Omelia (05-08-2018)
don Maurizio Prandi
Lasciarsi mangiare

Siamo ancora nell'ambito della durezza e della piccineria del cuore. Nel senso che Gesù si trova di fronte ad una folla che lo cerca e lo cerca unicamente perché è stata saziata. Una folla cerca Gesù perché ha risolto un problema: ha dato da mangiare a molta gente. Lo si cerca perché si vorrebbe continuare a mangiare, a saziarsi. Domenica scorsa ricordate cercavano di catturarlo, possederlo, per farlo re: avere con sé o dalla propria parte uno che in potenza è capace di risolvere il problema della fame nel mondo può far comodo, non c'è che dire!


Gesù ha presente l'equivoco, l'errore, ma non lo giudica, anzi cerca di aiutare a capire bene cosa sia importante, essenziale. Invita le persone a mettersi incammino (chi viene a me...), in viaggio; è quello che durante il mese di giugno e luglio abbiamo chiamato il cammino della fede, l'andare a lui. Una nota importante mi pare questa: Gesù insiste sul fatto che il primo passo lo ha fatto Dio, che in Gesù ci è venuto incontro: sono disceso dal cielo e questo cammino, questa ricerca di lui non deve avere incertezze, intoppi. Mi piace che Gesù voglia aiutarci e non rispondendo alla domanda che gli viene fatta, ci segnala che la ricerca può anche essere superficiale: Rabbì, quando sei venuto qua? Gesù passa oltre perché davvero quella è una domanda inutile! Ciò che importa, ciò che dà significato alla ricerca o all'incontro, non è il quando Gesù è arrivato: ciò che importa sono le motivazioni, il desiderio che mi spinge a cercare Gesù. Ma lui è bravo e prova ad educarmi, orientando la mia ricerca nella giusta direzione, ovvero i segni che lui compie, tutta intera la sua vita.


Di più: la folla si richiama alla manna e a Mosè evidenziando che la propria ricerca è orientata al passato. Gesù ci tiene a specificare che l'importanza della manna sta proprio nel fatto che pre-figura il vero pane, ovvero la sua Parola e la sua Persona. Chiamati a cercare Gesù, non il passato; siamo esperti di passato: si è sempre fatto così! Ma non teniamo di conto che la misura è quello che ci ricordiamo noi o quello di cui siamo convinti noi. Chiamati a cercare Gesù, vuol dire che dobbiamo essere aperti alla novità e non fare della nostra esperienza di fede un ri-edizione di qualcosa che è stato fatto.


La folla è interessata ad un pane "materiale, temporale", un pane che delude; lui si propone come il pane della vita. Mi piace molto questo, forse piace un po' meno alla folla e a tante persone ma Dio non dà cose, Dio da se stesso; è fatto così: gli chiedi una cosa che ti serve e lui ti spiega che meno di se stesso lui non può dare, e ti tocca accontentarti; mi piace tanto questo passaggio perché non si parla qui di messe da dire, è forte il riferimento eucaristico ma quello che davvero conta è il legame con la vita, con la mia vita, con la vita delle persone che mi sono care e quelle che mi sono affidate. Ed è importante che io capisca che questo pane né lo merito, né lo conquisto, né lo compro: posso soltanto chiederlo. È questa la nostra condizione: uomini e donne che chiedono, che mendicano; molto ma molto meglio che sentirsi padroni, sentirsi importanti, sentirsi depositari della verità: dacci sempre questo pane è l'antidoto contro l'arroganza. L'evangelista, leggevo in un commento di don Daniele Simonazzi, sa che la sua comunità, proprio in riferimento all'eucaristia, stava scivolando, slittando; la stava vivendo come un rito vuoto e pone in bocca a Gesù una domanda molto semplice: siccome il mangiare e il bere sono due cose essenziali per poter vivere, io vi sono necessario? Come vivete la vostra fede, come qualcosa di necessario come il mangiare e il bere, come sostanza della vostra vita o come una variante?


Possiamo vivere questo momento comunitario come l'obbedienza ad una norma, ad una regola, ok! Ma io sono una regola per voi e voi per me? Noi siamo una regola, una norma, un precetto gli uni per gli altri? Oppure siamo necessari gli uni gli altri proprio come il mangiare e il bere che ci sono necessari per vivere? Vivo con due ragazzi musulmani che abbiamo (uso la prima plurale perché se non fosse stato per chi prova a sfiorare con me il cammino della fede non avrei mai avuto il coraggio di prendere questa decisione) accolto in canonica alla Costa, e con loro si parla anche di Dio. Ogni tanto mi viene in mente quello che don Daniele scriveva: il Dio dei musulmani non è un Dio che si fa mangiare è un Dio a cui obbedire e basta. Un tempo anche nella chiesa (ed è una valutazione mia questa), avevamo provato ad annunciare un Dio così: devi obbedire e bisogna ammettere che è molto più semplice avere un Dio al quale obbedire che avere un Dio del quale vivere o per il quale vivere. Domenica scorsa ho celebrato un matrimonio dove è apparso chiaro durante un colloquio che ci si sposa non per ubbidirsi ma per vivere l'uno dell'altro; così come quando ad un prete viene affidata una comunità questo non si deve pensare come un uomo solo al comando! Vivere di Gesù, e di tutte le persone che con la loro vita sono segno di questo lasciarsi mangiare: questo possiamo chiedere oggi, gli uni per gli altri, nella nostra messa.