Omelia (16-09-2018) |
Luca Rubin |
Va' dietro a me Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Gesù cammina con i suoi, e camminando parla con loro. Lasciando un villaggio e dirigendosi verso un altro, si scambiano impressioni, magari sul tempo, o su qualche avvenimento, A un certo punto Gesù pone una domanda che in greco, lingua madre del vangelo, suona così: "quando la gente parla di me, che persona dicono che sono?" Questa di Gesù non è curiosità morbosa, come quando noi chiediamo a un amico "Cosa ha detto Tizio di me? Come mi giudica?". Noi chiediamo 'cosa', Gesù chiede 'chi', e c'è un abisso tra le due domande. Gesù intende incontrare la gente là, sul terreno delle loro convinzioni, non importa se siano fondate o meno, ricordiamoci sempre che a Gesù interessa la persona, non l'idea o la regola. Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Le tre risposte sono sintetizzabili in un'unica risposta: la gente dice che sei un profeta. Il profeta è una persona consacrata a Dio, che parla in suo nome e in suo favore. La gente riconosce in Gesù un personaggio speciale, un fuoriclasse, un qualcuno che parla loro di Dio, un messaggero. Mi immagino i discepoli che cercano di istruire la gente, di dire loro chi è veramente Gesù, sì è un profeta però lui, cioè capito?! No, non ha i super-poteri, sì cioè Lui è... Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Gesù, come sempre, va oltre. Sa bene che siamo abilissimi a parlare degli altri, e glissiamo su noi stessi, su chi veramente siamo. Gesù enfatizza quel 'voi', caricandolo di tutta la forza espressiva. Non dice 'Tu', dice 'voi', parla ai suoi amici, alla sua primissima comunità, e desidera una risposta comunitaria. Un anziano sacerdote un giorno mi disse: "la porta della chiesa è tanto grande perché non nella Chiesa non vi si entra mai da soli": la risposta giusta non è una teologia incrollabile, ma l'esperienza vissuta, il 'fare strada' col Maestro, stare con Lui, e con Lui imparare ad amare gli altri. In questa rete di relazioni, di esperienze e relazioni, piano piano compare il volto del Signore. Non è la mia o la tua scoperta, è la nostra esperienza di Lui. Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». Pietro non dice: "secondo me tu sei...", dà una risposta fortissima, senza mezzi termini, senza inutili giri di parole. Soggetto verbo complemento. Questa non è la sicurezza di Pietro: un carattere forte e deciso, ma allo stesso tempo insicuro, pauroso, tentennante; questa è la risposta della comunità, tessuta insieme, filo per filo, giorno dopo giorno. Pietro dà solo voce alla comunità dei discepoli. Una risposta forte, certamente, ma pronunciata con grande naturalezza, senza enfasi, come se io dicessi a un amico il suo nome. Viene in mente un altro dialogo di Gesù con i suoi: "Quando verrà il regno di Dio?". Egli rispose loro: "Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: "Eccolo qui", oppure: "Eccolo là". Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!". (Lc 17,20-21). La semplicità di Dio sorprende sempre, noi che cerchiamo gli effetti speciali, che amiamo la suspense, che vorremmo essere così bravi da contenere Dio nei nostri ragionamenti. Tu sei il Cristo. Tu sei il Figlio inviato dal Padre. Tu sei il consacrato che ci parla del Padre, che ci fa vedere il Padre. Tu sei il cuore di Dio. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Dopo la risposta così chiara, Gesù continua con la stessa chiarezza, e non nasconde nulla, proprio come si fa in famiglia, o con l'amico più caro. Si ha il coraggio di condividere tutto, il bello e il brutto. Con poche parole Gesù insegna ai discepoli: interessante l'uso di questo verbo: insegna l'abbassamento, l'annientamento del Figlio di Dio. Una lezione sicuramente difficile, scomoda, amara, che tutti, maestro e discepolo eviterebbero molto volentieri. Gesù insegna la sofferenza, il rifiuto, la morte, ma anche la resurrezione. Tutto questo processo di morte e di resurrezione è preceduto da un 'doveva', come a indicare un passaggio obbligato: il seme per germogliare deve marcire, la mamma per dare alla luce il figlio deve soffrire (se il parto avviene naturalmente), lo sportivo per vincere deve allenarsi, e quindi faticare. Questo 'deve' è la chiave di tutta la lezione, chiave che Pietro, proprio lui, perde... Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Pietro e Gesù quasi si azzuffano: Pietro non ne vuole sapere di sofferenza e di morte (e il racconto della Passione lo vede perdente, rinnega, scappa, piange...). Pietro rimprovera Gesù, come a dire: ti ho detto ora che sei il Cristo e tu mi dici che devi soffrire e morire? Hai sbagliato tutto! Facciamo attenzione a cosa fa Gesù: guarda i suoi discepoli e rimprovera Pietro. Se la risposta di Pietro è la risposta di tutta la comunità, anche il rimprovero rivolto a Pietro è valido per tutti. E qual è il rimprovero di Gesù? Lui comprende che i suoi non sono ancora pronti, e allora riprende da capo la lezione. I maestri dell'epoca insegnavano camminando, e i discepoli li seguivano. Gesù volta le spalle a Pietro per ricordargli come si impara dal Maestro, seguendolo e non precedendolo, non impedendo a lui il cammino, non dando risposte alla "secondo me". Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Prima di riprendere la lezione, il Maestro illustra il regolamento d'istituto. In questa scuola chi vuole frequentare deve: 1) rinnegare se stesso, 2) prendere la sua croce 3) seguire il Maestro. L'unico punto che tutti condividiamo è il 3, sennò vai a scuola a scaldare il banco, e non è molto utile.
Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». Tradotto brutalmente: chi non risica non rosica, chi non dona se stesso per amore marcisce da solo, chi invece sa diventare dono, è vero che la sua vita finisce a morsi, come una mela, ma per la gioia di chi se ne ciba. Non è importante come finisce la tua vita (che tanto, comunque vada, finisce, almeno nella sua parte biologica), ma se nella tua traiettoria sei capace di fare fiorire le orme di chi cammina con te, se nel tuo percorso non sei dedito ad abbellire la tua ombra, ma tendi il tuo abbraccio a chi è solo, doni il tuo sorriso a chi è triste, la tua pace a chi è in collera. |