Omelia (23-09-2018) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Un bambino: sintesi di croce, umiltà e amore E' necessario che Gesù proceda per Gerusalemme dove, dopo un ingresso trionfale di gloria e di esaltazione, dovrà subire l'umiliazione estrema e la condanna atroce. Il testo del vangelo di oggi dice che i suoi discepoli non comprendono il suo linguaggio, ma il destino inesorabile del Messia è quello della sottomissione agli uomini, ai nemici e a quanti avversano la logica del Regno da lui predicato. Questi lo consegneranno agli aguzzini e lo uccideranno. La morte di croce non è tuttavia la parola definitiva: al terzo giorno la pietra ribaltata del sepolcro mostrerà i segni inequivocabili della sua vittoria sulla morte e della vita imperitura. Cristo risusciterà per non morire più e la morte non avrà più potere su di lui (Rm 6,8). Gerusalemme è quindi una tappa necessaria per l'ascesa del Messia verso la gloria e la croce diventa indispensabile perché si realizzi il disegno di salvezza impostato dal Padre. Ciononostante la croce assume un'importanza non secondaria già in se stessa, perché è la pedagogia più evidente della regalità come amore e come servizio. Dio in Cristo regna perché ama fino all'inverosimile, fino alla sottomissione, all'asservimento alla cattiveria degli uomini e fino a rinnegare se stesso. Nella croce ci viene rivolto l'invito alla costanza e alla pazienza nella sopportazione delle insidie altrui, come ci viene anticipato dalla Prima Lettura tratta dal Libro del Siracide: il giusto è il bersaglio delle insidie e delle trappole dei reprobi e dei persecutori e tale è il destino di chiunque si disponga a vivere appieno la fedeltà al Signore. Un altro passo eloquentissimo del Siracide afferma: "Figlio, se servi il Signore preparati alla tentazione" e in effetti nessuno è tentato più di chi voglia mettersi al seguito di Dio in una condotta irreprensibile e degna: anche prescindendo dalle insidie del maligno, la cattiveria umana è essa stessa fautrice di prove e di tentazioni nella persona di quanti si divertono a saggiare la nostra fede e la nostra perseveranza nel bene. C'è chi ci provoca appositamente per coglierci in fallo e per avere di che accusarci; chi tenta di farci deviare dalla sana condotta per trovare un pretesto utile per mettere in discussione la nostra credibilità; chi ci provoca alla lite e all'impazienza per avere motivo di accusa di controtestimonianza e che ama vedere litigi e alterchi fra chi ha abbracciato una posizione e chi marcia in senso opposto. Mi ricordo che agli esordi della mia vocazione, alla presenza di parenti e conoscenti che avversavano la mia scelta, a tavola certuni mi interpellavano con argomenti atti a scatenare discussioni fra me e i parenti suddetti, quasi a divertirsi nel vedermi in difficoltà. E' inevitabile che chiunque si ponga seriamente al seguito del Signore, radicandosi unicamente nei valori e nei principi di fede e impuntandosi nel volerli realizzare, è destinato a subire persecuzioni e mancati riconoscimenti, anche all'interno della Chiesa stessa. Più di una volta mi è stato osservato: "Tu non farai carriera nella Chiesa perché sei troppo puro; non sei astuto e perverso come tanti altri." E non stento a crederlo. E tuttavia la condizione di sofferenza del giusto sottomesso e vilipeso entra nel computo di chi si crocifigge. Accettare con pazienza le ingiustizie, sapere attendere e sperare l'intervento risolutivo di Dio senza darsi alle ripicche alle intemperanze vuol dire anche in questo configurarsi alla croce, di conseguenza significa in un certo qual modo cominciare ad amare. Proprio come Cristo che amava nello spasimo e nello sgomento di dover soffrire alla colonna e poi sulla croce. Il supplizio di Gesù si insegna di conseguenza l'umiltà, la mansuetudine e la pazienza, indicandoci la via risolutiva dell'umiltà e della semplicità, che è caratteristica dei bambini. Non coloro che si ergono sulla massa conseguiranno onori, non i potenti o i sapienti o i benestanti di questo mondo, ma chi abbracciando la croce riesce ad assumere l'umiltà e l'innocenza di un bambino e in effetti solamente i bambini sanno servire senza discussione, omettendo ogni sorta di arrivismo e di presunzione o ostentazione di se stessi. Nel territorio della chiesa in cui mi trovo ad operare gravitano tanti bambini che giocano per strada e con i quali ho svolto (e continuo a svolgere) diverse attività assieme ad alcune catechiste; a prescindere dalla loro vivacità a volte ingestibile, mi ha sempre sorpreso che quasi tutte le volte si chieda loro di aiutarti in un determinato servizio o di prestarsi a un'opera anche minima, obbediscono prontamente, come raramente farebbero alcuni grandi. A questi bambini puoi chiedere che vadano a prendere la scopa, che spengano o accendano le luci, che raccolgano i foglietti in chiesa e mi edifica l'entusiasmo innocente con cui collaborano con prontezza. Forse il termine di paragone adoperato da Gesù non è fuori luogo: un bambino è capace di umiltà., sottomissione, apertura e confidenza più di un adulto e anche l'esortazione di Paolo è eloquente: "Siate fanciulli quanto a malizia, adulti nel giudicare"(1Cor 14, 20). Lo spirito di semplicità di un bambino è l'unico adatto a scongiurare in noi le passioni e le perfidie condannate da Giacomo (Ii Lettura) che sono alla radice di ogni male e di ogni belligeranza, a vincere il desiderio spassionato di possesso e vano guadagno a danni del prossimo, a debellare accidia, inverecondia e infamia e tanti altri nei che viziano fino a corromperci. Solo umiltà e semplicità di vita sono apportatrici di amore intenso che si concreta nel servizio spassionato e sincero e nessun bambino, anche fra quelli riottosi e perfidi, ti userà mai l'arroganza e la protervia di tanti adulti che tendono insidie per affermata cattiveria. Se amare è servire nella semplicità e nell'umiltà di vita, solamente i bambini sono in grado di darne l'esempio. Non è facile accettare la sottomissione e la croce e adottare queste come prospettiva esaltante dell'amore, tuttavia il farsi bambini lo rende possibile nell'immediato. |