Omelia (24-06-2018) |
don Alberto Brignoli |
Sacerdoti, re o profeti? Sacerdoti, re e profeti: questo ci rende il battesimo, sacramento del quale oggi veneriamo, se non proprio l'inventore, quantomeno uno dei suoi massimi fautori e diffusori, quello che entrò a far parte di quel disegno di grazia che lo portò a battezzare l'inventore vero e proprio del battesimo, quel Gesù di Nazareth di fronte al quale nessuno di noi avrebbe accettato di versare sul suo capo un'acqua che fosse simbolo del perdono dei peccati. In realtà, neppure Giovanni, figlio di Zaccaria e di Elisabetta di Ain Karim, personaggio dotato di grande forza morale e di un rigore ascetico senza paragoni, e ricolmo di Spirito Santo fin dal grembo materno, avrebbe mai accettato di amministrare un battesimo di penitenza al Messia, che peraltro lasciò a lui l'incombenza di indicarlo presente nel mondo. Quello di Giovanni fu per se stesso un cammino di conversione, quella stessa conversione che egli predicava a chi si avvicinava a lui per chiedere il battesimo. Ma mentre la conversione a cui gli esortava le folle era essenzialmente una richiesta "morale", ossia quella di abbandonare una vita di peccato per iniziare a vivere una vita di opere buone (e l'immersione nell'acqua era proprio il simbolo di questa purificazione), la conversione a cui egli fu chiamato (e che altro non era se non la conversione predicata dal Messia Gesù) era un vero e proprio cambio di mentalità. Di certo, non si poteva chiedere a Giovanni Battista una conversione "morale", a lui che era un uomo tutto d'un pezzo e di un rigore ascetico tale che subito fece pensare ai pii israeliti di allora di trovarsi di fronte al profeta Elia ritornato sulla terra, come la tradizione voleva; la conversione a cui Dio, attraverso suo Figlio Gesù, lo chiamò, fu proprio quella di un cambio radicale di mentalità, di prospettiva, di visione. Dovette, cioè, cambiare completamente il suo modo di intendere la figura del Messia che fu chiamato a indicare presente nel mondo. La cosa non fu semplice, per Giovanni; e ne abbiamo un sentore nelle "pennellate" che gli evangelisti Matteo e Luca riservano alla scena di Giovanni il Battista incarcerato da Erode. Sentendo parlare di Gesù come uomo di misericordia, di perdono, di bontà, di accoglienza e condivisione con pubblicani, prostitute e peccatori, manda un'ambasciata di suoi discepoli a chiedere a Gesù se veramente fosse lui il Messia atteso, dato che ciò che egli aveva predicato e indicato presente nel mondo non era esattamente lo stesso... E la risposta di Gesù non si fa attendere: "Beato chi non si scandalizza di me". Non credo si riferisse solo a Giovanni, quando parlava di chi si scandalizza di un Dio misericordioso. Anzi, credo che principalmente si riferisse a tutti quelli che, da sempre, hanno una visione distorta di Dio, e pensano di poter ridurre Dio a schemi e modi di pensare che fanno comodo a loro e al loro modo di intendere Dio e di vivere la religione. Questo lo vediamo molto bene proprio nella vicenda storica di Giovanni, nella sua nascita come nella sua morte, alle quali possiamo anche ricondurre due dei tre elementi battesimali di cui abbiamo accennato all'inizio, ovvero il sacerdozio e la regalità. Se il battesimo ci fa realmente sacerdoti, re e profeti, credo che la vicenda storica del più grande fra i nati di donna ci aiuti a comprendere il senso profondo del sacerdozio e della regalità, e a donarci quello spirito di profezia che ne invase la vita. Partirei proprio dalla sua morte, avvenuta per colpa dei giochi di potere, di corruzione e di seduzione di un re, Erode, a cui Giovanni contestava l'immoralità e l'infedeltà coniugale, ma soprattutto l'infedeltà alla legge di Dio. Essere "re" secondo la mentalità evangelica, voleva dire già operare un primo cambio di mentalità, segno di quella conversione a cui Gesù ci chiama. I re e i potenti di questo mondo governano secondo logiche nelle quali la morale, il senso di giustizia, il rispetto nei confronti degli ultimi e l'attenzione ai valori fondamentali della vita sono messi in secondo piano e calpestati dalla "ragion di stato", da quella tutela del bene comune che il più delle volte è una scusa per salvaguardare privilegi e portafogli dei potenti; la regalità che ci viene donata nel battesimo, e di cui senza dubbio Giovanni fu convinto predicatore, è invece basata sul servizio, sul mettersi al servizio, soprattutto a servizio della verità e della giustizia, di fronte alle quali non c'è corruzione né seduzione che tengano. Ma la nascita stessa di Giovanni, che oggi ricordiamo con la dovuta solennità - come si fa solo di Cristo e di sua Madre - ci chiama a un cambio di mentalità anche riguardo all'altro elemento battesimale, quello del sacerdozio. Giovanni nasce all'interno di una famiglia sacerdotale, da genitori entrambi avanti negli anni. Quest'età avanzata era divenuta per il sacerdote della famiglia, Zaccaria, un motivo di dubbio nei confronti di Dio, di quel Dio che nonostante lui servisse con fedeltà, si era dimenticato di dargli una discendenza: a lui, che, ironia della sorte, si chiamava Zaccaria, "Dio ricorda". Ma quando Dio si ricorda finalmente di manifestargli la sua misericordia, Zaccaria ragiona da sacerdote, e si fida esclusivamente dei suoi riti e delle sue leggi, mettendo in dubbio la potenza della stessa grazia di Dio, che vale più di olocausti e sacrifici. E Dio, giustamente, lo zittisce. Anzi, lo rende anche sordo, dal momento che "bisognava parlargli per cenni", ci dice Luca. Il sacerdozio che Dio vuole non è quello dei riti e della tradizione, del "non c'è nessuno che si chiami Giovanni nella tua parentela", del "le cose e le tradizioni non si possono cambiare", del "si è sempre fatto così": quel sacerdozio, si è visto, è sterile. Il sacerdozio di Gesù, quello del nostro battesimo, è quello che proclama la grandezza delle opere di Dio, non la grandezza delle opere e dei riti degli uomini; è il sacerdozio che ti apre alla grazia, alla novità, al futuro, alla ricchezza dello Spirito, alla proclamazione delle grandi cose che Dio sa fare nella vita dei suoi fedeli. E allora, grazie a un cammino di conversione, si diventa profeti: come Zaccaria, che riprende la parola non più per celebrare sterili riti del passato, ma per annunciare le grandi opere di Dio. Purché abbia imparato la lezione della conversione: quella per cui il futuro non può chiamarsi "Zaccaria" (ovvero "Dio ricorda", velato e nostalgico accenno a un passato sterile), ma deve chiamarsi "Giovanni", ovvero "Dio ha avuto misericordia". Perché d'ora in poi tocca a noi, avere in testa e annunciare un Dio misericordioso, e non un castigatore. |