Omelia (08-12-2001)
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Maria, Arca dell'Alleanza, ci precede nella vittoria sul peccato

Colletta
Il Padre preserva la Vergine "da ogni macchia di peccato" per preparare al Figlio un tempio nel quale possa venire a stare tra gli uomini. L'Immacolata Concezione è quindi un dono speciale e irripetibile della Grazia in vista del compimento del Mistero dell'Incarnazione.
Secondo la simbologia biblica della Dimora, identificata prima con la tenda dell'Arca dell'Alleanza e successivamente con il Tempio di Gerusalemme, non basta costruire una casa affinché Dio vi abiti e in essa sia possibile rendergli culto. E' necessario che il luogo a Lui riservato sia adeguatamente disposto ad accogliere la sua Presenza. La Dimora deve essere consacrata perché Dio ne prenda possesso.
Perciò dire di Maria che è stata a Dio "dedicata" fin dal primo istante della sua esistenza, e dunque preservata dal peccato tramite un atto della grazia, rientra nella medesima logica. Assolutamente unico è dunque quel tempio che è il corpo e, nello stesso tempo, tutta la persona di Maria. Nonostante però la maternità di Maria sia unica, e perciò unica anche la grazia che accompagna la sua missione, l'Immacolata Concezione della Madre di Dio avviene in forza della stesso principio per il quale in seguito ogni credente viene purificato, cioè sempre "grazie alla morte di lui".
Solo per mezzo del Mistero Pasquale infatti la salvezza raggiunge ogni essere umano, Maria compresa.

I lettura: Gen 3,9-15.20
La lezione liturgica di questa pagina biblica non è completa. Per un interpretazione più profonda e completa bisognerebbe prendere in considerazione una porzione più ampia del testo biblico da cui è tratta.
La parte proposta riguarda la constatazione del peccato da parte di Dio e la maledizione del serpente. Il racconto della disobbedienza viene perciò solo suggerito alla memoria, mentre si omettono vari versetti per giungere rapidamente a fare quello che potremmo definire una specie di "primo piano" su Eva, la «madre di tutti i viventi». I tagli della liturgia spesso non assecondano le esigenze esegetiche, ma in questo caso vogliono suggerire all'assemblea, pur tenendo presente l'insieme, di non incentrare oggi l'attenzione sul peccato dei progenitori e sulle sue conseguenze, quanto sulla speranza con la quale fin dall'inizio la Parola di Dio allevia la tragedia della caduta dell'uomo. E' l'annuncio del cosiddetto protoevangelo che deve risuonare nella celebrazione: la discendenza della donna "schiaccerà la testa" del serpente.
Nel prendere spunto da temi paolini come Cristo "secondo Adamo" (Rm 5) e Cristo "discendenza" di Abramo (Gal 3,16), i padri della Chiesa hanno sviluppato l'idea di Maria come "seconda Eva". Infatti come Eva è stata partecipe della disobbedienza di Adamo, al contrario Maria è stata partecipe dell'obbedienza di Cristo. In questo senso è perciò anche madre di tutti i "viventi" in Cristo, cioè di tutti i redenti.
Un aspetto da evidenziare è la nudità, che segna la situazione dell'uomo dopo il peccato. Non si tratta solo della scoperta della concupiscienza. L'essere nudi nella Bibbia abbraccia un contesto simbolico più ampio. La nudità è una situazione di debolezza manifesta, di incapacità a difendersi, di umiliazione totale. Con il peccato l'uomo non fa' che scoprire in modo tragico la sua realtà di essere fatto di carne, la sua radicale fragilità di creatura abbandonata a se stessa a causa della disobbedienza. E il primo effetto è la paura, sia dell'altro, sia di Dio. Infatti soprattutto davanti a Lui Adamo cerca di nascondersi. La redenzione sarà perciò spesso presentata come un atto di "rivestimento" da parte di Dio (Cfr. ad es. Ez 16). Oggi perciò la Chiesa legge sulla bocca di Maria le parole di Is 61,10: «la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza...».

II lettura: Ef 1,3-6.11-12
Anche qui si riscontra un grosso taglio: la lezione liturgica propone solo l'inizio e la parte conclusiva del grande inno di apertura della lettera agli Efesini. La forma è quella di una beraka, cioè di un rendimento di grazie fatto a Dio per la sua opera di salvezza. Si benedice Dio, si rende a lui grazie, perché è Lui che ha benedetto prima noi con la sua grazia. Tale benedizione è spirituale, cioè nello Spirito che la realizza, e consiste principalmente nel fatto che i credenti sono resi santi e immacolati per vocazione fin dall'eternità. Cioè sono predestinati da parte di Dio Padre in vista della appartenenza a Lui come figli adottivi in Cristo Gesù.
La "santità" e l'essere "senza macchia" erano nell'Antico Testamento due modi di designare la purità rituale che si richiedeva alle vittime sacrificali e a chi le offriva. Nel nostro testo invece è chiaro il passaggio da questa definizione di purità ad una più interiore, che riguarda la coscienza e l'atteggiamento esistenziale dell'uomo. Ciò che in ultima istanza purifica l'uomo è infatti la carità effusa nei cuori "per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Cfr. Rm 5,5).

