Omelia (22-07-2018) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Modelli del gregge Il profeta Geremia al brano di cui alla Prima Lettura rassicura che Dio provvederà alle sue pecorelle, procurando loro un pastore adeguato, sollecito e premuroso. Anche Ezechiele (cap 34) riprova l'atteggiamento perfido dei pastori che, anziché rendersi guide e modelli del gregge, spadroneggiano sul popolo loro affidato perseguendo obiettivi ben differenti da quello della salute delle loro pecorelle. Pastori poco propensi, scarsamente dediti alla cultura del gregge e intenti a personalizzare il loro ministero sulla base di preferenze personali non possono che causare dispersione e confusione suscitando l'intervento risolutivo di Dio. Questi promette che non farà mancare al suo popolo i Pastore supremo ideale che si farà innanzitutto modello del gregge, guidandolo innanzitutto con la vicinanza e con l'esempio, collocandosi dalla parte di ciascuna delle pecorelle e chinandosi su ciascuna di esse con la sollecitudine paterna di chi vuole risanare le ferite e ricondurre all'ovile chi si era disperso. Il pastore supremo zelantissimo è il Messia Gesù Cristo, che più volte si è proposto con questo appellativo dimostrando effettivamente di essere ciò che di se stesso proclamava: la guida del gregge, la porta per la quale è possibile entrare nel recinto, il luogo di adunanza di tutte le pecore disperse. Di fatto Gesù è pastore in quanto egli stesso accompagna il gregge mantenendolo in unità ed evitando che si smarrisca e che si disorienti. In Gesù c'è la completezza delle prerogative del pastore, soprattutto perché egli è stato agnello, vittima immolata che per nostro riscatto ha effuso il suo sangue. E' pastore quindi perché è agnello. La pastoralità di Cristo nei nostri confronti si esercita per mezzo del ministero degli apostoli, che la scorsa Domenica abbiamo visto partire provvisti della sola assistenza della Provvidenza di Dio, per la quale potevano anche viaggiare privi di mezzi e di sostentamento, ben certi che a loro non sarebbe mancato nulla. Gli stessi Dodici adesso vengono chiamati a rapporto da Gesù e a lui riferiscono ogni cosa di ciò che hanno fatto di quanto hanno insegnato, riferendo episodi di successo ministeriale ma anche di delusione per l'ostinazione da parte degli interlocutori a non rispondere. Gesù aveva dato loro il monito di predicare la conversione e il ravvedimento e ora loro riferiscono di quanti fra la gente li hanno ascoltati e di quanti titubavano o si ostinavano a persistere nella loro via. Raccontano di persone sensibile e ben disposte all'ascolto della parola, ma di altre refrattarie e indifferenti, di coloro che li hanno accolti benevolmente nella loro casa e di quanti li hanno respinti ed esecrati. Raccontano dei miracoli di guarigione di cui sono stati capaci in forza dell'autorità che Gesù aveva loro dato, di prodigi come pure di ostinazioni di cuore sperimentate. E intanto parecchia altra gente fa ressa attorno a loro, si accalca al punto da impedire loro perfino di prendere cibo. Gesù si mostra premuroso certamente nei confronti delle pecore che vede sprovviste di pastore, ma non manca di provvedere alla serenità e al sollievo di coloro che egli stesso aveva mandato: "Venite in disparte e riposatevi." Il missionario necessita infatti di adeguato raccoglimento, di solitudine e di relax perché il suo ministero possa essere efficiente e fruttuoso. Non si può fare a meno di cercare luoghi ritirati e solitari dove raffrontarsi con se stessi e fare nello spirito il punto della situazione, per poteri riprendere poi a lavorare con rinnovata energia. Il riposo apporterà agli apostoli il risultato di un lavoro ministeriale all'insegna dell'amore qualitativo verso il gregge, carico di contenuti e di densità spirituale. Agli apostoli si chiede nient'altro che si dispongano a guidare il popolo che verrà loro affidato secondo quello che sarà poi il monito di Pietro: ""...pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge." (1Pt 5, 2- 3) Il che vuol dire camminando accanto a ciascuna delle pecore, piangendo con essa e con essa esultando, rendendosi partecipi delle sue gioie e dei suoi dolori. Farsi modelli del gregge vuol dire far proprie le loro condizioni di vita, calarsi nelle singole realtà di ciascuno e con amore, comprensione e carità proporsi quale compagnia seria e produttiva, almeno dal punto di vista spirituale. In qualsiasi attività il ministro è mandatario di un annuncio che non è di sua provenienza e del quale è consapevole di dover essere responsabile, di conseguenza non può mancare di rendere evidente a tutti la presenza stessa di Cristo con il suo stesso esempio prima ancora che nelle sue parole e nelle sue opere. Facciamoci modelli del gregge perché il gregge veda in noi il modello della sequela di Cristo. |