Omelia (16-09-2018)
don Maurizio Prandi
La pace? Il contrario della sicurezza

Ci siamo lasciati, domenica scorsa, con un sordomuto che, dopo l'incontro con Gesù aveva cominciato a parlare correttamente; ci eravamo anche detti che la lingua di Gesù è il parlare e il vivere concretamente.


Pietro sembra fermarsi un passo indietro; parla correttamente: Tu sei il Cristo, ma si ferma lì, gli manca l'opera (per usare il linguaggio dell'apostolo Giacomo), di Gesù, la grande opera: il dono della sua vita. Pietro e i discepoli non sono ancora pronti perché per dire chi è veramente Gesù manca una cosa fondamentale: la Croce, anzi quando Gesù la nomina, manda in crisi proprio Pietro il quale ragiona secondo criteri terreni, umani. Lla prima parte del vangelo di Marco è costruita in modo tale da dirci chi è Gesù e la seconda, che comincia oggi, ci dice chi è il discepolo, colui che parla correttamente. Discepolo è colui che fa una scelta di vita che va in una precisa direzione, quella che Gesù ci indica: non una vita vincente, trionfante secondo la mentalità degli uomini, ma una vita capace di donarsi. È facile dare a Gesù (scrive don Colzani) una identità che non disturbi i nostri interessi o che corrisponda ai nostri desideri; molto più difficile è lasciarsi dire da lui chi siamo (ricordate il vangelo di due domeniche fa, quando i matti dell'OPG di don Daniele Simonazzi dopo aver ascoltato il vangelo hanno detto: noi siamo tutta quella roba lì!) e come dobbiamo vivere.


Se da Gesù non imparo il dono, resto sordomuto, se non imparo a dare concretezza a quello che dico con la bocca resto sordomuto, se celebrando ogni eucaristia dico: questo è il mio corpo e non sono capace di donarmi a quel corpo, resto sordomuto. Sono chiamato a riconoscere quel corpo nella mia vita di tutti i giorni, sono chiamato ad accogliere, custodire, servire quel corpo così come Gesù mi ha insegnato con la lavanda dei piedi. Pensando al corpo di Gesù e a quanto ci è stato detto dall'apostolo Giacomo domenica scorsa e anche oggi, ripeto un concetto che mi pare fondamentale e che già al termine del cammino in ascolto del discorso sul pane di vita abbiamo fatto: Quanto poi alla tavola eucaristica, non ne è escluso chi è peccatore, si ritiene tale e porge umilmente la mano come un mendicante verso il corpo del Signore, mentre dovrebbe sentirsi escluso chi non sa discernere il corpo di Cristo nel fratello e nella sorella, nel povero, nel peccatore, nell'ultimo, nel senza dignità.


Riconosco, nel brano di vangelo appena ascoltato, uno specchio del momento che stiamo vivendo. Dicendo a Gesù che lui non morirà, Pietro dice che Dio è il più forte, che Dio è quello che non muore. Gesù lo mette in guardia e gli dice di seguirlo, di mettersi alla sua sequela, avvertendo lui e i discepoli che la loro non è una vita sicura, una vita al sicuro, ma una vita esposta! Ne parliamo da qualche giorno, con amici e con altri preti: la sicurezza, così sbandierata, così ricercata, è un valore contenuto nel vangelo? La vita di Gesù sembra dirci di no. In uno dei suoi scritti D. Bonhoeffer afferma una cosa molto interessante:

Come viene la pace? Con un sistema di trattati politici? Con l'investimento di capitali internazionali nei vari paesi? Cioè con le grandi banche, con il denaro? O con un armamento pacifico universale, allo scopo di garantire la sicurezza, la pace? No, con tutto questo no senz'altro, per il motivo che c'è una confusione generale di pace con sicurezza. Non c'è modo di giungere alla pace per la via della sicurezza. Poiché per la pace si deve arrischiare, è una grande temerarietà, e non si può mai stare sul sicuro. Pace è il contrario di sicurezza. Cercare sicurezza significa avere diffidenze, e queste generano a loro volta guerra. Cercare sicurezza significa volersi proteggere. Pace significa affidarsi totalmente al comando di Dio, non volere sicurezza, ma nella fede e nell'obbedienza porre in mano a Dio onnipotente la storia dei popoli e non volerne disporre a proprio arbitrio. I combattimenti non sono vinti con le armi, ma da Dio. E inoltre vengono vinti solo là dove la via porta alla croce. Chi di voi può mai dire di sapere che significherebbe per il mondo se un popolo accogliesse il proprio assalitore non con le armi in pugno, ma con la preghiera, disarmato, e proprio per questo armato dell'unica difesa e arma efficace?


Il percorso che Gesù vuol far fare ai discepoli (e a noi) è questo secondo me! Quando è che il centurione riconoscerà in Gesù il figlio di Dio? Sulla Croce, nel momento della morte, nel momento in cui consegna la sua vita, il suo spirito, nelle mani del Padre, nel più alto gesto di affidamento e di fiducia.