Omelia (25-12-2002) |
mons. Antonio Riboldi |
Che tornino gli angeli a cantare Si fa difficile, per il credente, anche solo accostarsi al grande evento del Natale e cercare di cogliere le immense meraviglie, che solo l'Amore di Dio ha saputo e voluto donare. Si ha la sensazione, che ebbe S. Francesco di Assisi - così mi pare racconti la sua storia - la prima volta che inventò il presepe, per cercare di ricreare il Natale, davanti a Gesù Bambino: sapeva solo balbettare il Suo Nome, tanta era grande la sua meraviglia e la sua voglia di cantare la gioia. Può sembrare facile anche solo dire che Gesù, il Figlio di Dio, Dio Lui stesso, si volle fare tanto vicino all'uomo, ad ogni uomo e per sempre, non stando alla periferia della nostra drammatica esistenza, ma "incarnandosi" ossia calandosi totalmente nella nostra vita da farsi "figlio dell'uomo". A volte riesce anche a noi difficile calarci in noi stessi, talmente siamo un mondo di luci e ombre, a volte più ombre che luce. Difficile spiegare a noi stessi la voglia innata di amare, felicità e pace, e poi sentirsi come immersi in una solitudine, che proprio non si addice a chi è uscito, più che dalle mani di un Padre, dal cuore del Padre. Eventi come il Santo Natale del Figlio di Dio, forse la nostra smania di grandezza, che sembra trovare la sua origine nel peccato di Adamo e di Eva che si fecero ingannare dal serpente che li invitava a "farsi Dio", senza Dio, li celebrerebbe con toni di trionfo, come avvenimenti del secolo. Dio invece sceglie per la sua nascita tra di noi la via della povertà che non ama mai farsi spettacolo. Come del resto e nella natura di chi per amore vuole farsi vicino a chi soffre. Non si va mai vicino a chi è desolato con vesti pompose. Sarebbe come insultare o perlomeno non farsi accogliere per lo stridente contrasto. Si va con le sue vesti. E le vesti dell'uomo, ieri oggi sempre sono quelle di un povero uomo, sperduto, in terra di un amico che sappia capirlo e consolarlo. Il Vangelo di Luca, quasi obbedendo a questa via della povertà, che è la veste dell'amore che si fa dono, racconta la nascita di Gesù con una semplicità disarmante. Una semplicità che può fare dire alla superbia dell'uomo, che sogna sempre grandezze, che tali non sono: "Tutto qui la nascita di chi è nientemeno Figlio di Dio?". Ed ancora oggi celebra il Natale con quello sfarzo, che è il trionfo dell'effimero, che lascia quello che è la bocca amara; la sensazione di essere stato ingannato. Non era quella la gioia che si aspettava dal Natale di Gesù. "In quel tempo, ci racconta l'evangelista Luca - l'imperatore Augusto, con un decreto, ordinò il censimento di tutti gli abitanti dell'impero romano...Tutti andavano a fare scrivere il loro nome nei registri, ciascuno nel proprio luogo di origine. Anche Giuseppe partì da Nazareth, in Galilea; e salì a Betlemme, la città del re Davide, in Giudea. Andò la perché era un discendente diretto del re Davide, e Maria sua sposa, che era incinta andò con lui. Mentre si trovavano a Betlemme, giunse per Maria il tempo di partorire ed essa diede alla luce un figlio...il suo primogenito. Lo avvolse in fasce e lo mise a dormire in una mangiatoia di una stalla, perché non avevano trovato posto. Una semplicità di nascita del Verbo di Dio, che ha tutta l'aria di cominciare da capo la storia di noi uomini: una storia di felicità che si era interrotta nell'Eden, per il rifiuto che Adamo ed Eva fecero dell'amore di Dio. E Gesù, nel solenne silenzio di quella notte, è come se avesse voluto riprendere il filo della nostra storia, cominciando da capo, come una nuova creazione. Una nuova creazione che doveva cancellare ogni ombra di peccato e ridare a noi la pienezza di gioia e pace, che è la ragione per cui il Padre ci ha creati. Bisogna entrare nel silenzio di quella notte e