Omelia (01-07-2018)
padre Gian Franco Scarpitta
Il Miracolo e i miracoli

La Prima Lettura di oggi ci assicura che Dio ha creato ogni cosa per la vita e non gode della morte e della disfatta soprattutto dell'uomo. E del resto le pagine della storia della salvezza delineate nella Scrittura ci ragguagliano sull'intervento di Dio a favore del suo popolo e dell'uomo singolo: ogni cosa è preziosa e non è interesse del Signore che vada perduta. Questo legittima allora che Dio possa intervenire a vantaggio del cosmo e dell'uomo per il tramite di parecchie vie, quelle ordinarie come anche quelle straordinarie. Quindi che Dio possa anche operare nella forma sovrannaturale. Che cos'è il miracolo? I teologi lo definiscono pressappoco come un evento di natura trascendente che provoca una momentanea interruzione dell'ordine della natura. Un intervento divino sovrannaturale che irrompe improvviso nell'ordinario della vita umana per turbarla lo spazio di un evento. Che il miracolo sia possibile lo dimostra il fatto stesso che è radicato nella cultura dell'uomo di tutti i tempi e che in ogni civiltà ed etnia si è parlato almeno una volta di un fatto sovrannaturale. Il miracolo è dunque possibile abbandonando la prospettiva propriamente umana e assumendo la posizione di Dio: lo si può accettare se si accetta che Dio esiste e provvede al meglio, come provvidenza e misericordia, al beneficio dell'uomo. E di conseguenza il miracolo non può essere concepito al di fuori di un discorso di fede. E' infatti in conseguenza della disponibilità umile dell'apertura del cuore, del suo credere e affidarsi, del suo donarsi incondizionato a Dio, che è possibile essere destinatari di un evento straordinario. In altre parole, non avviene miracolo alcuno se non in conseguenza della fede e della buona disposizione, e del resto questa certezza ci proviene oltre che dalle pagine evangeliche anche dall'agiografia di tanti santi e uomini illustri di spiritualità. In relazione all'atteggiamento e alle opere di Gesù, ogni miracolo però non è tale se non contiene un messaggio o un'indicazione pedagogica: ogni volta che ne viene realizzato uno, esso è accompagnato da un significato preciso che riguarda la persona stessa di Gesù, il suo messaggio, la sua opera di salvezza. Anzi, sempre i teologi del miracolo hanno affermato che, prima ancora delle sue stesse opere prodigiose, Gesù è stato egli stesso un miracolo. Un evento cioè sconvolgente e turbativo dell'ordinario in quanto Verbo fatto carne da una vergine, morto, risorto e asceso al Cielo, che contrassegna la grande opera prodigiosa di cui è capace Dio Padre. Cristo è il primo Miracolo e ci parla di sé attraverso i miracoli.
Nella pagina del Vangelo di Marco che ci viene proposta adesso, Gesù ha davanti a sè prima un uomo disperato e sconvolto che teme per la vita della sua figlioletta, poi una donna gravemente malata da dodici anni, quindi una bambina (la stessa figlia di Giairo) giacente senza vita su un letto. E fatta eccezione per la folla di increduli che si trova al capezzale della piccola, si trova un filo che lega tutti i personaggi: la fede. Al pover'uomo che chiede l'intervento di Gesù sulla figlia, questi raccomanda le condizioni fondamentali per essere graditi a Dio soprattutto a proposito dei benefici soprannaturali: "Non temere, soltanto abbi fede". Lo convince cioè a non aver paura della morte, a non lasciarsi sorprendere dal timore dell'irrimediabile, ma ad aprire il cuore limitando la razionalità per non darla vinta al dubbio e all'arrendevolezza gratuita. Deve avere fede, cioè credere e affidarsi senza riserve a Colui che non è vincolato dai limiti circoscritti delle potenzialità dell'uomo, ma che le trascende e le prevarica. Insomma deve credere in Colui che può tutto. Alla donna emorroissa che sgomita fra la folla per lambire anche solo il lembo del suo mantello, Gesù elogia la fede con la quale non ha esitato a toccare la sua veste senza neppure la necessità di conferire con lui e appunto questo eroismo di apertura di cuore le guadagna la guarigione che la