; dal lato opposto, l'impazienza di molti ha determinato il sorgere di movimenti integralisti la cui unica preoccupazione pare essere quella di costituire strutture parallele del Regno. La speranza: nello spaccato assai composito dei credenti del nostro tempo non sempre è facile trovare l'incarnazione di questa grande virtù teologale. Più facile è trovare un'accettazione acritica degli avvenimenti, e tanta, tantissima paura: una paura che pare causata dalla consapevolezza di una tragedia cosmica verso la quale abbiamo tutti l'impressione che l'umanità si stia avviando. È del tutto evidente che questa consapevolezza tragica può portare al rifugio nella dimensione tranquillizzante del privato. E la privatizzazione è proprio uno dei dati del nostro tempo. Per quanto riguarda il coraggio, infine, manca una dimensione adulta di questa virtù sempre più rara: o si è in presenza della tentazione di eliminare ogni rischio dalle scelte quotidiane, rifugiandosi nel conformismo, oppure si affrontano i problemi con una sorta di spacconeria adolescenziale destinata a sgonfiarsi alle prime difficoltà, come la neve si scioglie al primo sole di primavera. Di questa spacconeria adolescenziale in persone considerate adulte non mancano esempi anche assai recenti. Tra questi poli contrapposti non è sempre facile trovare l'uomo: un essere, cioè, formato all'autonomia e alla responsabilità; capace di perseguire responsabilmente un obiettivo; un segno vivo della speranza pasquale; un testimone di coraggio e di coerenza evangelica. Quando una persona siffatta attraversa la nostra strada ci viene spontaneo esclamare: «Questo è un uomo!». Eppure è proprio «questo» uomo l'elemento fondamentale che caratterizza il Regno di Dio. In questa meravigliosa avventura dell'esistenza umana che siamo chiamati a vivere, come testimoni del tempo, il Regno di Dio e il Regno dell'uomo non sono in contrapposizione, ma sono così mescolati e impastati da non poter essere distinguibili. Il Regno di Dio è dentro il regno dell'uomo, e la serietà nel verificarne continuamente le interconnessioni mi pare la condizione per la contemporanea crescita di entrambi. Il guaio è che, abituati a pensare al Regno di Dio come se fosse un'astrazione, come un dato spirituale ed extra-storico, abbiamo finito di pensare in tal modo anche l'uomo. La conseguenza è che nello sforzo, assolutamente lodevole, di costruire il Regno abbiamo perso di visto, sovente, l'uomo vero, relegandolo in teorizzazioni spiritualistiche e non riconoscendolo invece là dove egli vive ed opera nella concretezza storica della sua condizione quotidiana, «schiavo» o «padrone», «colto» o «ignorante», donna o uomo. Su questo soggetto abbiamo speso e spendiamo tante parole, facciamo tanti ragionamenti, ma non siamo disposti ad andarlo a trovare sotto-terra, a immergersi nella sua realtà per liberarci assieme, per vivere assieme la solidarietà, per condividere la comune umanità. Eppure questo seme che è sotto terra mette radici, cresce anche se noi non ce ne accorgiamo. Nessuna forza può bloccarne la crescita, frenarne l'energia che prorompe nei tempi lunghi della storia. Di questa storia noi oggi forse vediamo solo un'avventura incompiuta, un cammino faticoso, un granello di senape non ancora cresciuto, un chicco non ancora pieno nella spiga. Ma la nostra fede e la nostra speranza ci assicurano che il Regno si compirà.
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