Omelia (08-07-2018) |
don Luca Garbinetto |
Amare la diversità di Gesù Non ha avuto vita facile, Gesù, con i suoi parenti e i suoi compaesani. A dire il vero, ci si sarebbe potuti aspettare un atteggiamento di maggiore compiacenza verso di lui, da parte dei suoi concittadini. Se non altro, la fama del Maestro avrebbe potuto portare qualche vantaggio a quell'angolino nascosto della Galilea chiamato Nazareth. E invece giocano nel cuore di quegli uomini strane dinamiche, probabilmente accucciate anche alla porta delle nostre relazioni. Essi si scandalizzano di lui, dopo essere stati stupiti dalla sua sapienza. Intuiscono che c'è qualcosa che li oltrepassa, che non possono controllare, e ne hanno paura. Non sono molto lontani, questi ebrei più o meno ligi alla Legge, dalla reazione degli stranieri di Gerasa dopo la guarigione dell'indemoniato, sconvolti perché la Legione di demoni si è buttata dentro una mandria di porci, e gli animali si sono scaraventati di sotto al burrone. Un enorme danno economico. Per i Nazareni, invece, il loro conterraneo procura un rischio più grave: quello della libertà! Cerchiamo di capire. Gesù appartiene a una casa, a una città, a una terra. Ma quando vi ritorna, mostra di essere andato oltre, di non essersi accontentato dei ristretti confini della parentela di sangue o delle sfumature del dialetto paterno. Nessuna ostilità, nessun rinnegamento da parte del figlio del falegname. Gesù ama la sua famiglia e le sue radici di uomo. È realmente incarnato in un tempo e in una storia di persone normali. Ma incarnarsi non significa chiudersi e rannicchiarsi nella banalità di una esistenza spesa a difendere corti diritti con affanno e aggressività. Gesù torna nel villaggio a cui appartiene, ma ci si accorge presto che egli non è possesso di nessuno. Questa diversità spiazza. Questo superamento turba, perché impegna. Questa apertura preoccupa, perché disturba le facili gerarchie con cui si struttura la vita di ogni giorno. Gesù torna dai suoi, ai quali però non permette di esercitare diritto di proprietà su di lui. Nemmeno alla madre, lo sappiamo. Lei custodiva tutte queste cose nel suo cuore fin dall'infanzia e dall'adolescenza del figlio, e pur senza capire, si affidava. Gli altri... noi... dobbiamo scegliere. Dobbiamo decidere. Si tratta di spostare il baricentro. Non più pretendere di avere a portata di mano un Gesù a nostra immagine e somiglianza, misurato sulle nostre comodità e i nostri interessi. Passare piuttosto dalla parte di chi si apre alla sorpresa, di chi si fida, e quindi si affida. Non è più Gesù ad appartenere a qualcuno. Siamo noi, con i suoi compaesani, a poter decidere di appartenere a lui. Di fronte alla diversità del Messia, che non fa altro che lasciar gridare dall'intimo delle sue relazioni l'immensa sete del Padre racchiusa nella carne di ogni uomo, abbiamo la possibilità di rischiare. Si tratta di rinunciare a continuare a difendere i nostri territori di certezze e di garanzie, impantanandoci spesso dentro un senso più o meno consapevole di inadeguatezza e di indegnità. Si tratta di lasciarsi prendere e aprirsi con coraggio alla novità di un vincolo che stordisce e sconvolge, ma allo stesso tempo rende immensamente liberi. Anche noi abbiamo paura della libertà, come gli israeliti pellegrini nel deserto dell'Esodo, come i discepoli ansiosi di primi posti, come i nostri contemporanei abbagliati dai fuochi d'artificio del consumismo. Per questo rinunciamo all'incontro con l'altro per quello che egli è, barricandoci in precomprensioni che sono poco diverse da infantili recriminazioni. Ma così, cacciamo Gesù stesso da casa sua, che poi è casa nostra. Siamo noi la nuova abitazione di Gesù. Siamo noi, concittadini del cielo e famigliari di Dio. Perché sfuggire, increduli, a tanta bellezza? |