Omelia (02-09-2018) |
don Alberto Brignoli |
Un po' più di essenzialità! A volte, ci perdiamo in un bicchier d'acqua. Ci facciamo mille paturnie su un mucchio di cose che sono veramente quisquilie. E perché uno si comporta così, e perché l'altro fa così, e perché questo dice bianco quando è nero, e perché l'altro vede nero mentre è bianco; e perché questo non rispetta le regole come tutti, e perché quest'altro le rispetta troppo; e perché questa amica non parla più con quell'altra, e perché questo amico non esce più col gruppo....e santa pazienza!!! Possibile che ci sia gente che non è assolutamente capace di farsi gli affari propri e di vivere e lasciar vivere a ognuno la vita come vuole? Nella misura in cui uno non lede la libertà degli altri o non commette un reato nei suoi confronti, perché mai non deve poter pensare, mangiare, bere, vestirsi, credere, parlare come vuole? L'essenziale nella vita credo sia quello di comportarsi in maniera onesta, rispettando gli altri e non pretendendo che gli altri si pieghino al mio modo di pensare, mangiare, bere, vestirsi, parlare. Non pensiate sia un discorso qualunquista, tutt'altro: è un impegno di grande responsabilità, basato sul primato della coscienza personale e sull'ineludibile riferimento alla coscienza pubblica e civile. L'esatto opposto del qualunquismo o dello scetticismo, che invece ritengono inutile ogni cosa e quindi possibile tutto senza assegnare alcuna scala di valori. Andare alla ricerca dell'essenziale significa avere molto ben presente quali sono le cose che contano nella vita, e fare tutto il possibile in modo da poter raggiungere quelle cose in maniera diretta, senza tergiversazioni, in modo essenziale, appunto. Quando invece davanti all'essenzialità dei principi si mette tutta una serie di cavilli burocratici, di problemi amministrativi, di atteggiamenti legalisti e giustizialisti, allora tutto l'apparato che si crea intorno a questo modo di fare perde di consistenza, di spirito, di vita, e ci riduce a dei robot senza libertà, che devono solo eseguire dei comandi predefiniti. E purtroppo, nemmeno la religiosità è esente del tutto da questo modo di pensare, da questa assolutizzazione della legge o della tradizione come se fossero una sicurezza per vivere la vita di fede. Quanto spesso, anche nelle nostre comunità cristiane, c'è gente preoccupata solo di come si comportano gli altri, di come vivono o non vivono la loro pratica religiosa, di quanto poco o molto credono, e via di seguito. E soprattutto, quanto spesso, da questo atteggiamento, scaturiscono atteggiamenti di giudizio e anche di condanna! Purtroppo, non è infrequente notare che questi giudizi sommari e lapidari provengono da gente che non solo ha dimestichezza con le cose del sacro, ma addirittura ha responsabilità all'interno della Chiesa. A partire da noi pastori e da quanti hanno un'autorità o un incarico nella comunità, oppure da quanti svolgono un servizio in maniera talmente "egocentrica" da diventare padroni più che servi, sono davvero tanti gli episodi messi in atto per criticare e giudicare chi non si comporta secondo le tradizioni, o scendo le normative canoniche o secondo le direttive date dalla Chiesa locale piuttosto che dal Magistero. E tra l'altro, come dicevo all'inizio, perdendosi in un bicchier d'acqua, affrontando la religiosità a partire da cose banali, superficiali, ritenute invece spesso da questi credenti "i fondamenti" della fede. Magari scomodando anche i grandi della fede: teologi, maestri della spiritualità, grandi pensatori, autorità religiose, a supporto e difesa del loro pensiero. Insomma, niente di nuovo rispetto a quanto vissuto da Gesù al termine della distribuzione miracolosa dei pani e dei pesci (non dimentichiamo che Marco ci aveva lasciati a quel punto, un mese fa), quando qualche benpensante della fede rimane talmente scandalizzato dai discepoli di Gesù che avevano distribuito il cibo ai cinquemila senza fare le abluzioni, da scomodare addirittura capi e autorità dei Giudei da Gerusalemme (siamo a Cafarnao, in Galilea) per interrogare Gesù sulla sua dottrina e sulla sua etica, per giudicare ed eventualmente trovare un motivo di condanna per questa pratica così "peccaminosa" attuata dal Maestro. Ma Gesù non si perde d'animo, e non si lascia condizionare da queste "moine" dei falsi credenti, e li smaschera dal profondo, lui che conosce la profondità dell'animo umano: li smaschera perché sono ipocriti, attori commedianti abituati a recitare la parte con una maschera, incapaci (anzi privi di volontà) nel vivere una fede vera, profonda, che vada all'essenziale delle cose, che punti a ciò che conta, che guardi non alle apparenze, agli abiti, agli stili, ai modi di fare, ma al cuore, all'essenza della fede. Una fede, appunto, "essenziale". A cosa serve osservare tutte le tradizioni e le norme, anche le più piccole e cavillose, se questo serve solo per mostrare agli altri un senso di appartenenza religiosa e magari farne motivo di vanto, di superiorità, di giudizio, di condanna, senza invece amare in profondità ciò che si professa con le labbra? A cosa serve dirsi cristiani perché si va a messa tutte le domeniche, si segue alla lettera il diritto canonico, si osservano tutte le disposizioni liturgiche, si conosce tutto il rituale sacramentale alla perfezione, se questo serve solo per giudicare, per criticare, per sentirsi migliori degli altri? Dai, per favore, un po' più di essenzialità nella fede: è questione di cuore, in fondo, e non di norme! |