Omelia (30-09-2018)
don Giacomo Falco Brini
Non buttarti via

NON BUTTARTI VIA

Sembra che sin dai suoi albori la chiesa abbia subito sperimentato la tentazione di fare di se stessa il centro e il riferimento di ogni valutazione/decisione da prendere davanti a questioni teologiche, morali o di natura pastorale. Vediamo nel vangelo di oggi l'apostolo Giovanni rivolgersi al Maestro per una decisione che si vuole assumere circa un tale che esorcizza nel nome di Gesù, ma senza alcun legame con la cerchia dei discepoli: volevamo impedirglielo perché non ci seguiva (Mc 9,38). L'autoreferenzialità è sempre una brutta cosa. Ti fa andare sempre da Dio a parlargli come se lo si conoscesse perfettamente o come se si fosse il soggetto migliore per la cura dei suoi interessi. Ti fa sentire come se fossi sempre dalla sua parte e quindi in grado di interpretare bene i suoi voleri su ogni questione, ovvero possedere il giusto metro di giudizio sulle cose degli uomini. Il Signore ribalta la possibile decisione invitando Giovanni e il discepolo di ogni tempo a non voler racchiudere il mondo dei credenti nei confini della chiesa istituzionale: chi non è contro di noi è per noi(Mc 9,40). Dunque ogni autentico discepolo di Gesù non è geloso della sua chiamata e dei doni che Egli ci fa, ma sa godere del bene che proviene anche da chi (apparentemente) non cammina nella nostra fede. Da notare nella prima lettura l'analogia presente nell'atteggiamento con cui Giosuè invita Mosè a impedire Eldad e Medad di profetizzare fuori dalla tenda del convegno (Nm 11,26).
Ci sarebbe già da riflettere molto sulla mitezza, l'umiltà e la assoluta alterità del volto di Dio che emergono dalle parole di Gesù. Mille e più motivi per convertirsi, per verificare se il centro della propria fede è il Gesù dei vangeli o quello della nostra testa che crediamo "alla testa" della chiesa, oppure se ci appoggiamo e confidiamo nella chiesa piuttosto che nel Signore della chiesa. Ma andiamo avanti. Che Gesù tuttavia non faccia questo discorso per "declassare" il discepolo è evidente in quanto ci dice dopo, nei vv. 41-42. Fare del bene a un discepolo nel suo Nome perché gli appartiene, anche fosse un piccolissimo atto d'amore, avrà sempre la sua ricompensa. Dio considera dunque quell'atto come fatto a se stesso. Ma anche fare del male a uno solo di questi piccoli che credono in me, anche solo essere d'inciampo nel loro cammino, è come offendere direttamente Dio.
Viene da pensare subito "all'11 settembre della chiesa", come è stato definito il perdurante scandalo della pedofilia nella gerarchia ecclesiale. In realtà Gesù, con le sue gravi parole, si riferisce a qualsiasi scandalo che si può procurare a chi è debole nella fede (cfr. anche 1Cor 8,1ss; Rm 14,1-15,7). Tutti siamo chiamati a essere molto attenti al fratello debole. Questi infatti deve diventare criterio del cammino personale. Meglio camminare più lentamente al passo del fratello, che procedere spediti scandalizzandolo o senza di lui. Come molti già sapranno, mi sono trovato a lavorare per anni in un paese latino-americano dove l'eccesso di alcolici presso le famiglie è la normalità. Per tanti fratelli di quei luoghi, vedere un prete consumare una birra può essere di scandalo. Con molta fatica ho dovuto accettare il principio paolino della rinuncia, pur sapendo di avere in me la libertà di una corretta relazione con la birra. E' molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare (Mc 9,42b). Non è un invito al suicidio o all'omicidio per chi incorre nello scandalo procurato ad un piccolo; Gesù vuol dire che una morte orribile è meno grave che far del male a uno di essi, perché ferisce profondamente in lui e in se stesso l'immagine di Dio.
L'ultima parte del vangelo chiede che la decisione di tagliare tutto ciò che può essere di inciampo al fratello sia estesa anche a sé stessi nel seguire Gesù (Mc 9,43-48). Anche qui l'immagine della mano, del piede e dell'occhio da rimuovere non è un invito masochistico a privarsi di qualche membro del nostro corpo pur di evitare il male. E' invece la richiesta di disponibilità a essere potati per portare più frutto. Chi si sottrae a questa disponibilità rischia di buttare la propria vita come l'immondizia nella Geenna, la così rinominata valle dell'Hinnon dove si offrivano sacrifici all'idolo Moloch e poi se ne bruciavano i residui, simbolo dell'inferno. E' un richiamo alla possibilità di un destino fallimentare eterno: dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue (Mc 9,48 e Is 66,22-24). E' un'espressione che indica l'autodistruzione e la putrefazione a cui va incontro chi non si decide per Dio; non è una sua minaccia di condanna all'inferno. L'inferno non è un'invenzione di Dio, ma esiste. E Dio, per salvarci da esso, ci ammonisce a constatare il male in cui ci siamo cacciati perché possiamo uscirne.