Omelia (01-07-2018)
padre Antonio Rungi
Noi siamo per vivere in eterno con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo

Oggi la parola di Dio ci porta a riflettere sulla vita e sulla morte, sullo scorrere del tempo e sull'eternità, sulla nostra condizione umana, ma anche sul nostro destino oltre il tempo, che è l'immortalità.

Il testo della prima lettura di oggi, tratto dal Libro della Sapienza, ci racconta chi realmente siamo, come eravamo e perché siamo diventati quello che siamo.

Prima cosa da sapere con assoluta certezza che "Dio non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi". Dio ci ha creato per un'eternità e non per un tempo limitato, in quanto Dio ha creato le cose perché vivano, perché esistano e non muoiono. Il regno dei morti è sulla terra, quello del cielo è eterno. Infatti, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità, lo ha fatto ad immagine della sua natura. Cosa sia successo, dopo questo atto creatore destinato solo alla vita, lo capiamo, nella parte finale del brano del Libro della Sapienza che ci accompagna oggi nel riflettere sulla vita e sulla morte: "per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo".

E non si riferisce alla sola morte corporale, definita da San Francesco "Sorella", ma a quella spirituale, la seconda morte, quella della vita della grazia e dell'interiorità dell'uomo. Di questa morte ne fanno esperienza coloro che le appartengono, cioè coloro che vivono nella anemia spirituale ed interiore, vivono nel peccato e non lavorano per la loro risurrezione interiore.

E per ottenere la salute fisica e spirituale sono finalizzati tutti i miracoli compiuti da Gesù. Egli vuole portare consolazione e benessere esteriore ed interiore a quanti credono e sperano il Lui.


Nel testo del Vangelo di oggi, tratto da San Marco, è raccontata, infatti, la risurrezione della figlia del capo della Sinagoga, Gairo, "il quale, come vide Gesù, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Gesù, nel frattempo, nel suo itinerare tra la gente per portare salute, conforto ed aiuto, tra cui la guarigione di una donna affetta, da anni da emorragia, successe che "dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo". Gesù chiede a quel padre che si rivolge a Lui per salvargli la figlia, di avere solo fede. E questo lo dice per indicare quale strada dobbiamo percorrere per arrivare ad ottenere ciò che chiediamo al Signore. Ci vuole una fede sincera, forte e speranzosa nell'aiuto divino, altrimenti non si ottiene nulla. Ed infatti, la figlia di Gairo viene guarita per la fede incrollabile del padre di questa bambina.

Con quali gesti Gesù guarisce? Sono descritti in questo brano del vangelo, che è tra i più belli di quelli che leggiamo, anche perché riguarda una bambina. Infatti, Gesù giunse alla casa del capo della sinagoga e vide gente che piangeva e urlava forte, come capita in ogni situazione di morte, specie quelle inattese e che riguardano bambini e persone innocenti e buone.

Gesù, quindi entra nella casa di Gairo e dice loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».

Gesù infatti non sta falsificando la realtà, ma sa benissimo che in suo potere riportare in vita i morti.

La gente quindi prende in giro Gesù, lo deridono. E lui non si arrabbia, né li maltratta, ma con grande gentilezza, vista la loro incredulità, li invita ad uscire fuori dalla casa della bambina morta. Non li vuole spettatori passivi di un evento, ma protagonisti nel credere.

Via tutti gli estranei, quelli che spesso, anche in certe morti dei nostri giorni e della nostra società, sono lì solo per salvare la faccia o fare la sceneggiata o per dovere di cronaca. Gesù prende "con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina". La famiglia della bambina e la famiglia di Gesù, gli Apostoli. Cosa fa allora? "Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni". Il miracolo è compiuto, la gente che derideva, era scettica e non credeva, fu presa da grande stupore. Alla fine dispose anche il da farsi subito: "raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare". Segretezza e servizio di sostentamento fisico, dopo la dura prova affrontata la bambina.


Ben diversa è la guarigione dell'emorroissa, come viene definita questa donna. Di cui ci racconta il Vangelo di oggi.

Da evidenziare in questo contesto il numero dodici, riportato due volte per i 12 anni di malattia della donna guarita e per i 12 anni della bambina riportata in vita. C'è tutto un simbolismo biblico in quel numero 12 che va capito e approfondito alla luce della storia della salvezza e della parola di Dio rivelata.


E come riflessione conclusiva sui testi biblici della prima lettura e del vangelo di Marco, ci viene in aiuto l'Apostolo delle Genti, San Paolo con il brano della sua seconda lettera ai Corinzi inserito nei testi biblici di oggi, il quale ci rammenta che "come siamo ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che cii abbiamo insegnato, così dobbiamo essere larghi anche nel fare il bene. Il modello di comportamento a cui ispirarci è Gesù. Infatti, noi conosciamo perfettamente chi è Cristo: "da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà".

Concretamente cosa significa questo? Come dobbiamo agire nella vita di tutti i giorni, considerando tante reali situazioni e necessità? Un criterio operativo e morale viene detto con chiarezza in questo testo paolino: "Non si tratta di mettere in difficoltà alcuni per sollevare gli altri, ma che ci sia uguaglianza". In poche parola la solidarietà, l'aiuto, la collaborazione tra i cristiani deve essere un fatto scontato. Infatti la nostra abbondanza, se c'è, deve supplire all' indigenza di chi non ha nulla, perché anche la loro abbondanza, quando c'è, supplisca poi alla nostra indigenza, in caso di necessità. Quindi uguale trattamento e uguale preoccupazione tra i credenti in Cristo. Quali devono sapere che «colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno». La nostra felicità non dipende dal possedere e dall'avere sempre di più, ma dall'essere sempre migliori in tutto.


Sia questa la nostra preghiera, in comunione con tutta la Chiesa: "O Padre, che nel mistero del tuo Figlio povero e crocifisso hai voluto arricchirci di ogni bene, fa' che non temiamo la povertà e la croce, per portare ai nostri fratelli il lieto annunzio della vita nuova". Amen.