Far entrare il Vangelo nella vita
Con la solennità di oggi, la chiesa ci invita a riflettere su una verità bellissima: la nascita di Giovanni è la «prova» che Dio è presente, che Dio è ancora in mezzo al suo popolo. Quello della nascita non è un episodio a sé stante e concluso, bensì, come afferma don Bruno Maggioni, (tengo presente qui alcune sue intuizioni) l'inizio di una vicenda che va considerata in tutto il suo sviluppo.
Luca presenta anzitutto Giovanni come un predicatore, come un annunciatore. Giovanni annuncia essenzialmente due cose:
1) il giudizio di Dio e lo fa con parole forti, decise;
2) l'ipocrisia religiosa del suo popolo. Lo fa cercando di aprire, cercando di scardinare l'idea che si debba fare della propria comunità una sorta di isola, una sorta di fortino dove si custodiscono tradizioni o presunte appartenenze privilegiate. Ai figli di Israele infatti, orgogliosi di essere discendenti di Abramo, ricorda che «Dio sa trarre figli di Abramo anche dalle pietre»: non è nell'appartenenza a una razza o a una struttura religiosa che sta la salvezza, ma nella fede e nella vita. E' per questo che a Erode rimprovera la sua convivenza con la moglie del fratello e molte altre malefatte, è un dire non soltanto la distanza, ma anche l'assoluta incompatibilità con il mondo di Dio. Andò come si poteva prevedere: fu rinchiuso in prigione. È la sorte dei profeti ed è il segno della loro verità.
Mi permetto qui di fare un parallelo con quanto, come chiesa Diocesana stiamo vivendo dopo che il nostro vescovo ci ha chiesto di dare alcune linee precise al cammino delle nostre comunità: annunciare anche noi come Giovanni, con la stessa forza, con la stessa passione, perché il vangelo, (ci è stato detto dal vescovo), è un dono ricevuto ed è un dono che va restituito. Un dono da diffondere e da tenere vivo tra gli uomini (importante tenere presente questo piano orizzontale che ci invita ad entrare dentro la vita, a capire meglio le situazioni, a condividere) questa ri-consegna dell'evangelo va fatta, ci veniva detto, nella più totale gratuità. L'asse portante della vita, ci ha detto il nostro vescovo, è la gratuità; l'elemento fondante del nostro vivere credente è la gratuità. C'è come una linea nelle cose che ci sono state dette che porta ad affermare, mi sento di dire, che dove c'è gratuità c'è umanità, contro il disumano che, ma è cronaca di tutti i giorni, sta entrando con prepotenza nelle nostre case e nelle nostre comunità.
In secondo luogo, Giovanni è presentato come il testimone di Gesù. Da subito appare chiaro chi egli indichi, di chi egli parli, chi egli attenda! È forse la sua caratteristica più importante, distrarre da sé l'attenzione per porla su un altro. «Io vi battezzo con acqua, ma sta per venire colui che è più grande di me». Io vi immergo nell'acqua, ma qualcuno vi immergerà in qualcosa di più grande, vi immergerà nell'amore di Dio e farete questa bellissima esperienza, quella di una vita avvolta dal suo amore. Mi piace pensare così la nostra vita capaci fare esperienza di quell'amore perché un giorno un grembo ci ha avvolto, amato, coccolato, dato tutto quello di cui avevamo bisogno rendendoci così capaci di assaporare da subito l'amore di Dio. Forse perché con Giovanni è inevitabile parlare di battesimo, ma mi viene in mente quello che il vescovo ci diceva a proposito della liturgia: recuperare il senso del mistero per non trascinarci nel celebrare, ma per desiderare di perlomeno intravvedere; la liturgia come una scuola di umanità: entrare nel mistero per coltivare l'umano!
Giovanni - ed è la terza caratteristica - è coraggioso fino al martirio e insieme umile fino a sapersi mettere in disparte. Non approfitta della simpatia delle folle, non si mette a capo del movimento che la sua parola ha suscitato. Vuole unicamente che al centro dell'attenzione sia il Cristo. Gesù è più grande di lui: «Non sono nemmeno degno di sciogliergli i lacci delle scarpe». Infine - tratto sorprendete e importante - Giovanni sa unire alla forza della denuncia e all'austerità della propria vita una meravigliosa capacità di concretezza e moderazione. Infatti, decide di vivere nel deserto la sua amicizia con Dio, ma non dice a nessuno di fare altrettanto, non impone le sue scelte.
- Alle folle raccomanda l'amore fraterno: chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha.
- Agli esattori delle tasse che operavano al soldo dello straniero (molti avrebbero detto loro di cambiare lavoro!) dice esplicitamente di non essere esosi, ma giusti.
- Ai soldati raccomanda di non fare prepotenze, ma di accontentarsi della paga.
Quello che conta allora, è il cambiamento della vita quotidiana e normale e anche qui sottolineo come il vescovo ci abbia raccomandato di fare ogni sforzo possibile perché il vangelo entri nella vita. Saranno anche pochi ad ascoltarlo durante un incontro ci ha detto, ma ciò che conta è la volontà di far entrare il Vangelo nella vita.
C'è un'ultima cosa secondo me molto bella proprio su questo, su come molto concretamente il Vangelo può entrare nella vita: in ascolto di un annuncio fatto loro, Elisabetta e Zaccaria, chiamando Giovanni il loro figlio, è come se interrompessero una parentela. Non c'è continuità con la parentela degli uomini perché Dio chiama Giovanni a vivere un qualcosa di nuovo. Nella misura in cui riconosciamo la nostra vita all'interno di una chiamata divina, non solo nel Battista Dio fa grazia, ma in ogni persona. Ogni persona può dare origine a dei legami non di parentela ma di misericordia.