Omelia (28-10-2018) |
diac. Vito Calella |
Il cammino della fede dell'escluso Bartimeo sulla strada di Gesù Il racconto di guarigione del cieco Bartimeo diventa per noi oggi il racconto della testimonianza dell'esperienza di fede di chiunque voglia diventare veramente discepolo di Gesù. In quel "chiunque" mettiamoci tutti noi praticanti della Santa Messa domenicale, immedesimiamoci tutti in quella folla che seguiva Gesù e lo vedeva "fisicamente". In quella folla c'erano anche i dodici apostoli, i fedelissimi. Pur conoscendo Gesù da tanto tempo, pur stando a camminare dietro o a fianco di lui, c'è sempre da imparare dalla testimonianza di fede di chi invece è escluso dal gruppo. Oggi, custodendo nel cuore e nella nostra memoria la figura di Bartimeo, c'è da contemplare chi è tenuto al margine della strada, e porta nella sua carne segni di sofferenza, cecità, povertà, dipendenza dagli altri in tutto, mendicando un po' di cibo e di soldi dalla compassione di chi passa senza essere ostile ed escludente. In Bartimeo contempliamo la fede dei poveri e degli esclusi dalle nostre belle e comode relazioni di amicizia e fraternità. In Bartimeo c'è il lontano, l'ultimo, l'abbandonato a se stesso, il disturbatore delle nostre sicurezze. Ci scomoda il suo grido. Quella folla che «lo sgridava per farlo tacere» non è solo folla di un passato remoto. L'atteggiamento di quella folla, inclusi i dodici, è denuncia forte dell' indifferenza e del disagio che proviamo, oggi, verso chi incontriamo al margine delle strade della nostra vita quotidiana. Il Vangelo di Marco innanzitutto dà un nome a quel povero cieco, mendicante, gettato alla periferia della città di Gerico, e il suo nome, Bartimeo, è diventato famoso ormai da millenni. Ogni essere umano, per quanto povero e sofferente egli sia con la sua storia di dolore ed esclusione, ha la sua dignità di figlio amato del Padre, ha un nome, non è un "nessuno". Il Vangelo di Marco poi ci mostra come Gesù converte prima la folla con la fermezza e la dolcezza di una sola parola: «Chiamatelo». Dio, in Gesù, si rivela come Colui che si prende cura di tutti, non escludendo nessuno. L'incontro tra Gesù e Bartimeo richiede l'intervento di quella stessa folla che prima lo voleva mantenere escluso, imponendogli di tacere. I molti della folla cambiarono atteggiamento, si convertirono dall'indifferenza all'attenzione privilegiata, preferenziale. «Chiamarono il cieco dicendo: "Coraggio, alzati! Ti chiama!"». In questa sequenza di verbi, «abbi coraggio, alzati, ti chiama», contempliamo la nostra comunità cristiana in uscita, attenta al grido dei poveri, degli esclusi, dei lontani, dei sofferenti, degli emarginati, degli impuri. Perché queste nostre parole di conforto? Perché tra Gesù e il povero Bartimeo, tra Gesù e qualsiasi persona segnata dalla sofferenza, c'è una relazione profondissima, una relazione preferenziale. Il Gesù che incontriamo nell'Eucarestia, nelle nostre belle celebrazioni, non è lo stesso Gesù che si identifica in tutti i Bartimei della storia? L'accoglienza dei poveri, perché Gesù si identifica con loro e ci invita a non essere indifferenti, è il primo passo per vivere lo stupore di imparare da chi soffre, da chi è segnato dalla più profonda sofferenza ed esclusione, l'autentica esperienza della fede. Bartimeo è diventato famoso per sempre non solo perché, come povero cane, è stato accolto dalla folla, convertita da Gesù, ed è stato guarito dalla sua cecità nell'incontro con il «Figlio di Davide». È diventato famoso per la sua esperienza di fede che sorpassa anche quella dei dodici e di tutto il resto di gente che seguiva Gesù. In cosa consiste la fede di Bartimeo che lo ha salvato? Di quali ingredienti questa fede è impastata? Primo: la preghiera incessante fatta di «grido» della propria povertà, «grido» del riconoscimento di Gesù liberatore, Figlio di Davide, il Messia abbassatosi alla nostra condizione umana e «grido» della grandezza della misericordia di Dio, superando l'ostacolo di sentirsi giudicato dagli altri, dalla folla, dalla comunità dei "buoni" e dei "sani": «Cominciò a gridare: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!"». Potessimo essere veri con le nostre cecità /povertà/inconsistenze e gridarle in preghiera, senza maschere e senza paura di essere giudicati dagli altri, riconoscendo la grandezza di Gesù che ci può liberare e ci abbraccia con la potenza e la tenerezza dell'amore divino! Secondo: l'abbandono di ogni nostra sicurezza, per scegliere di stare soli di fronte all'unica certezza: Gesù salvatore: «Gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù». Potessimo svuotare il nostro cuore da tutto ciò che ci dà sicurezza per scegliere davvero Gesù come unico Signore della nostra vita. In quel mantello gettato, consideriamo tutte le nostre sicurezze che riempiono il nostro cuore e ci fanno stare seduti, distanti da Cristo. Terzo: mettersi in cammino verso Gerusalemme, dietro a Gesù. Avere fede ed essere salvati dalle nostre cecità è scegliere il cammino di Gesù che porta alla croce e alla risurrezione, come fece Bartimeo. Noi sappiamo solo che fece una scelta chiara: «Riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada», ed era la strada che conduceva a Gerusalemme, a quella prospettiva annunciata tre volte: la morte di croce e la risurrezione. Non sappiamo più nulla di lui. Ognuno di noi, come Bartimeo, vive l'esperienza più autentica della fede solo quando sperimenta, come Gesù, cosa vuol dire donare la vita passando per l'esigente prova di una gratuità senza ricompense immediate, ma sicure. La sicurezza di senso che ci viene dalla prova della croce è il Cristo risorto, contemplato nella Lettera agli Ebrei come il sommo sacerdote, onorato di questa gloria da Dio Padre, per l'offerta che ha saputo fare della sua vita come sacrificio per la nostra salvezza. |