Omelia (02-09-2018) |
diac. Vito Calella |
Meglio «sporcarsi le mani»... di carità Essere puri ci cuore è profondamente diverso dal dimostrare agli altri di essere puritani, con atteggiamenti esteriori di pratiche ossessive di preghiere rituali e preoccupazione di non «sporcarsi le mani» con persone diverse da noi perché "macchiate" di miseria materiale e morale. L'atteggiamento farisaico della separazione da tutto ciò che rende impuro può diventare una modalità di comportamento anche di credenti praticanti come riteniamo esserlo noi, che frequentiamo la comunità cristiana, andiamo a messa tutte le domeniche, facciamo buon viso davanti a tutti, magari sentendoci migliori di tanti altri, persi in situazioni cosiddette "incasinate". Nessuno di noi è immunizzato dalla radice del male che abita dentro il nostro cuore, cioè nel mondo interiore della nostra coscienza dotata di libertà di scelta, a servizio del nostro "io". Gesù è chiaro: ciascuno di noi è un potenziale "prostituto", assassino, adultero, sregolato, malvagio, ingannatore, sporco nelle intenzioni e nelle azioni che può mettere in atto contro gli altri, invidioso, calunniatore con l'arma della sua lingua, superbo, stolto. La radice diabolica del male abita nel cuore dell'uomo fin dalla sua giovinezza, fin da quando può esercitare la sua facoltà di scegliere tra il fare il bene e il fare il male. Le parole di Gesù sono un'avvertenza già denunciata nel libro di Genesi: «Non tornerò più a maledire il suolo a causa dell'uomo, perché il disegno del cuore umano è malvagio fin dall'adolescenza» (Gn 8, 21a). Le parole di Gesù ci richiamano alle opere della carne, denunciate dalla Parola di Dio mediante l'apostolo Paolo, che avverte: «Le opere proprie della carne (cioè della nostra condizione umana), sono manifeste: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, magia, inimicizie, lite, gelosia, ire, ambizioni, discordie, divisioni, invidie, ubriachezze, orge e opere simili a queste» (Gl 5, 19-21). Rivolgendosi a Caino, Dio dice anche a ciascuno di noi: «Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai» (Gn 4,7). Quale rimedio per vigilare e dominare questo brutto animale accovacciato alla porta del nostro cuore, cioè il male, possibile a scatenarsi dal di dentro di noi stessi? È il dono della Parola di Dio. Sia la prima lettura, del Deuteronomio, sia la seconda lettura, dalla lettera di Giacomo, ci danno questa risposta: «Ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, perché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso del paese che il Signore Dio dei vostri padri, sta per darvi [...] Li metterete in pratica perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli» (Dt 4, 1.6a) «Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo ed ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre della luce. [...] Di sua volontà egli ci ha generati con una parola di verità, perché noi fossimo come una primizia delle sue creature. Accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime. Siate di quelli che mettono in pratica la parola, e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi» (Gc 1, 17a.18.21-22). Ma non basta la buona volontà. I farisei erano scrupolosi nell'osservanza delle leggi, ma in nome della loro esclusiva buona volontà avevano manipolato il dono della Parola di Dio facendolo diventare tradizione di uomini. Avevano interpretato e applicato alla maniera puramente umana i precetti e le norme della Sacra Scrittura creando un sistema di separazione e di discriminazione tra buoni e cattivi, puri e impuri. Erano diventati manipolatori della Parola di Dio e non veri custodi, pur di non «sporcarsi le mani» con vere e proprie opere di carità, di giustizia e di misericordia, soprattutto verso i più poveri, verso gli ammalati, i sofferenti, addirittura giudicati da loro come esclusi e castigati da Dio stesso. I loro riti esteriori nascondevano la loro ipocrisia e ben gli stava la critica di Gesù, citando il profeta Isaia: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Mc 7, 6-7 = Is 29,13). Il dono della Parola seminata nei nostri cuori sia vivificato dalla luce e dalla forza dello Spirito Santo, che «viene in ausilio delle nostre debolezze» (Rm 8, 26). L'azione dello Spirito Santo in noi, produce il frutto dell' «amore, gioia, pace, generosità, bontà, benevolenza, fiducia, mitezza e dominio di sé» (Gl 5, 22-23). Accogliere con docilità la parola seminata in noi significa svuotamento delle nostre pretese di autosufficienza, per far spazio all'azione dello Spirito Santo in noi. Allora si, potremo dire: «Meglio "sporcarsi le mani"» di carità, perché «la religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri di cuore» (Gc 1, 27). Illuminati e guidati dallo Spirito Santo, e non dalla nostra esclusiva buona volontà, agiremo con giustizia e parleremo lealmente senza calunniare con la lingua, non faremo danno al nostro prossimo, non presteremo denaro con usura, né accetteremo doni contro l'innocente. Saremo saldi per sempre agendo in questo modo. |