nella grande umiltà e povertà, che Dio ha scelto per capire la grandiosità del mistero. E come a cantare la gioia della riconciliazione tra Dio e l'uomo, si apre il cielo, quella notte, per dare posto agli Angeli. Questi si fanno subito, come è nella loro natura, annunciatori della gioia, che era scesa nel mondo. L'angelo che porta la notizia ai pastori, di veglia quella notte, sulle loro pecore così parla: "Non abbiate paura! Io vi porto una bella notizia che procurerà una grande gioia a tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato il vostro Salvatore, Cristo, il Signore..." Subito apparvero tanti angeli che si unirono e lui e riempirono cielo e terra con il canto che è davvero il canto dei canti, destinato a riempire uomini e universo della felicità celeste. Nessuno potrà mai fare tacere quelli angeli, anche se l'ignoranza degli uomini non permette più di riconoscere un canto di angeli, da un canto di sirene. "Gloria a Dio nell'alto dei cieli - cantano - e pace in terra agli uomini che Dio ama. I pastori accolsero l'invito e trovato il bambino in fasce, deposto nella mangiatoia, tornarono pieni di immensa gioia. (Lc.2,1,21). In questi giorni il Santo Padre, quasi con l'angoscia del profeta ci sta ammonendo della tristezza del volto del Padre, perché gli uomini, con le tante guerre in atto e quelle che potrebbero succedere, per le tante ingiustizie che sono il dramma della terra, sembrano creare solo il "disgusto di Dio", restringendo sempre di più pericolosamente, gli spazi della pace, che Gesù è venuto a donare. E' come se amassero di più il dolore che l'amore, l'angoscia che la gioia, la solitudine che la gioia di essere vicino a Lui. Mi hanno scritto da parecchie regioni d'Italia che in alcune scuole, si è proibito di allestire il presepio, che era se non altro una stupenda pedagogia alla fede ed alla pace. Come lasciare in bianco un foglio che attendeva di vedere disegni di cuore. E fa davvero impressione come tanti hanno preferito riempire la casa di alberi natalizi, ma senza la presenza del presepio, come a voler così ridipingere o spalancare le porte a quell'inferno che è l'umanità senza Dio, chiudendo gli spazi al cielo ed al canto degli Angeli. E' triste. E' necessario che ciascuno di noi si faccia "grotta aperta"a Maria, che vuole dare alla luce il Figlio e deporlo nella mangiatoia del nostro cuore, che con la presenza di Dio diventa canto celeste: piccolo paradiso da donare a chi non ne ha. E' necessario che chi ha fede si faccia "angelo" e sappia trasmettere in famiglia, nel mondo, la lieta notizia che Dio è tra noi. Un Dio che, come un mendicante di amore, cerca chi si lasci amare. E' un Padre che vuole tutti noi "uomini che Egli ama", per donarci quella pace del cuore che supera ogni altro dono. E' necessario che tutti torniamo a cantare, per le vie del mondo, fino a soffocare ogni rumore di guerra o di ingiustizia, il canto della pace. Se abbiamo la gioia di "trovare Cristo", come i pastori, non teniamo per noi la gioia, ma facciamoci angeli tra gli uomini, cantando questa gioia. Mi diceva un giorno, un grande giornalista, che aveva visto tutte le guerre e che conosceva tutte le sofisticate armi che, con il tempo, l'uomo aveva creato per uccidere: "Sono stanco di vedere e sentire rumori di guerra, che tanto sanno di quel grido di Heminghuei per chi suona la campana": e vorrei che al posto delle armi ci fossero milioni di chitarre, che siamo finalmente il concerto della pace. E noi, dobbiamo essere Natale, insieme, nella fede, quel concerto di chitarre, che siano il coro dell'amore. Perché di tutto noi possiamo fare a meno, fuorché dell'amore. Tutti acquistiamo il meraviglioso volto di uomini figli di Dio, se siamo illuminati dall'amore. E' il concerto degli uomini, che Dio ama, che vorremmo essere tutti noi.< |