scienza non era mai stata in grado di assicurarle. La fede del padre della bambina, anche se vista in modo un po' più blando e indiretto, ottiene che la piccola si ridesti e cammini, prendendo regolarmente cibo. I due miracoli di cui si parla oggi, come tutti gli altri compiuti da Gesù, contengono un messaggio ben definito al quale accennavamo poco prima: il Figlio di Dio fatto uomo è la via, la verità e la vita (Gv 14,6), nonché vita eterna origine e fine ultimo della cose. Egli quindi è la risurrezione e la vita, che toglie spazio al dolore e all'imprevisto pauroso della morte, essendo egli stesso risuscitato e avendoci chiamati a nuova vita e ha ragione sul dolore e sulla malattia, poiché egli ha preso su sé le nostre infermità (Is 53, 4). Quanto alla morte, Cristo risusciterà per toglierle potere e per definire anche per noi la vita per sempre, a dispetto delle apparenze della disfatta del corpo. In Gesù, che stramazzerà di dolore sulla croce, la sofferenza e la malattia acquistano il loro senso, perché diventano opportunità di condivisione del nostro dolore con il suo e ci immettono nello stesso mistero di redenzione che lui stesso opera sul legno per il riscatto dell'umanità. In più, il dolore e la malattia, seppure compagni scomodi e lancinanti, diventano pesi sempre meno gravosi quando vengono sopportati nella fiducia e nella speranza; quando nella prova ci si sente sostenuti dallo stesso Signore Crocifisso e Risorto. Cristo patisce con noi, ci dona forza, fiducia, conforto e allevia sempre le nostre pene nel patire, anche quando il dolore non si estingue. Nella sofferenza si accresce la speranza e il coraggio e la fortezza ci aiuta a superare prove e smarrimenti. La fede ci permette di vederlo presente di un'attualità reale e consolidata, ci permette di scorgere la sua presenza e tutte le garanzie ad essa correlate. Nei miracoli descritti dal brano evangelico odierno, Gesù si configura come il Crocifisso Risorto e il suo messaggio è per l'appunto quello della fede da ravvivare in lui, nella quale prende corpo e si sviluppa la speranza.
Chissà poi che la nostra fede non sia talmente forte e categorica da meritare anche ai nostri giorni una guarigione del tipo di quella descritta o anche una resurrezione da morte? Anche se va non vanno omesse prudenza e circospezione nell'interpretazione dei presunti episodi soprannaturali, d'altra parte non è assolutamente da mettere in discussione la possibilità che un evento straordinario possa verificarsi anche ai nostri giorni e sarebbe per noi un monito, oltre che un suggello di fede.
Nulla vieta che noi possiamo sperare anche in un evento prodigioso, fatta salva la libertà decisionale di Dio.

Ci sovviene un'altra riflessione osservando le protagoniste di questi eventi miracolosi. L'emorroissa soffriva da dodici anni di un'infermità grave che peraltro comportava anche una certa sorta di impurità. La bambina dormiente che si risveglia ha dodici anni. Come affermano non pochi commentatori, "dodici anni" nell'antichità giudaica è il tempo della maturità umana, l'età propizia per interagire socialmente e per dischiudersi alla prospettiva futura del fidanzamento e del matrimonio. Potremmo affermare che in dodici anni la donna affetta dal male ha potuto maturare nella conoscenza della misericordia di Dio e adesso la sua fede la rende pronta a rendere testimonianza di tale amore e di tale misericordia. La malattia l'ha visibilmente fatta crescere nella fede per l'esperienza liberatoria di donna emancipata e protagonista secondo il Signore. La bambina ricuperata alla vita da Gesù... è pronta per la vita e per le relazioni, ciò però non senza l'apporto della compagnia del suo guaritore. Anche la dodicenne si prodigherà per la testimonianza e per l'annuncio della misericordia e si farà forte di una fede radicata e indiscussa.
Come si era detto in precedenza, il vero miracolo è Gesù stesso. Ravvivare in noi una fede attenta per lo sviluppo di una vera speranza è l'ulteriore miracolo che lui vorrebbe compiere ogni giorno e al quale non dovremmo recalcitrare.