Omelia (30-09-2018)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di padre Alvise Bellinato

Forse ci ricordiamo dai tempi del catechismo i Dieci Comandamenti.
Essi delineano un percorso di libertà nel servizio di Dio, in due fasi: i primi tre riguardano la relazione con Dio, gli altri sette la relazione col prossimo, partendo dalla famiglia (l'onore dovuto ai genitori), fino al cerchio più ampio della società (rispettare la proprietà altrui).
Queste due direttrici, rapporto con Dio e rapporto col prossimo, sono sintetizzate, nel Catechismo, con l'espressione: "Amerai Dio con tutto il cuore, tutta l'anima e tutte le forze, e il prossimo tuo come te stesso".
Oggi fissiamo la nostra attenzione sul secondo comandamento: "Non nominare il nome di Dio invano".
Probabilmente, al catechismo per la prima comunione, ci è stato spiegato che questo comandamento ci insegna a non bestemmiare, non pronunciare il nome di Dio e dei Santi, non dire parolacce. "Scherza coi fanti e lascia stare i Santi". Il che è vero, ma non è tutto.
Ci sono altri peccati che si possono commettere contro il secondo comandamento.
Uno grave consiste nel nominare Dio per dare ragione alle nostre teorie. Succede quando qualcuno si sente interprete della volontà di Dio e condanna gli altri in nome di Dio.
Ciò accade a livello macroscopico nel mondo, attraverso tutte le forme di fondamentalismo, quando, per esempio, si uccide in nome di Dio.
Ma anche a livello quotidiano può succedere di mancare gravemente, nominando Dio, tirandolo in ballo quando non sarebbe proprio il caso.
Tempo fa è stata pubblicata su Avvenire la storia di un cristiano ordinario, un laico che ha lottato contro le proprie cattive tendenze per tutta la vita, sperimentando anche la fatica e la sconfitta. Di quest'uomo, definito cristiano ordinario, è stato aperto il processo Diocesano di canonizzazione. Tra i testimoni alcuni hanno ricordato un episodio: quando era in ospedale, verso la fine dei suoi giorni, è stato visitato da un grosso personaggio di Chiesa che gli ha fatto presente come la sua malattia e la sua sofferenza fosse conseguenza di alcuni sbagli e peccati che aveva commesso nella vita passata. Questa visita sprofondò quest'uomo nella più cupa disperazione.
Ecco un caso in cui si nomina il nome di Dio invano. Ci si fa interpreti della volontà di Dio per un'altra persona, tirando per la giacchetta Dio stesso, in modo che il nostro punto di vista sia avvalorato.
La liturgia odierna ci offre alcuni esempi di "nome di Dio nominato a vanvera".
Nella prima lettura, tratta dal libro dei Numeri, quando lo Spirito di Dio scende anche su due persone che si trovano fuori della Tenda del Convegno, subito due "fedeli" si lamentano con Mosé: non può essere che lo Spirito sia sceso anche su di loro! Dio non può permettere che il suo Spirito scenda su due che non si sono regolarmente iscritti tra i candidati. Bisogna bloccarli subito, che la smettano di profetizzare, in quanto non sono nella lista.
Anche oggi ci sono "fedeli" che vanno dal Papa a chiedergli di intervenire: non è possibile che dei laici profetizzino nella Chiesa, scaccino i demoni, predichino il Vangelo o siano perfino leaders di comunità. Questi incarichi sono riservati solo agli anziani (prete deriva dal Greco presbitero, che significa anziano) della comunità!
La stessa cosa si vede nel Vangelo.
Giovanni si lamenta con Gesù perché c'é "uno" che scaccia i demoni senza avere il permesso di Gesù. Giovanni fa presente a Gesù che lui e gli altri Apostoli volevano impedirglielo "perché non è uno dei nostri".
La risposta di Gesù è simile a quella di Mosé, nella prima lettura: "Sei tu geloso per me?
Fossero tutti profeti nel popolo del Signore!".
"Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi".
Si manifesta qui una magnanimità (magnus animus = animo grande) e una larghezza di vedute notevole. Sia Mosé che Gesù si dimostrano molto moderni.
Dov'é carità e amore qui c'é Dio.
Non c'é più "nostri" e "vostri"...
Non c'é spazio per l'invidia, la concorrenza, la rivalità, la voglia di emergere.
Il bene è bene. Da chiunque sia compiuto.
Come conseguenza possiamo dire che, applicando i criteri della ricerca della loro propria unità, i cristiani rispettano le altre religioni. Essi sanno che la "legge nuova" dello spirito di carità incoraggia all'accoglienza, non esclude la legittima diversità. Essi sanno di avere in comune, con le altre religioni, l'arma della preghiera per implorare la pace.
É importante vagliare con prudenza ogni cosa, senza gelosia o parzialità, tenere ciò che è buono, non cedere alla logica della divisione in partiti, incoraggiare chi compie il bene, gioire per tutto il bene che viene fatto nel mondo, senza cedere alla tentazione del settarismo.
Per questo ripetiamo con Mosé: "Volesse il Signore effondere su tutti il suo Spirito!". E sosteniamo Gesù quando dichiara: "Non impedite loro di agire!".
Al grido, rivolto verso Dio, da Eldad e Medad ("Impedisci a quei due di profetizzzare!") e al grido di Giovanni ("Maestro! Impedisciglielo!), fa eco il grido dei poveri della seconda lettura.
Non hanno ricevuto il loro salario, benché abbiano lavorato.
Deprivare l'operaio del suo salario è un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio.
Anche in questo caso, all'origine del peccato c'é lo stesso seme cattivo di cui ci parlavano la prima lettura e il Vangelo: l'egoismo. Si vuole tenere tutto per sé. Anche qui il fatto di essere parte di una èlite, genera un egoistico corporativismo, una divisione in caste, che induce a vedere nel prossimo un nemico da escludere, più che un fratello con cui condividere.
Papa Francesco, con il suo linguaggio semplice e ricco di immagini, ha spesso ricordato una cosa che gli ripeteva la nonna, fin da piccolo: "Guarda, Giorgio, che il sudario non ha tasche!".
Quando moriremo non porteremo nulla con noi. In paradiso troveremo solo ciò che abbiamo donato.
Preghiamo perché il Signore ci renda aperti di vedute, capaci di riconoscere il bene ovunque esso sia e generosi nel condividere ciò che abbiamo.