Omelia (29-07-2018)
fr. Massimo Rossi
Commento su Giovanni 6,1-15

Eccoci, ancora una volta all'appuntamento con il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, il cosiddetto discorso eucaristico; la riflessione durerà ben sei domeniche... e questo la dice lunga sul valore di questa pagina non solo per il quarto evangelo, ma per l'intera economia della salvezza.
Otto giorni fa sottolineavo il fatto che Gesù sapeva andare incontro a tutti coloro che gli si rivolgevano, con piena fiducia, e rispondeva pienamente alle loro preghiere, concedendo quanto chiedevano; ma il fine primo della missione del Figlio di Dio non era, non è fare qualcosa per noi, qualcosa di importante, certo... ma dare se stesso.
Il cammino della fede è analogo al cammino che un bambino deve percorrere per raggiungere la maturità affettiva: possiamo valutare i progressi di questo cammino, osservando la reazione del bambino quando riceve un dono: all'inizio sarà attratto esclusivamente dal regalo; non gli importa chi sia la persona del donatore; ciò che gli interessa, ciò che attira tutte le sue potenzialità di incontro è il regalo; salvo poi abbandonarlo in un angolo, dopo cinque minuti, attratto da un altro dono... L'effetto-novità dura pochissimo.
Il passaggio successivo è costituito dal sorgere di una nuova attenzione per la persona del donatore, ma ancora in quanto donatore del dono: "Io ti voglio bene, perché mi regali sempre qualcosa...". Quando l'abituale donatore si presenta a mani vuole, il bambino è deluso. Nella migliore delle ipotesi, ci resta male, ma non fa commenti; nella peggiore delle ipotesi... "Non mi hai portato nulla questa volta?".... imbarazzante!
Il terzo e ultimo step è l'attenzione alla persona del donatore in quanto persona e non in quanto donatore: che porti, o non porti alcun dono, la persona ha un valore in sé; un affetto adulto e maturo si orienta alla persona e non alle cose; è fine a se stesso e non finalizzato ad un utile diverso dalla persona stessa.
Gesù utilizza lo stesso metodo: comincia col dare qualcosa, col fare qualcosa, per poi dare se stesso. L'amore che il Figlio di Dio si aspetta da noi è verso la Sua persona, non verso ciò che può fare per rispondere ai nostri problemi individuali. Questo è il motivo per il quale il figlio del falegname non amava fare miracoli... I miracoli non suscitano la fede nel Cristo; al contrario è la fede in Cristo, cioè l'amore per Lui che muove Dio a compiere il miracolo.
Ricordate l'episodio raccontato sempre dal quarto evangelista, della risurrezione di Lazzaro (cfr. cap.11); quando Gesù entrò in casa e vide Marta sorella del morto, le disse: "Sono io la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi tu questo?". Le rispose la donna: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo.".
Ecco, questa è la fede, questo è l'amore che Dio si aspetta da noi!
Quando la folla che aveva mangiato quei pani tentò di prenderlo per farlo Re, Gesù fuggì e si ritirò nel deserto a pregare, da solo.
Il Figlio di Dio rifugge ogni ufficialità, ogni ‘cerimonialismo': c'è sempre una valenza politica nel cerimonialismo; e inevitabilmente questo genera un legame col potere... Prima o poi il potere busserà alla porta e presenterà il conto da pagare...
E questo, Gesù non poteva tollerarlo. E neanche oggi si può tollerare!
Sappiamo bene che quando la Chiesa e lo Stato si sono alleati - un sodalizio durato più di 1000 anni - l'esito non è sempre stato felice...
In talune circostanze storiche, a noi tutti note, i cristiani hanno rischiato di perdere la memoria della "parola della croce", per assumere l'abito del "crociato", e di cadere in forme rinnovate di trionfalismi vetusti, riducendo il Vangelo a strategia politica: potenziali dominatori della storia umana - i cristiani - e non servitori della fraternità e della convivenza, nella giustizia e nella pace.
In questi ultimi anni abbiamo assistito ad una progressiva erosione di valori come il dialogo, l'accoglienza e il reciproco ascolto: a forza di ribadire una identità cristiana senza gli altri, identità che per molti è rimasta solo una parola e basta, si è finito per usarla - l'identità cristiana -, e ostentarla contro gli altri.
Se la croce è brandita come una spada, è Gesù a essere bestemmiato da parte di chi si fregia magari del nome di Lui, ma contraddice il Vangelo e il suo annuncio disarmato e disarmante di amore.
La vera forza del cristianesimo è il vissuto di uomini e donne che con la loro carità hanno umanizzato la società, mossi dall'invito di Gesù: "Chi vuol essere mio discepolo, abbracci la croce e mi segua." (cfr. Mt 16) e dal suo annuncio: "Vi riconosceranno come miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri." (cfr. Gv 13-17).
Quando i cristiani si mostrano capaci di solidarietà con i loro fratelli e sorelle in umanità, quando rinunciano alle guerre sante ma restano nel contempo saldi nella testimonianza della fede in Gesù, non solo a parole, ma anche con i fatti, allora i cristiani possono e potranno essere riconosciuti discepoli del Signore, mite e umile di cuore, che dona se stesso a tutti e muore e risorge per tutti. La salvezza è come quei cinque pani d'orzo e i due pesciolini del Vangelo: ce n'è per tutti! e ne avanza ancora!