Omelia (07-10-2018) |
diac. Vito Calella |
Ricevere il Regno di Dio come un bambino contro la durezza del cuore In questa domenica l'insegnamento di Gesù, fatto a chiunque della folla lo voglia custodire, cioè rivolto liberamente a tutti noi, si snoda tra due situazioni apparentemente staccate l'una dall'altra: una discussione con i farisei sulla questione del divorzio e una indignazione severa di Gesù con i suoi discepoli a causa del loro atteggiamento di sgridare i bambini o sgridare coloro che li portarono a Lui perché li potesse toccare, guarire, benedire. Nella prima situazione i farisei erano intenzionati a metterlo alla prova sulla questione giuridica dell'interpretazione della legge di Mosè, scritta in Deuteronomio 24,1, che permetteva il divorzio. In quella discussione risalta l'ammonimento di Gesù che dice: «È per la vostra durezza di cuore che Mosè ha scritto per voi questo comandamento». Nella seconda situazione ci sorprende l'atteggiamento intransigente degli apostoli contro i bambini e gli adulti che li accompagnavano, perché poco prima, in Mc 9, 36-37 Gesù aveva messo un bambino al centro e aveva detto che chi accoglieva un bambino come quello, in realtà accoglieva lui stesso e colui che lo aveva mandato. Ci sorprende la loro fatica a entrare in sintonia con Gesù. In questa seconda occasione, in cui vengono in scena i bambini, risalta l'ammonimento di Gesù che dice: «Amen: ve lo dico, colui che non riceve il regno di Dio come un bambino certamente non vi entrerà». Da una parte ci lasciamo mettere in discussione da Gesù che avverte soprattutto gli uomini, a causa del maschilismo culturale dell'epoca: «Valutate la qualità del vostro cuore! Se avete un cuore duro, è chiaro che ne risentiranno le vostre relazioni, soprattutto quelle più profonde e significative, come la relazione matrimoniale e intima tra maschio e femmina, tra uomo e donna». Dall'altra parte ci lasciamo guidare e illuminare da Gesù che ci propone una via di uscita per non continuare a permanere nella nostra durezza di cuore: «Ricevete il regno di Dio come bambini». Il contrario della durezza di cuore sta nella nostra scelta di ricevere il regno di Dio con l'atteggiamento tipico del bambino, perché il regno di Dio appartiene a loro, come appartiene ai poveri in spirito (Mt 5,3) e ai perseguitati a causa della giustizia (Mt 5,10). Scegliere di ricevere il Regno di Dio non era ancora chiaro per i discepoli di Gesù nel contesto del racconto di oggi, perché erano ancora in cammino verso Gerusalemme. Quando si compì la passione, morte, sepoltura e risurrezione di Gesù a Gerusalemme quei discepoli capirono ciò che noi oggi abbiamo ricevuto dalla loro stessa testimonianza: ricevere il Regno di Dio è accogliere in noi Gesù Cristo, è lasciarci coinvolgere, trasformare dall'evento della sua morte e risurrezione, è far diventare il nostro cuore di pietra un cuore di carne disposto a lasciarsi trasformare, santificare dal dono dello Spirito Santo. Ricevere il Regno di Dio con l'atteggiamento del bambino è accogliere in noi Gesù, morto e risorto, che nella lettera agli Ebrei, ascoltata oggi è presentato come «colui che è stato reso perfetto mediante la sofferenza, divenuto il capo che guida alla salvezza». Accogliamo dunque nel nostro cuore Gesù morto e risorto! Egli è «colui che santifica», è il Risorto che ci dona lo Spirito Santo e ci rende «santificati» con la forza della gratuità dell'amore divino, qualitativamente diverso dal nostro modo di amare tipicamente umano, determinato dalla logica del calcolo dell'«io ti do se tu mi dai» e dagli impulsi del piacere sessuale che cerca solo la soddisfazione personale senza un profondo rispetto dell'altro. I farisei vivevano il matrimonio secondo la logica umana di un amore di scambio. Se lo scambio di piaceri e di favori non funzionava più nell'istituzione del matrimonio, si poteva rompere la relazione con la legge del divorzio. Al tempo di Gesù gli uomini avevano più potere sulle donne. Solo loro avevano il diritto di ripudiare le loro mogli e non il contrario. Le donne erano costrette a subire le voglie e le frustrazioni dei loro mariti, soprattutto quando esse facevano fatica a procreare, o quando non erano più attraenti a causa della loro età. Solo le donne potevano essere giudicate come adultere; le scappatine degli uomini non si contavano. Quella legge di Mosè, documentata in Dt 24,1 arginava il fenomeno della poligamia e difendeva la donna. Ma regolava rapporti di amore vissuti solo nella logica umana dello scambio di piaceri e di favori. Noi cristiani vogliamo vivere le nostre relazioni avendo Gesù come nostro fratello, consapevoli di provenire dall'unica fonte dell'amore gratuito: il Padre. La vita matrimoniale può essere vissuta con quella radicalità proposta da Gesù solo se noi, con l'umiltà tipica del bambino che confida esclusivamente nei suoi genitori, ci lasciamo guidare dal dono dello Spirito Santo che è stato effuso nei nostri cuori. La vita matrimoniale e la vita comunitaria, così come ogni dinamica di relazione tra noi, non sono sempre rose e viole. Siamo coinvolti in una avventura rischiosa, dove le relazioni di donazione gratuita e di rispetto profondo della dignità dell'uno e dell'altro, maschio e femmina, uomo e donna, sono sempre minacciate dalle frustrazioni e dai limiti della nostra condizione umana e dalle dinamiche psicologiche che si basano sui principi egoistici del piacere, del potere e della paura. Consapevoli della sfida che comporta ogni esperienza di relazione, soprattutto quella matrimoniale, sentiamoci come bambini tra le braccia del Cristo Risorto. Sentiamo che anche oggi Lui, il Vivente, impone le mani su di noi, sulla nostra vita, ci dona il suo Spirito d'amore vero e gratuito. Lui ci benedice perché, nonostante le difficoltà umane, possiamo sperimentare una qualità di vita basata sul rispetto reciproco e quindi testimoniare al mondo che è ancora possibile l'unità indissolubile dell'amore. |