Da oggi, per cinque domeniche, mediteremo sul capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, discostandoci dalla lettura continua del Vangelo secondo Marco. L'inserzione avviene proprio nel punto in cui Marco tratta la moltiplicazione dei pani (collocata in quella che gli studiosi chiamano: "sezione dei pani"); questo perché a differenza di Marco, Giovanni ne approfondisce il senso, aggiungendovi il meraviglioso "discorso omiletico" pronunziato da Gesù nella sinagoga di Cafarnao (i cui resti sono stati ritrovati durante gli scavi archeologici dei padri francescani), sul quale mediteremo prossimamente.
Nei vangeli sinottici la moltiplicazione dei pani è definita come miracolo, in Giovanni è uno dei segni compiuti da Gesù; dunque, sotto la cornice dei fatti esteriori, siamo invitati a cogliere un di più che essi rivelano e a cui rimandano. Sullo sfondo, c'è l'evento della pasqua giudaica; in filigrana al nostro testo, troviamo due passi biblici; il primo testo, tratto dalla prima lettura di oggi, tratta del ciclo di Eliseo, il profeta discepolo e successore di Elia (IX sec. a.C.); e poi troviamo la cena eucaristica (si pensi già solo ai gesti: prese il pane, rese grazie, lo distribuì; i pezzi avanzati in greco richiamano l'espressione dello "spezzare il pane"), di cui questo capitolo 6 sembra quasi volerne spiegare il senso profondo, come vedremo nelle prossime domeniche.
Gesù vede arrivare le folle e pone una domanda a Filippo: dove è possibile trovare da mangiare per tanta gente? La folla ancora non si è posta il problema; Gesù sì, perché guarda con amore. Filippo fa i conti che però non tornano: non è possibile sfamare la folla neanche con 200 denari, che più o meno sono lo stipendio di un operaio di 6-7 mesi. Andrea fa notare che c'è un giovane ragazzo, ma poi si scoraggia; cosa sono 5 pani e 2 pesci per tutta questa gente? I discepoli sono messi alla prova; Gesù li invita a guardare e a confrontarsi con i bisogni della folla, potremmo dire dell'umanità e si rendono conto che soddisfarne le esigenze è oltre le loro capacità. Gesù li porta a misurarsi con cose che superano le loro forze. Nei paraggi c'è solo un ragazzo: ha poco, quanto basta per se stesso; quel poco diventa niente se misurato con la fame della folla.
È una cosa che tocca un po' tutti: finché uno vive tutto sommato per sé, ha "il necessario" per vivere; ma se ci si apre agli altri, all'amore, chi ce la fa con le sue sole forze? Ad esempio a metter su una famiglia solida che sia "per sempre"? O ad affrontare il servizio sacerdotale? O a prendersi cura delle persone che Dio gli affida? Questo ragazzo non tiene per sé ciò che ha, ma lo mette a disposizione: lo con-divide, mettendolo nelle mani di Cristo; così quel poco diventa tanto, ciò che è con-diviso, è moltiplicato. Quante volte capita che sembra di non riuscire, o di farcela più, di essere spossati, di trovarsi davanti ad una prova più grande delle proprie forze, ma affidandosi a Cristo e dicendo il proprio sì, proprio mentre ci si spezza per gli altri, si ritrovano in sé forze e soluzioni nuove. Quando ci si dona, Dio moltiplica.
Alla luce di ciò, come può cambiare la nostra esistenza? Quando si scopre che quel poco che si è o si ha, che basta solo per me, lo posso dare a Cristo: lui lo moltiplicherà. Ciò che conta dunque non è quanto uno sia intelligente o capace, ma se si mette o no nelle mani di Cristo. In questa prospettiva, il testo è profondamente vocazionale. Questo ragazzo interpella tanti giovani ragazzi e ragazze a chiedersi se non stanno tenendo la "bisaccia chiusa", vivendo la vita per sé, fermi a ciò che gli fa comodo o a ciò che gli costa meno e li chiama ad aprirsi alla gioia di condividere, di donarsi con generosità, di lasciarsi prendere da Cristo e di lasciarsi "spezzare" per gli altri, certi che è capace di trasformare il loro poco in molto. E li incoraggia a non aver paura, pensando: "ma io che devo fare?"; oppure: "e chi ce la fa a fare questo passo?". Se uno dice sì e si mette nelle mani di Dio, sarà lui a fare il resto e a trasformare il nostro "poco" o i nostri piccoli atti di carità in "un molto" capace di saziare tanti.
Questo ci dice anche l'attenzione che siamo chiamati ad avere per "la fame" degli altri, per i loro bisogni e ci spinge alla condivisione dei beni, del nostro tempo, delle nostre capacità. «Il cristiano non può essere indifferente al grido fisico degli affamati della terra, restando ben assiso e pasciuto alla sua mensa. È un po' scandaloso pensare che i posti migliori e i cibi pregiati siano concentrati a maggior ragione in nazioni di origine o matrice cristiana, mentre il Lazzaro del resto del mondo è lasciato là a morir di fame. (G. Ravasi).
Ma c'è anche un "livello" più profondo, a cui accenniamo solamente: con il segno della moltiplicazione dei pani, Gesù si presenta come pastore-profeta messianico; il popolo d'Israele attendeva il Messia che avrebbe instaurato il suo regno ripetendo i prodigi vissuti durante l'esodo, e specialmente quello della manna, che sarebbe stato il segno dell'avvento del suo regno; per questo la folla, che si attendeva un liberatore politico dai romani, vuol farlo re. Ma Gesù fugge; non è quel tipo di Messia politico e potente che loro pensano; ma è ben di più, è quel Dio potente nell'amore, venuto a dare salvezza ed eternità, che non viene per dominare il popolo, ma a dare la vita per il suo popolo.
Gesù inoltre con questo segno «prefigura il banchetto messianico nel regno dei cieli; è quella mensa che sazia e in futuro sazierà pienamente la fame interiore dell'uomo, la sua antica e mai conclusa ricerca di Dio [...] Isaia parla del giorno del Messia a Sion dove si "imbandirà un banchetto di grasse vivande, di vini eccellenti, di cibi succulenti" (Is 25,6), dove il Signore passerà ad asciugare le lacrime e vincere la morte» (G. Ravasi). Cristo è venuto per saziare la "fame di Dio" che l'uomo reca in sé, e in essa la fame di amore, di vita eterna, di verità; solo aprendo il cuore a lui, ora e in pienezza nell'eternità, l'uomo può trovare sazietà. Non temiamo perciò di accoglierlo e metter la nostra vita nelle sue mani, certi che seguendo lui non si ha nulla da perdere, ma "il tutto" da guadagnare.
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