Omelia (15-08-2018)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura delle Clarisse di Via Vitellia

Ben prima della proclamazione del dogma, avvenuta soltanto nel 1950, molti grandi artisti hanno tentato di dare forma visibile all'Assunzione di Maria. Di fronte alle loro opere il nostro sguardo è quasi sempre attratto da una sorta di viaggio verso l'alto, tra lo stupore di coloro che assistono dal basso e la gioia solenne di un Cielo che accoglie Maria in tutta la sua femminile corporeità, accompagnata e spesso sorretta da angeli che non fanno nessuna fatica. C'è molta familiarità tra quella donna e il Cielo, inteso come luogo di Dio, simbolo della realtà divina, che combacia con la terra dell'uomo senza confondersi con essa. Maria non deve lasciare nulla della sua umanità per entrare in quel Cielo.
Del resto, proprio quella umanità Dio aveva interpellato e amato per prendere la nostra carne in Gesù e poterci incontrare con il cuore e il corpo di un uomo.
Maria canta quel momento iniziale come il posarsi di uno sguardo su di lei. Lo ascoltiamo nel vangelo di oggi, nel quale ella motiva così la sua esultanza: «perché ha guardato l'umiltà della sua serva».
Al principio della gloria che oggi contempliamo sta la grazia di uno sguardo.
L'esito finale della vita di Maria è il frutto maturo dello sguardo di Dio che si è posato su una condizione di piccolezza e di povertà. L'umiltà di cui si parla non è infatti una virtù, ma un dato di fatto che Maria guarda con serenità: non aveva una condizione sociale, culturale o religiosa che potesse darle una qualche visibilità. Apparteneva alle persone ritenute di poco conto, abituate a contare molto sul Dio di Israele, il Dio che ascolta la preghiera del povero e non dimentica il grido degli afflitti.
Maria si è sentita raggiunta nella sua condizione umile dallo sguardo di Dio e ne ha riconosciuto la bontà: ha visto con occhi semplici lo sguardo puro di Dio posarsi sulla sua vita, rispettoso della libertà, pieno del desiderio di farsi piccolo tra i piccoli per ritessere un'alleanza nuova. Nella luce di quello sguardo buono Maria ha potuto consegnare con fiducia la sua vita.
Ogni generazione sa di dover fare i conti con il sospetto che il serpente insinua in Adamo a proposito della bontà di Dio, dalla cui vista sarebbe meglio cercare di nascondersi.
Maria dà invece credito alla Parola che ritiene lo sguardo di Dio fonte di benedizione: «il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace!» (Nm 6,25-26). Maria sa che il buio più grande è l'inganno di non sentirsi più guardati dagli occhi buoni del Padre proprio quando il cammino si fa difficile. Con i poveri oranti di Israele ha imparato a riposare sulla fiducia che Dio vede i nostri passi anche nelle vicende più oscure della vita, anche nella povertà estrema di non poter fare altro che restare in silenzio ai piedi della croce, anche nel vuoto ammutolito del sabato santo: «tu vedi l'affanno e il dolore, li guardi e li prendi nelle tue mani» (Sal 10, 14).
La strada verso l'Assunzione al cielo - esito di gloria - inizia dunque da una povertà esposta senza paura alla luce di Dio e da un cuore puro che vede in Dio il suo Salvatore.
Colui che «ha guardato l'umiltà della sua serva» per compiere cose grandi, continua a posare lo stesso sguardo di amore anche sulle nostre umiltà, sul nostro essere di fatto, e non per virtù, poveri e piccoli.
Con la presunzione e la superbia, con la sazietà e il potere ci sottraiamo al cielo che già qui ed ora può cominciare ad abitare il nostro cuore, portandovi anzitutto un respiro nuovo di libertà.
«Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote»:
il Dio della salvezza ci libera dall'affanno di dover pensare come essere un po' più grandi e visibili; ci libera dal dover difendere o conquistare posizioni di potere; ci libera dalla preoccupazione di riempire le nostre mani di tante cose fatte passare ormai come indispensabili.
