Omelia (07-10-2018) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Amore e appartenenza reciproca in Dio Sono parecchie le circostanze della sua vita pubblica in cui Gesù viene colto alla sprovvista per essere messo alla prova e perché si possa trovare in lui un motivo di accusa. Si vuole coglierlo in fallo. L'evangelista Marco presenta ne presenta una che apre un dibattito delicatissimo su un tema scottante: il matrimonio e la possibilità di annullarlo e di rifiutare il marito o la moglie. A dire il vero, la domanda degli interlocutori di Gesù viene presentata da questo evangelista in modo alquanto incompleto: "gli domandarono se è lecito a un uomo ripudiare la propria moglie." Nella sua versione parallela, Matteo fa porre la domanda sotto un'altra forma: "E' lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?"(Mt 19, 3 - 6) Detto in altri termini: è necessario un motivo qualsiasi per ripudiare la propria donna o è necessario un motivo scatenante, una "causa efficiente"? Posso ripudiare mia moglie anche se non mi attira più o non ho più attenzione nei suoi confronti, oppure lei deve essere rea di una colpa perché io possa ripudiarla? Nella questione posta balzano immediatamente sotto gli occhi due evidenze che nel mondo giudaico dovevano essere a dir poco scontante e sedimentate: 1) la donna era considerata assoluta proprietà dell'uomo, tanto che nel computo della generazione non venivano annoverate. 2) che l'uomo avesse possibilità, in ogni caso, di ripudiare la propria consorte, era consolidato e certo: non la donna poteva ripudiare l'uomo, ma solo quest'ultimo aveva diritto alla diffida nei suoi confronti. Vi erano due movimenti culturali (scuole giudaiche) che si contrastavano però su questo: secondo la scuola di Hillel perché l'uomo congedasse la propria moglie da casa era sufficiente un motivo qualsiasi, anche il fatto che essa "non trovasse più grazia ai suoi occhi. Secondo la scuola di Shammai, occorreva invece la prova certa di un avvenuto adulterio da parte della donna. Quella che pongono a Gesù è di fatto una domanda in parte retorica, nella quale si trova già la riposta: "Certo che l'uomo può ripudiare la propria donna", tuttavia a quali condizioni? Occorre che lei sia un'adultera oppure basta che io la voglia respingere perché non mi attira più? Un gioco molto sottile che tendeva a Gesù un serio tranello, che il Figlio di Dio risolve non soltanto mettendo a tacere i suoi astuti interlocutori, ma anche recuperando dignità a una legge divina assai eloquente e indubbia, che nel tempo era stata stravolta dalla durezza del cuore umano e dal suo egoismo. Tante volte la tracotanza, la volontà di far prevaricare i propri interessi o di raggiungere posizioni di comodo inducono l'uomo a travisare la Parola di Dio e a stravolgere il suo messaggio, addirittura omologando deliberatamente ciò che non è conforme al suo volere. "Per la durezza dei vostri cuori (Mosè) scrisse per voi questa norma", consentendovi di adottare la soluzione del libello di ripudio, ma in origine, stando al progetto iniziale di Dio di cui si racconta nella creazione, ebbene il Signore fece un determinato progetto: "maschio e femmina li creò". Realizzò l'uomo, la più nobile fra le creature, in modo tale che "non fosse solo", ma che avesse qualche specie a lui pari, o meglio a lui complementare. La donna è la parte indispensabile perché l'uomo possa essere se stesso, l'elemento irrinunciabile che non costituisce una proprietà esteriore, un espediente aggiuntivo, ma che realizza la sua totalità di essere umano. Un uomo e una donna sono insomma come un essere solo, una sola carne. Nel medesimo brano citato, derivante dalla cosiddetta Tradizione Javhista, lo stesso termine "uomo" (ebraico Adam) nella sua etimologia comprende l'unione simbiotica fra il soggetto maschile e il soggetto femminile; è cioè un'accezione asessuata, che comprende l'armonia fra maschio e femmina. Gli stessi termini maschio (ish) e femmina (ishah) indicano una relazione di parità e di reciprocità per cui ambedue si appartengono a vicenda. Si chiamerà donna non perché sia un animale o un oggetto per il trastullo dell'uomo, ma perché è stata tratta dall'uomo, è sua parte integrante, elemento di coesione. Se Dio unisce in un vincolo l'amore fra un uomo e una donna, ne deriva un'appartenenza indissolubile, una comunione simbiotica reciproca che è destinata a durare per sempre, a realizzarsi nella comunione e nell'appartenenza reciproca continua. Di conseguenza, non solamente la donna pecca di adulterio venendo meno alla fedeltà verso il proprio coniuge, ma anche (novità assoluta apportata adesso da Gesù) anche l'uomo è adultero e reo quando voglia ripudiare la propria consorte. Pari dignità e uguaglianza Gesù attribuisce al marito e alla moglie, in un rapporto di reciproca comunione e mutua appartenenza che si realizza nell'amore. Del resto l'amore fra due coniugi è riflesso dell'amore indefinito che Dio nutre verso il suo popolo; è riverbero dell'amore che Dio vive in se stesso nella comunione di mutua appartenenza fra Padre, Figlio e Spirito, attesta al vincolo di comunione che lo Spirito Santo vuole realizzare all'interno della Chiesa e di ogni singolo gruppo o comunità. Come potrebbe quindi un rapporto di coppia sancito sul matrimonio sopportare anche la minima lesione o scalfitura? Come potrebbe l'amore divino, che si riversa nei cuori solidali di due sposi, ammettere divisioni o addirittura irrimediabili separazioni? Nessuna autorità umana può ledere il vincolo che Dio consolida su basi indistruttibili. Con la sola eccezione di irregolarità nella celebrazione del Sacramento o di comprovate nullità del medesimo. . Se il Cantico dei Cantici dice che "forte come la morte è l'amore", in Gesù si evince che l'amore supera la morte e ne ha ragione, anche a proposito dell'eternità dell'amore fra due coniugi. Solo se si considera la grandezza dell'amore di Dio, collocandosi dal Suo punto di vista, è possibile accettare come veritiera una simile impostazione di indissolubilità del matrimonio. Ma accogliere l'amore di Dio vuol dire arrendersi alla verità della sua incommensurabile grandezza, trattandosi di amore paradossale e non di proporzioni filantropiche. Lo si può concepire quindi nell'ottica della fede e dalla docilità del cuore, che appunto non va indurito e reso tendenzioso. |