Omelia (21-10-2018) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Marco 10,35-45 Due bei tipini, Giovanni e Giacomo! Senza dubbio, erano in gamba, forse tra i più in gamba del gruppo; ma sapevano di esserlo... In altre parole, anche i ‘Boerghes', i (due) figli del tuono, erano caduti nella trappola del potere; il potere rende orgogliosi; e presuntuosi. Costoro ambivano a guadagnarsi un ufficio ai piani alti, anzi, all'ultimo piano, appena sotto quello di Gesù, anche nel regno dei Cieli... Secondo il costume del tempo, ma anche oggi, in occasione di appuntamenti ufficiali - cerimonie e banchetti - gli alti funzionari sedevano e siedono accanto al Capo dello Stato. E, dal momento che si immaginava l'aldilà più o meno come l'aldiqua... ove il prestigio politico ed economico, la fama, i meriti personali, etc. etc. condizionavano e condizionano financo il galateo della tavola, ecco il motivo della pretesa, per così dire, un po' sopra le righe, dei due fratelli, tanto da suscitare scandalo da parte dei compagni... Chissà, forse anche loro ci avevano fatto un pensierino su... ma, al contrario dei due fratellini, gli era mancato il coraggio di confessarlo. Peccato - o per fortuna - che in Paradiso le regole del bon ton, la ragion di stato, i privilegi gerarchici... non valgono! e per il Signore, non dovrebbero valere neanche qui, dai tetti in giù! La risposta data ai Dodici è paradigmatica: la fede cristiana sovverte i criteri che regolano la società, discriminando i ricchi dai poveri, i liberi dagli schiavi, la serie A dalla serie B... Purtroppo noi, comuni mortali, non siamo in grado di azzerare le differenze interpersonali; siamo stati educati alla competitività ed educhiamo i nostri figli alla competitività. Tanto per dire, in merito all'istruzione, la stessa Costituzione italiana - art.34 - privilegia i "capaci e i meritevoli"... Una norma peraltro sacrosanta! Ma.... Ma Gesù rincara la dose: "Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore; e chi vuol essere il primo, sarà schiavo di tutti!"; non basta dichiarare l'uguaglianza assoluta tra gli uomini; per ‘regnare' in paradiso, è necessario servire qui in terra; come gli schiavi, i quali non godevano dei diritti civili, e che i loro signori e padroni potevano umiliare e anche uccidere, senza incorrere in alcuna sanzione penale. Le parole di Cristo ricevono autorevolezza dal suo vissuto personale, ancora più importante (il vissuto personale) e decisivo del suo rango di Figlio di Dio! Del resto, la lettera agli Ebrei parla chiaro: "Pur essendo figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza per tutti coloro che credono in Lui" (Eb 5): in altre parole, i dolori della passione furono necessari al Figlio di Dio, per raggiungere quella perfezione che evidentemente gli mancava. Con buona pace di chi canta "se non ti uccide fortifica!", la tesi del dolore che forgia la persona, perfezionandola, era già sostenuta dai Padri della Chiesa - II-V sec. -; e costituisce anche uno dei cavalli di battaglia di alcuni teologi contemporanei come Hans Urs von Balthasar. La lettera di san Paolo ai cristiani di Efeso (cap 2) ribadisce con altre parole lo stesso concetto: "(...)Apparso in forma umana, Gesù Cristo umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questa sua obbedienza, Dio lo ha esaltato, e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome.": noi sappiamo che quel ‘nome sopra ogni altro nome' è "Cristo". Ed ecco svelato il motivo del cosiddetto segreto messianico: quel curioso quanto impossibile divieto posto dallo stesso Gesù a coloro che confessavano pubblicamente che lui era il Cristo di Dio. Quel nome, Gesù se l'è guadagnato, lasciandosi arrestare, processare, torturare e infine crocifiggere. La croce funziona per Lui, così come per noi, come un faro: proietta all'indietro una luce e uno spessore di verità sulle sue parole, sui miracoli, sulle scelte di vita,... sull'intera vicenda del figlio di Maria. Tornando ai Boerghes, la loro convinzione di voler partecipare alla sorte del loro Signore e Maestro verrà confermata dallo stesso e dai fatti che, di lì a poco, sarebbero accaduti: Giacomo morì martire, intorno al 44 d.C. durante la prima grande persecuzione scatenata dai giudei a Gerusalemme; Giovanni morì in esilio a Efeso dopo il 100. E sì, gli Apostoli hanno fatto tutti una brutta fine! o, per dirla con le stesse parole di Paolo: hanno completato nel loro corpo ciò che ancora mancava dei patimenti di Cristo (cfr. Col 1,24)... sia chiaro: mancava a loro, non a Cristo: a Lui non manca più nulla! non c'è nessuna sofferenza umana che possa aggiungere qualcosa alla Passione di Gesù. Gli Apostoli sono diventati conformi al loro Signore nella morte, così come nella vita. Che, poi, avevano bevuto allo stesso calice, durante la cena di addio... Quella cena era, quella cena è il sacramento della fede! Significa che ciò che si compie durante la celebrazione, bisogna poi viverlo nella vita! Il sacramento è un impegno sottoscritto di proprio pugno! La forza dell'Eucaristia, quando viene vissuta sul serio, provoca ad una risposta, perturba il fluire dell'esistenza, sfida a vivere e a morire per Cristo, con Cristo e in Cristo! Tremano le vene ai polsi solo a parlarne!! a voi no?... |