Omelia (28-10-2018) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La fede e l'Incontro Quello che Gesù ci presenta è uno dei miracoli da lui compiuti nella sua vita pubblica, che viene descritto con una particolare semplicità e immediatezza allusiva e densa di significato. L'intervento miracoloso di Gesù, in questo caso, viene caratterizzato non soltanto dall'efficacia del suo risultato, cioè dalla guarigione risolutiva del soggetto che viene a trovarsi di fronte a lui, ma anche da una certa familiarità che Gesù instaura nell'incontro con questo malcapitato non vedente. C'è sulle prime un esordio alquanto imbarazzante, tipico di circostanze come queste, nel quale la gente si frappone fra Gesù e il povero cieco. Questi insiste nel voler attirare su di lui l'attenzione del Signore, ma essendo identificato fra i soliti importuni perditempo, viene rimproverato dalla folla. Subito dopo però è Gesù a chiamare (fa' chiamare) il pover'uomo che viene identificato con il nome di Baritmeo, in aramaico "Figlio di Timeo". Probabilmente Gesù aveva notato che in lui vi era una forte caratterizzazione della fede e della speranza, poiché aveva notato l'appellativo con cui Baritmeo lo chiamava: Figlio di Davide. Cioè discendente da Davide e della genealogia che conduce al Messia. Insomma lo aveva riconosciuto Messia e Salvatore universale. Allora perché non realizzare quell'incontro con il massimo della fiducia e della serenità? Perché darla vinta a coloro che avrebbero voluto che il povero cieco tacesse e non importunasse più Gesù e tutti gli astanti? Bisognava prendere atto della grande fede di Baritmeo, instaurare il colloquio fra colui che aveva fede e il Cristo autore e perfezionatore della fede medesima (Eb 12, 2). Fra colui che aveva accolto il dono di questa virtù esaltante, appunto la fede, e colui che ne era stato fautore e dispensatore. La fede è quindi la protagonista di questo evento, come di tanti altri narrati dai vangeli e dalle numerose pagine della Scrittura. "La tua fede ti ha salvato". Con queste parole di congedo Gesù afferma di non voler semplicemente compiere un atto di pietà e di compassione nei confronti di un povero malcapitato che ha incontrato quasi casualmente sul suo cammino, di non voler mostrare una benevolenza di compassione con la quale ci si mostra pazienti quanto basta per toglierci di torno una persona molesta. La fede è piuttosto l'elemento che merita all'uomo ora risanato di vivere intensamente un rapporto di confidenza con il Messia figlio di Davide che va ben oltre il solo elemento miracolistico; così pure la fede è la prerogativa per la quale Gesù si sente di dover mostrare ammirazione, sostegno, stima e familiarità con questo bisognoso suo interlocutore che a lui se è affidato senza riserve, non soltanto per ottenere una guarigione, ma per compiacersi del Messia della stirpe di Davide. La Scrittura poi ci illustra che la fede libera dalla cecità materiale ma anche dalla lacuna spirituale del non vedere, come indica del resto la Prima Lettura tratta dal libro di Geremia che nell'annunciare la futura liberazione del popolo d'Israele sottolinea anche l'affrancamento dal peccato, dal vizio e dalla presunzione e dal falso orgoglio che ottenebrano la vista rendendo visibile ciò che non dovremmo vedere. La fede, "fondamento delle cose che si vedono e prova di quelle che non si vedono" (Eb 11, 1 - 2) aiuta a guardare innanzitutto per poi vedere tutto nella luce rinnovata di una prospettiva di salvezza. Vedere oltre l'apparenza e scrutare a fondo ogni cosa, impegnare la vista considerevolmente secondo l'ottica della volontà del Signore differente dalle nostre aspettative è la prerogativa esaltante di questo dono affascinante che solo Dio può donare e che soltanto noi possiamo accettare. |