Omelia (19-08-2018)
don Luciano Cantini
Vivere per Cristo

Si misero a discutere aspramente fra loro

Gli uomini sono fatti anche di "parole", ognuno ha da dire la sua, portare le proprie ragioni, far conoscere i propri convincimenti: il problema è capire il perché di tanta asprezza. Quando il balletto è fatto solo di parole non si arriva da nessuna parte con il rischio di perdersi nei meandri delle motivazioni e dei reconditi motivi.

Oggi la parola è amplificata e diffusa con grande semplicità dai network con il rischio che sia diluita con facilità e perda rapidamente di significato. Basta prestare orecchio ad ogni campagna elettorale e confrontare il prima con il dopo. "Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare" ci abbiamo fatto l'abitudine!

Giovanni, però, fin dall'inizio del suo vangelo ci dice che "la Parola si è fatta carne" (1,14), è entrata nel tessuto della storia degli uomini, non è rimasta nell'empireo delle idee per diventare carne e sangue della umanità.

La carne e il sangue sono immagine della debolezza e della fragilità umana (Cfr. 1,13); la Parola si è fatta debole e fragile come lo è l'uomo: è proprio l'umanità di Gesù calata nella storia che ci permette di vedere, ascoltare, toccare il mistero di Dio nella fragilità e debolezza della esperienza umana.


Se non mangiate

Per sette volte Gesù, in modi diversi, ripete la stessa cosa spiegandolo, in forma negativa, affermativa, dubitativa, rivelando cause e relazioni, comparando, confermando. Per sette volte ci chiede di mangiare: viene usato il verbo Trōgō che significa masticare, rappresenta nello sminuzzare con i denti il gesto che libera il gusto e nello stesso tempo il primo passo della digestione, della assimilazione. Gesù ci chiede di assimilare lui, la sua debolezza e la sua fragilità che si è offerta e fatta dono.

Non è un rito da compiere come quello della Eucaristia, ma "avere in voi la vita": non c'è automatismo nei gesti quanto esprimere il bisogno di comunione profonda con il Figlio, così come Lui vive per il Padre. Il senso della nostra fede, della nostra preghiera, dei sacramenti è proprio la comunione di amore, di desideri, di volontà col Gesù e con il Padre: se questo non è l'obiettivo ogni rito perde il suo senso.


E beve il mio sangue

Nel libro del Levitico (17,14) si legge: "la vita di ogni essere vivente è il suo sangue, in quanto sua vita" per questo è ordinato di non cibarsi di sangue e le regole della cucina ebraica (e islamica) sono ferree e tassative.

Alla discussione aspra dei Giudei Gesù aggiunge un nuovo elemento dirompente: il sangue, incomprensibile e scandaloso. Gesù offre la sua vita come dono; la sua carne e il suo sangue sono spesi e messi in gioco per la vita dell'uomo, per la vita degli altri; è l'amore totale di Dio senza mezze misure. La carne e il sangue che Gesù offre è il suo sacrificio per la vita del mondo, mangiare la sua carne e bere il suo sangue è entrare in questa ottica di sacrificio: "Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" (Gv 13,15). Il mistero della Croce incombe sulla vita di Gesù e sulla vita dell'uomo.

Gesù chiede di mangiare e bere, di assimilare la carne e il sangue, di far entrare in noi il mistero della Croce, dell'amore totale. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.

A noi è chiesto proprio di "vivere per Cristo", lasciare che il dono ricevuto plasmi i nostri pensieri e i nostri sentimenti in una vita trasformata in dono. La "spiritualità" cristiana ha la concretezza della vita calata nella storia: Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (Rm 12,1).