Vangelo: Lc 1,26-38
I primi due capitoli di Luca, detti anche "vangelo dell'infanzia", sono il contesto generale di questa famosissima pagina, preceduta immediatamente dal racconto dell'annuncio a Zaccaria nel Tempio della nascita di Giovanni il Battista (Lc 1,5-25) e seguita dalla visita di Maria ad Elisabetta (Lc 39-56). La visione di Zaccaria e la sua ambientazione hanno introdotto in pieno il lettore nel clima della liturgia del tempio, con tutti i suoi richiami veterotestamentari. La continuità con la tradizione è espressa chiaramente: la legge e il culto sono protagonisti. Anche il fatto che un profeta nasca da una stirpe sacerdotale non costituisce una sorpresa; ci sono infatti degli illustri precedenti come Geremia, Ezechiele o Zaccaria. Invece che l'angelo sia mandato per iniziativa diretta di Dio ad un villaggio sconosciuto, periferico e sia religiosamente che politicamente poco importante come Nazareth costituisce un fatto totalmente inatteso. Ma ancora più inatteso è il tenore del suo dialogo con Maria, a cominciare dal saluto: chàire, kecharitoménê.
La vergine non si sorprende dell'angelo, ma del suo modo di chiamarla. Non c'è turbamento in lei per la manifestazione improvvisa del divino. Forse è la prima nella Bibbia che, sentendo Dio a pochi passi da sé, non ha paura di morire, come anche era successo poco prima a Zaccaria, terrorizzato nel santuario. Non si spaventa, ma subito riflette su quello che le sta accadendo: che senso hanno queste parole? E' la stessa domanda che da secoli si fanno gli interpreti.
Nonostante l'imperativo chàire sia un saluto abituale in greco come il nostro "ciao", l'uso che nella Bibbia greca si fa del verbo, soprattutto l'invito alla gioia che nelle profezie si fa di frequente all'indirizzo del popolo o di Gerusalemme, fa pensare che bisogna stavolta intenderlo letteralmente, e cioè: "Rallegrati!". L'espressione di saluto è normalmente seguita dal nome di colui al quale si rivolge il saluto. Perciò il nome di Maria, secondo l'angelo, è kecharitoménê. La forma del participio perfetto passivo del verbo charitoô è inusuale, e il significato difficilmente traducibile con una espressione semplice. Occorre rifarsi all'uso normale del verbo, ancora secondo la Bibbia dei LXX, dove il significato esprime preferenza e favore verso qualcuno, da parte di Dio, del re o di una persona amata, ma anche l'assistenza e l'aiuto efficace di Dio in funzione di un incarico affidato. Diventa necessario, per dire tutto questo, un piccolo giro di parole. Il risultato potrebbe essere: "Rallegrati, tu che sei fatta oggetto della benevolenza attiva e continua di Dio". Non è molto poetico, ma è più fedele.
La traduzione abituale "piena di grazia" non è sbagliata, ma, pur avendo il pregio della concisione, purtroppo ha il difetto di mettere l'accento sulla dimensione, potremmo dire, quantitativa, più che sull'intensità qualitativa dell'azione divina nella persona della Madre di Dio. Come se Maria si dovesse intendere come una specie di recipiente che Dio ricolma con un "qualcosa" che è la grazia. Più profondamente le parole dell'angelo sono il concentrato di un mistero di amore premuroso, di una benevolenza reale ed efficace da parte di Dio verso Maria e, attraverso di lei, verso il suo popolo Israele e verso l'umanità. E' come dire: Dio ama in modo pratico, con in fatti, con la concretezza dei suoi doni, non a parole. Egli realizza sempre ciò che dice. E lo dimostra in Maria, oggetto singolare della sua opera di grazia.

Visione d'insieme
E' bene, in genere, che la predicazione sia anche teologica e contemplativa, non solo incentrata su considerazioni morali. Certamente questa festa è l'occasione per un riflessione più approfondita sul mistero dell'amore gratuito di Dio e della sua bontà che ci trasforma, e che precede dall'eternità le nostre azioni e i nostri meriti. Tale predestinazione però non è fine a se stessa, ma è in funzione di una vocazione e di una missione che Dio affida a coloro che ha scelto.
La visione d'insieme può essere suggerita sempre dal testo del vangelo, quando descrive il concepimento di Gesù per azione dello Spirito Santo: «...su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo». L'allusione al tabernacolo nel deserto e all'arca dell'Alleanza, nel cuore del santuario, è inequivocabile. Es 40,34-35: «Allora la nube coprì la tenda del convegno e la Gloria del Signore riempì la Dimora. Mosè non poté entrare nella tenda del convegno, perché la nube dimorava su di essa e la Gloria del Signore riempiva la Dimora". Come la nube si posò sul santuario in cui fu posta l'arca, non permettendo a nessuno di entrare, così su Maria sì è posata la nube dello Spirito Santo. La santità è il primo attributo di Dio. Egli non avrebbe potuto prendere possesso del santuario, che è Maria, se Maria non fosse stata santa fin dal principio. In questo caso, infatti, Dio non sarebbe stato il solo Signore del suo santuario, ma ne sarebbe stato il "secondo" Signore. L'analogia della fede ci porta perciò a concludere che Maria è pronta per essere Tempio del Figlio dell'Altissimo fin dal primo istante del suo esistere come creatura umana.
L'istante della creazione di Maria coincide con l'istante della sua redenzione. In lei il peccato non è mai stato presente in nessuna forma. La sua persona non è stata mai "purificata", come i Maccabei dovettero fare con il Tempio profanato. Ma questa grazia unica è in funzione della vocazione unica di Maria nell'economia della salvezza, alla quale lei risponde liberamente e pienamente. E giunge a lei sempre in forza della salvezza guadagnata da Cristo con il suo sacrificio, alla quale però la Vergine Madre partecipa in modo speciale e unico, per il bene di tutti noi.

Commento a cura di Gianmario Pagano