Omelia (12-08-2018) |
diac. Vito Calella |
Pane di vita divorato dal mondo I giudei facevano fatica ad avere uno sguardo profondo su Gesù. Rimanevano a quel livello superficiale del vedere in lui semplicemente «il figlio di Giuseppe» del quale conoscevano anche la madre. Niente più. Invece le parole di Gesù li scomodavano e provocavano «mormorazione tra di loro». Come poteva dire che lui era «disceso dal cielo»? Non si era mai sentito dire che Dio potesse assumere la nostra umanità. La religione cristiana è l'unica al mondo a proclamare lo scandalo dell'incarnazione, cioè l'abbassamento radicale del Dio trascendente, dell'Altissimo e inaccessibile, dell'onnipotente creatore al livello della nostra limitata condizione umana: il divino ha sposato l'umano per sempre. La fatica di capire era legittima, la mormorazione ci stava. Ma Gesù invitava a confidare: «Non mormorate tra voi». Lo dice anche a noi. Guardiamo oltre con i nostri occhi terreni. Ancora oggi Gesù per molta gente, forse anche per molti cristiani poco familiarizzati con l'ascolto orante della Parola di Dio, Gesù rimane un personaggio solo umano, che ha segnato la storia dell'umanità, ma non dice niente altro. Si, perché Gesù è distante dalla loro vita, non li ha ancora trasformati dal di dentro. Invece nel mistero dell'incarnazione del Verbo fatto carne i nostri occhi possono contemplare una esuberanza di gratuità divina, una iniziativa venuta dall'alto di venire incontro alla nostra bella ma fragilissima condizione esistenziale di persone, gettate in questo mondo nell'avventura di una vita piena di sorprese, segnata da un inizio non scelto e voluto da noi e da una fine sicura con data incognita: la nostra morte. Chi è Gesù? È «carne donata per la vita del mondo». Quell'esistenza umana uguale alla nostra, che vediamo nella corporeità del Nazareno per le strade della Galilea, della Samaria e della Giudea di quel tempo, è una esistenza segnata da un'unica finalità: Lasciarsi «mangiare» dal mondo, continuare a irradiare quell'esuberanza di gratuità, di donazione totale di tutto se stesso: una esistenza umana, la sua carne, diventata «pane di vita»: un lasciarsi mangiare dal mondo, divorare dal mondo, con uno scopo preciso: donarci la vita eterna, metterla a disposizione di tutti, di tutta l'umanità, anche di quel «mondo» di gente che continua indifferente alla sua proposta e vive come se Dio non fosse così importante. Quella vita terrena, di uomo «figlio di Giuseppe e di Maria, residenti a Nazareth» è una esistenza, una carne, destinata ad essere mangiata come si divora un pezzo di pane a mezzogiorno. Noi lo sappiamo bene cosa significa «essere mangiati come il pane»: la sua morte di croce. Il nostro sguardo su di Lui si sta facendo più profondo perché ci siamo fermati oggi, dalla frenesia e dal correre di qua e di la della vita quotidiana, e ci stiamo rendendo conto che c'è stato un atto di donazione totale avvenuto una volta per tutte ed ha trasformato tutta la storia dell'umanità e può trasformare la storia di ciascuno di noi. Ma perché l'ha fatto? Perché si è lasciato diventare «pane divorato dal mondo»? Non lo ha fatto per lui, ma per farci conoscere la fonte a cui tutti noi siamo destinati, il Padre. Lo scopo di quel suo fare della sua esistenza, della sua carne, un «pane divorato dal mondo» è per realizzare l'unica volontà della Fonte pura dell'amore gratuito, cioè del Padre, dal quale egli stesso proviene: che il Padre diventi la calamita di tutta l'umanità. L'essere «pane divorato dal mondo» è l'istruzione del Padre. In altre parole la morte di croce che Gesù subirà a Gerusalemme, rappresentata simbolicamente nel «pane divorato dal mondo», è la lezione di Dio Padre per tutta l'umanità, la lezione non fatta di parole, ma fatta di «vita donata», la lezione più profonda, più radicale della gratuità dell'amore offerta a ciascuno di noi, iniziata nel momento del concepimento umano nel grembo di Maria e giunta al termine massimo nel momento della morte di croce. Se accettiamo questa lezione, cioè la lezione del «pane divorato dal mondo», allora davvero «veniamo a Gesù Cristo», allora si, riconosciamo in lui l'uomo-Dio, cioè «l'unico che ha visto il Padre, perché Lui è il solo che viene da Dio». Venendo a Lui sarà la stessa cosa di essere attratti dal Padre. Prima che si compisse l'evento dell' essere «pane mangiato dal mondo», Filippo disse a Gesù: «Signore, mostraci il Padre, e questo ci basta». Gli rispose: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: "Mostraci il Padre"? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?» (Gv 14, 8-10b). Ma cosa comporta la nostra scelta libera di «venire a Gesù»? «Chi crede ha la vita eterna», e Gesù risorto «lo resusciterà nell'ultimo giorno». La «vita eterna» è per il nostro presente, oggi. La «risurrezione nell'ultimo giorno» è per il futuro, per quando saremo arrivati anche noi al valico necessario e inevitabile della nostra morte fisica. La vita eterna è il dono dello Spirito Santo, è il dono per l'oggi. La forza della calamita che ci attira al Padre, tutti, come suoi figli amati, adottivi, è lo Spirito Santo, che noi riceviamo in dono nel momento in cui liberamente crediamo in Gesù Cristo morto, sepolto e risuscitato: «Che noi siamo figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: "Abbà, Padre"» (Gl 4, 6) «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!" E se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8, 15-17) La vita eterna è vivere già qui ed ora, con la nostra corporeità, con ciò che siamo e abbiamo, una vita irradiante gratuità, diventiamo noi stessi «pane di vita per la vita del mondo» e col nostro corpo riempito della forza dello Spirito semineremo gesti eterni di «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di noi stessi»(Gl 5, 22) di fronte agli impulsi istintivi del nostro egoismo. Siamo stati «segnati dallo Spirito per il giorno della nostra redenzione» (Ef 4, 30) Il pane offerto nel deserto ad Elia, ormai spossato di stanchezza e depresso dal desiderio di morte, diventa per noi simbolo del «pane di vita» che è Gesù. L'acqua offerta insieme al pane, diventa per noi simbolo del dono della vita eterna, del dono dello Spirito Santo. Come Elia camminiamo verso il monte di Dio, l'Oreb della presenza del Padre che ci aspetta tutti per la comunione eterna con Lui. Il cammino di Elia è un cammino durissimo, per nulla poetico. La vita ci segna profondamente dalla sofferenza al punto di voler scomparire, perché, anche se abbiamo agito nel nome del Signore, lo stiamo soffrendo sulla nostra pelle. Ma il nostro «camminare nella carità, come anche Cristo, che ha amato ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio come sacrificio di soave odore» (Ef 5, 1) è un camminare che ci porterà sicuramente a sentire nel silenzio «brezza lieve» della presenza paterna del nostro Abbà, Padre, che, nonostante siamo come Cristo, pani divorati dal mondo, non ci abbandona mai. |