Omelia (08-07-2018) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Ma la Parola non è incatenata "Siccome sono prete sembra che tante volte non debba parlare né esprimermi su determinati argomenti quando converso con amici. Sembra che vogliano evitare la mia opinione, rifiutano di ascoltarmi e quando sono costretti a lasciarmi parlare lo fanno per pura convenienza e malcelata venerazione, non volendo trovarsi in imbarazzo loro stessi o mettere in imbarazzo me. Mi trattano con rispetto e mi accolgono sempre con gentilezza, ma il fatto di avere fra loro un sacerdote li distoglie dal prendere certi argomenti oppure mi fanno capire che farei meglio a tacere e a non esprimermi". Questo è stato lo sfogo di un giovane sacerdote con il quale mi sono trovato a conversare, che esprimeva il disagio, non di rado provato anche dal sottoscritto, quando si trova in compagnia di persone "credenti ma non praticanti" o semplicemente avvinte da una certa mentalità mondana. Non che il sacerdote non venga accolto o che si rifiuti la sua figura, ma in determinate occasioni lo si ritiene superfluo e innecessario, ci si trova imbarazzati oppure lo si tratta con un malcelato distacco e tanti sono più tranquilli quando non si trovi fra di loro. Perché? E' semplicissimo. Il prete anche semplicemente presenziando fra le persone, se resta fedele alla sua scelta, porta sempre la Parola di Dio e non può fare a meno di esprimersi secondo il Vangelo o il Magistero della Chiesa. Che però fondamentalmente rifiutato. Ciò avviene dappertutto, ma per esperienza diretta e indiretta posso asserire che è soprattutto nella propria terra di origine che coi si trova respinti o messi in condizioni imbarazzanti. Missione non facile quella dei profeti che riferiscono un messaggio non di loro provenienza, ma che ha origine da Dio. Appunto perché comunicano un annuncio divino, ben distante dalle aspettative di comodo dell'umanità, che scuote le coscienze, provoca e sconvolge, cosicché tutti coloro che lo portano trovano ostilità o distanza da parte degli interlocutori. Non è raro che la refrattarietà fondamentale da parte di altri la si riscontra anche quando si è in chiesa o nel mondo del lavoro pastorale: chi per esempio segue i corsi in preparazione al matrimonio o le catechesi prima del Battesimo non poche volte lo fa quanto basta per ottemperare a un obbligo necessario per poter accedere al sacramento. E' insomma disposto a sorbire discorsi e predicozzi non condivisi pur di non aver negata quella celebrazione, senza tuttavia prendere in seria considerazione quanto gli viene detto. Molte volte è più facile che determinati argomenti vengano ascoltati con più attenzione quando vengano proferiti da laici o da operatori pastorali che non da sacerdoti, appunto per il fatto che questi sono sacerdoti. La Parola di Dio non sempre viene recepita appunto perché è tale, parola di Dio e non dell'uomo. O altrimenti si è disposti a prestare attenzione al sacerdote "amico" o "compagnone", la cui simpatia ci cattura, ma non sempre con gli effetti sperati. Una difficoltà attuale quella del ministero sacerdotale che tuttavia ha dei pregressi nella Scrittura e non è affatto nuova. Dovunque si rechi ad adempiere il mandato missionario che Dio gli ha affidato, il profeta o evangelizzatore che sia non si trova a svolgere un ruolo facile, almeno stando alla maggior parte degli esempi riportati nella Bibbia, che descrivono peraltro le medesime difficoltà nel recare l'annuncio di Dio al popolo. Il caso di Ezechiele, mandato appositamente a parlare a un popolo di dura cervice, non è unico nella Bibbia. Sono allusivi anche gli esempi del fantomatico Giona, di Geremia le cui sofferenze sono proverbiali, degli apostoli Pietro, Paolo e altri di cui parlano gli altri e lo stesso Gesù inziò il suo ministero in Galilea, terra tendenzialmente pagana e avversa e trovarsi nella sua città di origine non gli facilitò certo le cose. Di lui si sarebbe preferita la figura del "Figlio di Maria", di Giuseppe e del conterraneo, non del sedicente Messia che ora diceva cose obbrobriose che la gente ascoltava non senza provare disgusto e orripilanza. E del resto la pedagogia di Gesù è abbastanza chiara. Essa non dice che un profeta non è accetto nella propria patria ma che NON E' DISPREZZATO CHE NELLA SUA PATRIA e in casa sua. Il che vuol dire che un messo trova disprezzo e riluttanza PROPRIO nella sua terra di origine, più che in altri posti. Ciononostante, come afferma Paolo prigioniero fra i ceppi, se il suo latore può essere imprigionato, la Parola di Dio non è incatenata (2Tm 2, ) e non trova ostacolo nel disseminarsi dappertutto. Certamente potrà non trovare terreno fertile o può cadere su un suolo ostile e refrattario, tuttavia essa manterrà sempre la sua efficacia congenita e misconoscerà ogni ostacolo nel diffondersi. E anche la ministerialità del profeta non è mai vana o insignificante perché è pur sempre nell'opera di Dio servirsi di qualsiasi strumento egli ritenga opportuno. Dio inoltre non ha mai fretta che la sua Parola rechi frutto, ma lo Spirito Santo ben conosce quando tali frutti maturano per il raccolto. Non ci si può quindi intimidire per gli insuccessi e le comprensioni altrui, ma piuttosto rinnovare fiducia e volontà di intraprendenza nell'annuncio anche quando ci si trovi ad essere ostacolati e osteggiati. |