Omelia (09-09-2018)
don Mario Simula
Misterioso Dio dei Disabili

E' una incantevole primizia il canto di misericordia e di tenerezza che Dio riserva a te e a me, poveri disabili nel cuore. Mi pare di comprenderlo: sono io che scateno in Lui la dolcezza degli atteggiamenti di bontà e di accoglienza. La mia persona vale quello che è. Nemmeno un centesimo in più. Sono una povera creatura, pensata da Lui come un capolavoro, come un prodigio. Senza copie, senza imitazioni, senza cloni. Originale così. Con queste mani, con questa statura, con questi occhi e orecchie. Con questa storia.

A Dio piacciono poco i: "Se fossi stato, se fossi nato, se avessi avuto...!". Sono parole a perdere, davanti ai suoi occhi e dentro le sue orecchie. Non riescono a fare rima con le sue: "Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi".
Dio vuole la mia salvezza anche se non conto nulla agli occhi degli esperti. Anche se manifesto carenze affettive o intellettuali. Non è di queste qualità che Dio ha bisogno per amarci. Ci ama, e basta. Ci ama con tutti i limiti. Ci ama ancora di più con tutti i nostri peccati, perché rivelano la nostra fragilità e il nostro bisogno di Lui.

Dio non fa preferenze, né favoritismi personali. E' l'anticlientelismo per natura.

In ogni ambiente e anche nelle nostre chiese possiamo stendere tappeti per chi conta, per chi è vestito lussuosamente, per chi ci fa offerte significative.

Il povero va a finire in un cantuccio, raggiunto da un comando perentorio: "Tu, mettiti là, in piedi. Siediti qui, ai piedi del mio sgabello".

Ricordalo, ricordiamolo: "Dio ha scelto i poveri agli occhi del mondo, perché sono ricchi nella fede ed eredi del Regno". Sanno amare! E questo basta per il cuore di Dio.

La Parola di Dio è un minitrattato di promozione umana dei disabili: "Si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto". Tutto sarà irrigato dall'acqua nuova che vincerà l'arsura del deserto, reso inospitale dal nostro cuore indurito.

Gesù ha imparato dal Padre la lezione bella della vita. A questa lezione fa continuo riferimento. La valorizza per l'affrancamento di coloro dei quali diciamo: "Perché viene in chiesa, intanto non capisce niente! Signora, non si accorge che suo figlio disturba? Se lo tenga a casa. Prima o poi anche lui riceverà la comunione, per quel che riesce a comprendere!".

Gli portarono un sordomuto. Lo prese in disparte, con quella discrezione delicatissima di chi non vuole umiliare o sottolineare i limiti. Lo prese lontano dalla folla, che riesce soltanto ad avere "compassione, senza sperimentare l'amabile gioia di stare accanto, in silenzio, col cuore.
Gli pose le dita negli orecchi. Gesù che tocca è l'icona sublime della tenerezza.
Nessuna barriera, neanche del corpo, si può tirare su davanti ad un figlio di Dio che aspetta guarigione. Con la saliva gli tocca la lingua, per quella misteriosa urgenza di intimità, che rivela l'accoglienza piena dell'altro e lo rigenera ad una vita stracarica di dignità. Guarda verso il cielo, verso la sorgente di ogni bene, di ogni attenzione umana, di ogni garbata e leggera delicatezza. Ed emette un sospiro, come se volesse dire: "Adesso non sei più solo. Adesso non sei più compatito ipocritamente. Adesso non vieni guardato come un povero condannato dalla sfortuna. Adesso ci sono io con te. Per toccarti e per guarirti. Per restituirti al tuo valore, lo stesso di prima e in questo momento manifestato davanti a tutti, perché tutti vedano e, sordi più di te e muti di amore, anch'essi si lascino guarire nella profondità del loro egoismo".

Gli disse: "Effatà", cioè "Apriti!". Amico mio, io sono la Parola e voglio condividerla con te.
Io sono l'ascolto e voglio ascoltare con te la melodia del mondo. Subito gli si aprono gli orecchi; gli viene restituito il mondo misterioso delle parole che ridanno dignità alla persona. Si scioglie il nodo della sua lingua, come un canto, come un dialogo, come una relazione, come una comunicazione inedita. E parla correttamente. Gli vengono messe sulle labbra le parole della lode, del ringraziamento, dello stupore, della meraviglia imprevedibile.


Gesù, hai fatto bene ogni cosa: fai udire i sordi e fai parlare i muti. Zoppi, storpi, diseredati, scartati di ogni genere, fuggitivi per ogni mare, inquilini di tutti i barconi, vogliono incontrarti per essere toccati dalle tue mani umide di saliva. Vogliono vivere l'avventura, completamente nuova, di una vita mai sperimentata. Si ritenevano sfortunati, maledetti dalla sorte. Un "nulla" nel mondo di chi ha risorse e qualità. Sapevano tutto quello che avevano sofferto, guardati "male" da tutti, soltanto perché fuori degli schemi dell'efficienza.

Tu riabiliti questa marea di poveri e metti a nudo le vere, dolorose e sconcertanti disabilità: quelle del cuore presuntuoso, quelle delle mani chiuse ad ogni compassione, quelle degli occhi accecati per non vedere il dolore del mondo, quelle degli orecchi sordi nell'ascoltare i lamenti e le urla, quelle dei piedi rattrappiti quando sono chiamati nella direzione di chi piange e si dispera.

Gesù, Dio dalle dita delicate come una carezza, tocca le mie orecchie e la mia lingua. E' una confidenza che mi riempie di gioia. Mi ha toccato il Figlio di Dio. Mi ha abbracciato Dio. Ha cantato e parlato con me Dio. Insieme abbiamo intonato il duetto dell'esistenza.

Finalmente, oggi siamo un po' tutti diversi, profumati dell'aroma del vino novello. Era necessario questo vino per celebrare con entusiasmo il banchetto pieno di "sporchi nessuno" e, oggi, riproposto a uomini veri, a donne vere, a bambini veri. Mentre Tu, Gesù, ci servi, pieno di Luce, alla mensa.