Omelia (09-09-2018)
fr. Massimo Rossi
Commento su Marco 7,31-37

"Ha fatto bene ogni cosa...": una grande testimonianza di fede, pronunciata dagli abitanti della Decapoli, pagani di Galilea. Come già altre volte ho rilevato, le professioni di fede più convinte e radicali riportate dai Vangeli, sono quelle manifestate dai pagani. E forse questo convinse successivamente gli Apostoli ad aprire l'annuncio della salvezza a coloro che non conoscevano la Legge di Mosè e gli annunci dei profeti. Quasi che - o forse senza quasi! - l'ascolto del messaggio cristiano potesse essere colto con maggiore entusiasmo e convinzione da parte di chi non era "de formazione" israelita... Permettetemi di utilizzare a modo di esempio l'affermazione di un vecchio impresario edile: "è più facile costruire dalle fondamenta, piuttosto che restaurare un edificio vecchio, mantenendo la struttura primitiva...".
Ma veniamo al fatto: io non mi intendo di logopedia, ma credo che sia molto improbabile che un sordomuto si metta improvvisamente a parlare correntemente una lingua, se non l'ha mai potuta neanche ascoltare. Non solo quest'uomo divenne capace di parlare e ci sentiva benissimo; ma parlava anche correntemente una lingua, appunto, mai ascoltata.
Due miracoli, anzi tre!
Ritorna sta storia della guarigione da mantenere segreta: si tratterà forse di un'aggiunta dello scrittore ispirato? Il problema del prurito da miracoli, del sensazionalismo ha sempre spinto la Chiesa a tenere per così dire un profilo basso sui fenomeni soprannaturali che si manifestavano ai tempi di Gesù, ma che si registrano anche ai giorni nostri. Ci vuole poco per infiammare la folla, contagiare l'euforia, la meraviglia, ma provocare anche riprovazione e il panico.
Ieri, un emerito sconosciuto, oggi sugli altari, domani sarà già nella polvere. La vicenda di Gesù è paradigmatica: domenica lo acclamano come Messia... giovedì reclameranno la sua testa...

La fede non è direttamente proporzionale ai miracoli, questo lo sappiamo; conosciamo le derive di tipo fanatico e pseudospirituale, alle quali può condurre la ricerca smodata di miracoli.
L'eco suscitata da un miracolo può essere destabilizzante anche nei nostri ambienti cattolici.

Questione annosa e superdelicata: è un diritto invocare il miracolo?
La preghiera di invocazione è certamente un genere di orazione tra i più diffusi in tutta la Scrittura, tanto nel Nuovo Testamento che nell'Antico.
Sia però chiaro che ottenere il miracolo non è un diritto, tantomeno una pretesa in ragione della propria fede. Non possiamo sottoscrivere l'affermazione: "Io credo, Signore; ma, in nome di questa fede, Tu mi devi fare quello che ti chiedo...": il rapporto tra fede personale e miracolo non è un "do ut des"; la tentazione di chiedere il miracolo e, ancor di più, la delusione per non averlo ottenuto le abbiamo patite tutti, almeno una volta nella vita.
Si crede perché si crede! Si ama perché si ama!
Il frutto della fede è la presenza di Cristo nella nostra vita, sperimentata nel pensiero costante di Lui, nell'affetto per Lui;
che, notate bene, (la fede) è sempre una risposta alla Sua rivelazione, al fatto che Lui ci ha amati per primo. In altre parole, non è Lui, non è Cristo ad essere in debito con noi, per aver ricevuto l'omaggio della nostra fede. Al contrario, siamo noi ad essere ancora e sempre in debito con Cristo, per il dono della Sua vita divina...

Questo è il grande miracolo che Dio ha già fatto agli uomini, a tutti e a ciascuno!
Ma questo miracolo non ci basta... Anzi, non lo consideriamo neppure un miracolo!
Legati ancora, come siamo, alla morale dei meriti, siamo fondamentalmente convinti che, in fondo in fondo, la salvezza ci sia dovuta... con tutta la fatica che abbiamo fatto e che facciamo ancora per rigare diritto, per evitare peccati gravi...
Domanda: la nostra fede è un vero atto d'amore nei confronti di Dio, oppure è motivata dalla paura che, rifiutando di credere, ci accada qualcosa di peggio? Che cosa c'è all'origine delle nostre conversioni? il rincrescimento sincero per aver interrotto la relazione con Dio, oppure la paura del castigo e - Dio non voglia - della dannazione eterna?
Ricordate la parabola del figliol prodigo raccontata da san Luca al capitolo 15 del suo Vangelo? oggi la chiamano (parabola) del Padre misericordioso; e a ragion veduta! perché, vedete, quel figlio scriteriato, egoista e... e chi più ne ha, più ne metta, decide di tornare a casa, non perché si era pentito di aver offeso suo padre, ma perché aveva paura di morire di fame!
MA...
Quel Padre davvero misericordioso, lo accoglie comunque, a prescindere dalle motivazioni reali e forse inconfessabili che avevano convinto il giovane a ritornare sui suoi passi.
Qualcuno ha scritto che credere in Dio conviene...
C'è del vero in questa affermazione apparentemente cinica.
Siamo onesti: chi di noi potrebbe dichiarare che la sua fede è del tutto sincera, gratuita e disinteressata? E, visto che ho toccato il tasto dell'onestà, chiediamoci ancora: questo desiderio talora sfacciato di un intervento risolutivo dal Cielo, non sarà motivato dal fatto che la fede è per molti di noi l'ultima spiaggia, l'estrema ratio, la Voce che ascoltiamo dopo aver invano ascoltato tutte le altre, quando ormai il latte è versato, o, se preferite, la frittata è bell'e che fatta?...
Pensate, invece, a come sarebbe tutto diverso, se vivessimo la fede come un habitus, come una virtù ordinaria... Invece di ricordarcene quando è troppo tardi, quando soltanto un miracolo ci potrebbe salvare, proviamo ad alimentare la relazione con Dio ogni giorno un po' di più...
Confidiamo davvero in Lui!
E avverrà, come per miracolo, che quelle famose due orme sulla sabbia che pensavamo d'aver lasciato, errando nel deserto della vita, saranno veramente quelle di Cristo...
E noi, ben saldi e al sicuro, sulle sue spalle!