Omelia (01-07-2018)
don Giacomo Falco Brini
Non sono invenzioni di Dio

Ogni volta che leggo questa pagina di vangelo mi domando come mai Marco ha incastonato la guarigione della emorroissa (Mc 5,25-34) tra l'incontro del Signore con il parroco Giairo sulla riva del mare (Mc 5,22ss.) e la visita in casa sua per soccorrere la figlioletta già morta (Mc 5,38ss.). Poi penso alla de-formazione "intellettiva" ricevuta negli studi in preparazione al sacerdozio, e mi viene da dire che magari non c'è un perché, semplicemente per il fatto che le cose sono andate così come il vangelo ci racconta. Comunque sia andata, faccio osservare una cosa: la morte incombe all'inizio del racconto, la morte è presente alla fine del racconto, in mezzo c'è la malattia con la sua possibilità di guarigione. Questo lo sfondo. Poi, su tutta la pagina del vangelo, si erge Gesù quale vero protagonista delle vicende. Ed ecco subito una sintesi: la vita umana su questa terra è un cammino sempre minacciato dalla morte (la bimba ha solo 12 anni) o dalla malattia (una donna che da 12 anni soffriva di perdite). Ma è giunto Colui che ha vinto e ci fa vincere sull'una e sull'altra. Però non come noi vorremmo.
Del resto, la prima lettura tratta dal libro della Sapienza ci dice in poche parole come stanno le cose. Il Signore non ha creato la morte, né può essere fautore delle malattie che conducono alla morte (Sap 1,13-15). Il responsabile è un altro, con noi complici che gli siamo andati dietro (Sap 2,24). Se dunque il dolore, la malattia e la morte non sono opera di Dio, perché prendercela con Lui? Oppure, restando dentro la nostra contemporaneità, perché prendersela con i medici? E' vero che è stata necessaria nel tempo una certa legislazione che tutelasse maggiormente la salute del malato, ma certi ricorsi o denunce che si sparano oggi come proiettili quando qualcuno muore in ospedale, sono sempre espressione di una ricerca di giustizia? O non sono forse manifestazione dell'uomo di oggi che esige sempre dalla dea scienza il miracolo di far rimanere in vita? La Bibbia fa proprie le istanze di vita dell'uomo e ci spiega che a Dio queste gli stanno a cuore. Anzi, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità (Sap 2,23).
Tuttavia, la strada di Dio per riportare l'uomo all'immortalità è diversa dall'attesa umana: si tratta di passare dentro la malattia e la morte affinché l'immortalità, prima di tutto, entri nel cuore dell'uomo. Per il cuore infatti è entrata la morte, a causa della nostra libertà; dal cuore inizia l'opera di salvezza che rende nuovamente l'uomo immortale. Perciò per Gesù non è tanto importante il fatto che una persona guarisca dal suo male fisico, quanto il professare la fede in Dio che non vuole la malattia e la morte della sua creatura. Il brano della guarigione della emorroissa è in tal senso un segno fondamentale: Gesù cerca l'incontro con il volto della donna che, pur guarita, è impaurita da quello che ha fatto (Mc 5,32-33). Non potrebbe essere altrimenti, visto che la Legge le impediva, per il suo stato di impurità, di essere toccata dagli altri. Ma l'intelligenza della sua fede le fa escogitare un colpo che dovrebbe tenerla al riparo dalle conseguenze religiose: toccare solo le vesti di Gesù le sarà sufficiente per guarire (Mc 5,28). La donna dunque guarisce miracolosamente. Ma Gesù sottolinea che il vero miracolo è la sua fede (Mc 5,34).
Noi attribuiamo normalmente più importanza ai miracoli. Anzi, a volte ci fermiamo lì e non cresciamo nella fede. Quanti fratelli vivono con il solo scopo di raccontare di aver visto cose prodigiose e soprannaturali. Però, appena si esce da quella sfera, basta una contrarietà, un imprevisto, basta una guarigione fisica non avvenuta, basta una relazione difficile, perché il mondo crolli loro addosso! Ma la fede vera nel Signore non può rimanere ferma ai miracoli. Gesù più di una volta lo ha fatto capire chiaramente (cfr. Gv 2,18; Gv 6,26; Lc 23,8-9; Mc 8,11; Mt 16,1-4). Quando portano la notizia a Giairo che tutto è perduto ed è inutile rivolgersi a Gesù, il Signore lo sfida alla fiducia imperterrita (Mc 5,36), perché vada oltre quella fede che gli ha già ampiamente manifestato (Mc 5,22-23). Quando arrivano a casa insieme a tre discepoli scelti (Mc 5,37), trovano un'atmosfera agitata tutt'altro che fiduciosa, con abbondanza di pianto e disperazione (Mc 5,38-39). Ma ecco che Gesù propone di dare una nuova identità alla morte che suscita la derisione dei presenti (Mc 5,39-40). Poi il segno anticipatore del nome nome nuovo da dare alla morte (Mc 5,41-42). Quella bimba, così come l'amico Lazzaro (cfr. Gv 11,1-45), dovettero poi morire una seconda e definitiva volta; immagino che quell'ultima esperienza sia stata davvero per loro un addormentarsi senza più paura. Il più grande miracolo che possa avvenire nella vita umana è andare incontro alla morte nella certezza di essere attesi da un Dio che ci tende la mano. Ed è una grazia che Gli possiamo/dobbiamo chiedere ogni giorno, per crescere nella fede e non aggrapparci troppo a questa vita.