Chi si espone allo sguardo di Dio ne scopre l'Amore, si lascia liberare dall'egoismo che soffoca la vita e che, annidato nel cuore di ogni uomo, distorce e corrompe le relazioni dell'intero tessuto sociale.
Con Maria possiamo dunque finalmente cantare il Magnificat per il dono della nostra povertà, per ogni situazione della vita in cui essa si manifesta in modo più sensibile. La nostra condizione umile è la verità che ci libera, la porta che spalanca davanti a noi il cielo dell'infinita misericordia di Dio da condividere con i fratelli. A noi sta il passo della fiducia per varcare quella soglia.
L'Assunzione al cielo - pienezza di comunione con Dio - è un dono al sì di Maria, al suo passo di fiducia rinnovato lungo tutto il cammino dell'esistenza.
L'anziana cugina Elisabetta coglie perfettamente la radice della felicità, la natura del gaudio che oggi vediamo risplendere in tutta la sua pienezza: «Beata colei che ha creduto!» (Lc 1,45).
La beatitudine di Maria è promessa a chi crede nell'adempimento della parola del Signore, a chi riconosce l'unico vero Onnipotente e i suoi troni più ambiti e alti: il grembo di una vergine, la mangiatoia di un alloggio improvvisato, il sorriso che rifiorisce sul volto dei poveri, la grazia che riconsegna i peccatori ad una vita buona, un pane spezzato, due assi di legno incrociate. Qui egli dispiega la potenza del suo braccio operando la vittoria dell'amore sulla morte.
Al principio dell'Assunzione c'è dunque la Pasqua di Gesù e la fede nella sua morte e risurrezione.
Per questa fede ogni uomo che riceve in Adamo l'eredità di addormentarsi nella morte, riceve nel Signore Gesù la vita eterna. La fede che ci unisce a Gesù nel cammino di questa vita, fosse anche in un ultimo totale atto di affidamento («Gesù, ricordati di me...» Lc 23,42), è già una porzione di cielo («Oggi con me sarai nel Paradiso» Lc 23,43).
Maria risplende oggi davanti a noi principalmente come donna di fede. La sua Assunzione al cielo, più che viaggio verso l'alto, è l'ultimo decisivo atto di affidamento al Padre, il definitivo abbandono fiducioso che nell'ora della morte ripete ancora: «avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Il cielo di Dio si spalanca allora come dimora per Maria, come dimora per il suo cuore e per il suo corpo che un tempo avevano accolto il Cielo disceso in terra, il Figlio di Dio; come dimora per l'intera sua umanità resa bella dalla grazia di cui Dio l'ha colmata; come dimora per tutta la sua esistenza trascorsa a contemplare il mistero dell'Amore nella carne di Gesù.
Gli affreschi dell'Assunzione vanno guardati ricordando quelli dell'Annunciazione. Insieme essi dipingono l'arco della vita di Maria come dialogo tra cielo e terra, tra Dio che scende a far grazia agli umili e ne rende feconda la vita e l'uomo che, aprendosi alla fede, fa spazio all'amore di Dio che alleggerisce il cuore e l'esistenza da ogni ingombro di egoismo. In questo dialogo il cielo e la terra, Dio e la nostra umanità si incontrano, riconciliati, nel canto dell'Amore fedele.
Maria assunta in cielo è un segno e una festa di speranza per tutti noi. Ci attende un compimento di felicità come meta di una via che fin d'ora illumina di beatitudine i nostri volti e i nostri passi, non perché vincenti nella logica del mondo, ma perché forti della certezza di essere amati da Dio nella nostra povertà, creature umili ma mai umiliate dal suo sguardo di bontà, figli che già possono condividere la regalità del suo Amore che sempre si di dona.
Per questo oggi in modo particolare ci uniamo alle generazioni che cantano la beatitudine di Maria e in lei e con lei intonano esultanti l'inno di grazie alla misericordia di Dio.