Chi non vive per servire, non serve per vivere
Sono sempre tante le suggestioni che nascono ascoltando insieme il vangelo e condividendo quanto la parola di Dio suscita nei cuori di chi la ascolta. Come quella che viene dal fatto che Gesù era in cammino, stava attraversando la Galilea; il vangelo, ci dice Marco è per le strade (che Gesù percorre), e per le case (nelle quali Gesù entra con i suoi discepoli).
Il cammino diceva Daniele, come dire che il vangelo non è per chi è statico, per chi è fermo, per chi è ancorato. Mi dà una sensazione di leggerezza il vangelo e al tempo stesso la domanda che ci facevamo: non voleva che nessuno lo sapesse; la strada, non per esibire e sbandierare il vangelo, ma per viverlo concretamente. Eppure, diremmo, è necessario che tutti lo sappiano, che più persone possibile partecipino, bisognerebbe attirare le folle!!! È un po' quello che capita quando si organizza qualcosa fuori dalle mura delle nostre chiese: grande visibilità grande partecipazione e allora partono gli inviti e che non manchi nessuno possibilmente. Ma Gesù non voleva che alcuno lo sapesse: un atteggiamento così controcorrente questo, dettato dal desiderio di silenzio e di discrezione, da essere giudicato degno di essere annotato.
Un Dio così, un Dio che si consegna, un Dio che si dona, non lo puoi esibire, lo devi consegnare a tua volta nell'intimità (la casa) e nelle relazioni di tutti i giorni (la strada), improntate all'insegna della stessa gratuità con cui Gesù si consegna. Che bello il volto di Dio che ancora oggi ci viene svelato: un Messia consegnato (in greco il verbo è fortissimo: dato in balìa di qualcuno!), ucciso, vincitore della morte nella risurrezione. Questo volto però provoca nei discepoli una sorta di blocco. Non capiscono, hanno paura e parlano di altro, tutt'altro, tutto il contrario di quello che Gesù stava dicendo. Sono convinti ancora di andare verso l'inaugurazione di un regno umano, e quindi la fissazione del potere, resta! Si disputano quindi le cariche, le onorificenze. Gesù allora sconvolge il loro modo di pensare e lo fa cambiando anche il suo modo di approcciare i discepoli.
Qualcuno l'altra sera diceva commentando: ma come è possibile non capire? È così chiaro quello che Gesù sta dicendo! Davvero è chiarissimo! Su questo però, forse per la prima volta in me è nata (sempre dalla condivisione sulla parola di Dio) una certezza: davvero il linguaggio di Gesù è difficile e se non hai gli strumenti non lo capisci. I discepoli non li avevano ancora gli strumenti e poi, (spero di farmi capire), Gesù rischia di passare un po' come quello che fa il grosso e ascoltando i discepoli decide di abbassare un po' il tiro: bisogna essere più semplici! Mi viene in mente quello che un amico, Massimo Toschi, diceva un giorno ad alcuni preti che si erano riuniti: dovete parlare per l'ultimo degli ultimi che parte della vostra assemblea, anche lui vi deve capire e deve comprendere il vangelo. E allora Gesù prende un bambino e lo prende come modello anche per sé: "vedete questo bambino? Ecco: lui è me!"
Pensate a come è cambiata la vita dell' apostolo Giacomo, il suo modo di pensare. Giacomo è il fratello di Giovanni, uno dei figli del tuono, uno di quelli che volevano sedere alla destra o alla sinistra di Gesù, quello che ha mandato sua madre a parlare con Gesù per farsi raccomandare; ebbene, è lo stesso che abbiamo ascoltato due domeniche fa dire che non si possono stabilire gerarchie tra chi partecipa alla liturgia, non ci sono primi o secondi, non ci sono grandi e piccoli, cristiani di serie A e di serie B, non ci sono poveri da mandare in fondo nelle ultime file e ricchi da far sedere davanti, no! Guardo dove ha portato la catechesi di Gesù e ne rimango incantato. Sii servo, perché chi non vive per servire, non serve per vivere (papa Francesco nella messa a La Havana tre anni fa...), metti al centro i piccoli, gli ultimi.
Secondo me, diceva Ivo l'altra sera, Gesù qui parla di chi ha fame, di chi ha sete, di chi è carcerato, di chi è forestiero, di chi è malato... anche lì ha detto: l'avete fatto a me, quel carcerato sono io. E Ivo subito ha messo in pratica, non è passato un giorno che mi ha consegnato un paio di scarpe da dare a Demba: dagliele che secondo me ne ha bisogno! Mi ha detto: Demba è Gesù per Ivo; mi ha fatto venire in mente Giovanna quando mi ha dato un chilo di zucchero e uno di pasta per il banco alimentare, mi fa venire in mente la storia, che è di questi giorni, di quella signora che, povera, ha vinto quella cifra esorbitante al gratta e vinci cosa ci fa ora Marta con tutti quei soldi? Leggo la sua storia su un quotidiano certamente non vicino al sentire ecclesiale dalla penna di Antonello Caporale: Marta semplicemente prende quel che le serve per garantirsi la tranquillità e poi compila una lista di cinquanta nomi: amici bisognosi, associazioni, enti di carità, a cui devolvere la maggior parte della vincita. Ma sei pazza? Sei povera! Perché butti all'aria tutta quella ricchezza? Oggi che il tuo sogno si avvera rinunci? Cosa succede? Succede che il povero, a differenza del ricco, conosce il bisogno ed è sul bisogno, suo e del proprio simile nella condizione di povertà, che fonda la sua vita: dà e riceve, offre e chiede. Un paio di scarpe? Un chilo di pasta o di zucchero? Non importa, perché qualcuno ne ha bisogno! Mi pare molto vero questo e triste: Il ricco conosce solo la propria condizione ed è preoccupato di mantenerla, estremamente bello e liberante invece che il povero conosca il bisogno, suo e degli altri. Il povero vive una vita comunitaria, il ricco invece la solitudine. Pensate a quante conferme giungono dal mondo di oggi. Mi direte che sono fissato ma vi assicuro che non è così: sono i Paesi ricchi ad alzare i muri e rispondere con le armi alle ondate migratorie. Devono difendere il loro status dall'orda umana che ha fame e chiede di partecipare al banchetto. L'85 per cento dei diseredati della terra è ospitato da Paesi poveri e poverissimi o, come si dice, in via di sviluppo. Cercate, se riuscite, qualche filmato o reportage su come in Uganda (Uganda!!!) vengono accolti 1.400.000 rifugiati da Sudan, Congo e Burundi! Penso a me, che non riesco a dare un esempio tale da ispirare un cambio, una conversione nelle mie parrocchie, dove si riceve tanto, tanto, tanto e non si è capaci, magari nel giorno della festa a pensare a chi è semplicemente più sfortunato.
Gesù prende un bambino e lo mette al centro. Il centro per me, che ho ascoltato questa pagina di vangelo, è il bene non mio (sono io il più grande!), ma dell'ultimo, del piccolo, perché il piccolo è Gesù: chi non vive per servire, non serve per vivere!