Omelia (02-09-2018) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Giù la maschera Papa Francesco condanna senza riserve il "carrierismo" nella gerarchia ecclesiastica, invitando il clero alla povertà e alla semplicità di vita per essere prodigo nei confronti dei bisognosi. Una realtà purtroppo esistente nel clero, che si coniuga con millanteria, vanità e presunzione. E' mia esperienza personale che vi siano seminaristi e sacerdoti ben compassati nei modi e nel tatto, attillati e composti nel vestire in giacca e clergyman, che trovano pretesti per trascurare, nel loro ministero la visita agli anziani, agli ammalati o alle persone semplici, prediligendo amicizie di un certo rango o di livello elevato. Talvolta ho sentito di sacerdoti con la "puzza sotto il naso" o presbiteri appena ordinati che avrebbero esclamato: "Sono prete, non ho più bisogno di niente." Come se il sacerdozio dischiudesse ad ogni sorta di garanzie. Ipocrisia e presunzione, orgoglio e vanità sono a mio giudizio il morbo primario da perseguire ancor prima del carrierismo, poiché proprio queste sono alla base di quello. E' sconcertante del resto notare (anche questo fa parte della mia esperienza) che tante persone semplici, dimesse e generose passino sempre inosservate quanto alle posizioni di rilievo: non vengono mai esaltati i meriti di sacerdoti sensibili che lavorano nella mansuetudine e nel silenzio e tante volte non fanno carriera coloro che davvero lo meriterebbero. Non di rado hanno successo solamente i boriosi e coloro e gli ammazzasette che ostentano qualità solo apparenti o mettono in mostra solamente se stessi. Chissà quando verrà finalmente bandita l'apparenza e la presunzione e verranno esaltate le persone sensibili e generose che spesso lavorano nel silenzio e nel nascondimento? Di tante persone destinate a non fare mai carriera perché incapaci di doppiezza e di falsità, ma sempre fermi nei principi in cui credono? Come diceva Totò, "in questo bellissimo paese, per essere riconosciuti qualcosa, bisogna morire" e infatti solamente al limitare della loro vita ci si accorge delle persone che contano realmente. Siamo attratti dal fascino subdolo dell'apparenza e dell'eccessivo rumore ostentato per nulla. Ci seducono le attrattive esteriori delle persone o delle situazioni, la loro parvenza e la falsa apparenza mentre la qualità vera ci passa sotto gli occhi e perfino coloro che dovrebbero farsi latori di umiltà e di semplicità, come i ministri di Dio non di rado sono avvinti da questa logica. Ammettiamo anche un'altra realtà di fatto: nella stessa pastorale della Chiesa molte volte siamo costretti ad attenerci spesso alla lettera delle norme canoniche, dei precetti, delle imposizioni che a volte ci distolgono dall'obiettivo di comunicare al popolo di Dio la spiritualità vera e non ostentata. E in ogni caso l'apparenza prende non di rado il sopravvento sulla qualità e come diceva Pirandello: "Nella vita capirai a tue spese che ci sono molte maschere e pochi volti." Eppure l'insegnamento innovativo di Gesù è molto chiaro ed esaltante: ci invita a mettere da parte il formalismo ipocrita di pratiche esteriori, il più delle volte scaturite da consuetudini e precetti umani, e a prestare attenzione al nostro vero obiettivo: la messa in pratica sincera e coerente della parola di Dio. Rimproverare a persone semplici e virtuose di prendere cibo con mani immonde è davvero meschino e arrogante quando si è immondi noi stessi nell'intimo e quando la coscienza ci rimprovera ben altre inadempienze. E' troppo facile puntare il dito su persone rozze, incolte e poco attente all'igiene e alla sanità quando noi, apparentemente candidi e immacolati, siamo invece sordidi e riprovevoli nella coscienza. Come poi ammonisce Gesù, è ancora più riprovevole pretendere che altri osservino consuetudini esteriori quando da parte nostra si trascura spesso e volentieri ciò che è determinante per avere dei meriti, cioè la Parola di Dio: il Signore non ha certo comandato l'osservanza di precetti di uomini o di consuetudini e seppure determinate usanze vanno salvaguardate non devono in alcun modo oscurare il primato della Parola. E' vero certamente che determinate tradizioni possono essere espressione dell'arte e della cultura di un popolo e che determinate consuetudini anche quanto all'igiene non debbano essere trascurate anche per la dignità stessa della nostra persona, ma resta sempre pericoloso che l'esteriorità debba avere il sopravvento sulla franchezza e sulla vita interiore. Soprattutto perché l'esasperata ostentazione di parvenza e di falsa perfezione è anche deleteria per noi stessi, oltre che per tutti coloro che ci avvicinano: non è impuro ciò che entra dalla bocca, ma ciò che vi esce perché la sordidezza perniciosa proviene non dal fisico, ma dal cuore dell'uomo che è la radice di tutti i sentimenti. La malignità covata interiormente, la cattiveria latente, il vizio e l'ignominia sopita nel cuore tendono sempre a manifestarsi e a corrompere ineluttabilmente l'uomo. Anche Paolo rivendica la secondarietà di determinati usi, quando questi possono offuscare il primato dell'opera redentrice e salvifica del Cristo: "Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali «Non prendere, non gustare, non toccare»? Tutte cose destinate a scomparire con l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne."(Col 2, 20 - 23) E a foraggiare ipocrisia vana apparenza ridicola, rendendoci vittime della nostra stessa presunzione. |