Cecità della mente e freddezza del cuore
Il vangelo del cieco Bartimeo, figlio di Timeo, ci indica persone ben precise che hanno un problema grave.
Bartimeo figlio, cieco, e Timeo, padre, che deve affrontare il dramma del figlio disabile. Al tempo di Gesù non c'erano garanzie sociali ed economiche per i disabili, per cui Bartimeo, per poter sopravvivere deve mendicare lungo la strada. Quello che stava facendo esattamente mentre passava di lì Gesù, che lasciata Gerico era diretto verso altra località, che non è specificata nel testo.
Al seguito di Gesù c'era tanta gente, a conferma della popolarità che si era acquistata il Maestro con la sua missione e con il suo operare a favore degli ultimi e dei sofferenti. E' un sofferente quello che Egli incontra sulla strada, questo Bartimeo, che è cieco e chiede l'elemosina. Gesù, mosso dalla tenerezza del suo cuore, sentito quello che chiedeva il cieco, opera la guarigione e ridona vista e speranza a questo uomo infermo e disabile.
Nel racconto del brano evangelico di Marco ci sono alcuni importanti passaggi che vale la pena sottolineare nella nostra riflessione domenicale.
Il cieco si rivolge a Gesù con il nome ben conosciuto ed identificativo della discendenza regale e davidica, a conferma della divinità del Cristo: "Figlio di Davide, abbi pietà di me". E lo dice due volte con insistenza. E' la richiesta di una persona in necessità che si rivolge a chi certamente può fare molto o tutto. Quell'abbi pietà di me indica lo stretto rapporto che esisteva tra la malattia e il peccato. Tutti coloro che erano affetti da malanni erano considerati dei peccatori, puniti da Dio e condannati a tale condizione miserevole, compresa la cecità.
E' evidente che in questa richiesta di Bartimeo c'è il riconoscimento della propria colpa, dei propri peccati, sapendo che quella era la forma mentale acquisita mediante un insegnamento religioso che vedeva Dio che punisce mediante la malattia ed altre calamità. Un Dio vendicativo nei confronti del singolo e della comunità. Una visione chiaramente distorta che Gesù viene a correggere, venendo in questo mondo e facendosi servo per amore e venendo incontro alle necessità e povertà materiali e spirituali.
Lo comprendiamo perfettamente alla luce del dialogo che si instaura tra Gesù e Bartimeo, che viene convocato alla presenza del Maestro, mediante il coinvolgimento degli Apostoli, ai quali Gesù dice di chiamarlo, visto che gridava forte e la gente cercava di farlo zittire. E di fatto il cieco si presenta al cospetto di Gesù, faccia a faccia, a tu per tu, ed inizia un dialogo diretto, senza più mediazioni.
Quanto è bello ed importante parlare a tu a tu con Dio nella preghiera. E qui siamo in un contesto di preghiera di impetrazione e di richiesta di grazia. Infatti Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Poche parole, pochi gesti e il cieco, mediante la fede è guarito dalla sua cecità fisica e dalla cecità della mente e del cuore, al punto tale che si mise a seguire Gesù lungo la strada. In poche parole, diventa discepolo anche lui e lo fa con la gioia del cuore, come aveva fatto prima, nel momento in cui, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e andò da Gesù. Cosa che dovremmo fare sempre, quando le necessità di qualsiasi genere, soprattutto spirituali ed interiori, ci dovrebbero spingere nella giusta direzione, che è quella della Chiesa, della preghiera, della messa, della confessione e dell'abbandono fiducioso in Dio, del Padre Nostro.
Non sempre lo facciamo anche se la parola di Dio di questa Domenica ci invita a fare questo percorso di totale abbandono in Dio, come ascoltiamo nel brano della seconda lettura di questa XXX domenica del tempo ordinario, presentato come il vero ed eterno sacerdote, al quale rinvolgerci per ottenere grazia e misericordia: "Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo l'ordine di Melchìsedek".
Gesù non è il sacerdote debole e fragile come sono tutti i sacerdoti del mondo, scelti da Dio per una missione, ma il sacerdote vero ed eterno, perché Figlio eterno del Padre che nel mistero della morte e risurrezione ci salva con l'unico e definitivo sacrificio della sua vita sull'altare della Croce.
Ci ricorda, infatti, la Lettera agli Ebrei: "Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne".
La diversità tra i sacerdoti dell'Antico e Nuovo Testamento con Cristo sta nella natura stessa del sacerdozio, che è pienamente ed esclusivamente espresso nella persona di Cristo. Il servizio sacerdotale e la consacrazione sacerdotale, mediante il sacramento dell'Ordine, fa partecipare la persona ritenuta degna di questo mistero al sacerdozio di Cristo capo, in quanto c'è un sacerdozio comune che tutti i cristiani esercitano in ragione del sacramento del battesimo, mediante il quale siamo stati consacrati in Cristo Re, sacerdote e profeta. Quindi tutti sacerdoti in base al Battesimo e sacerdoti ministri, cioè scelti per uno specifico servizio nella Chiesa, che sono i presbiteri e i vescovi, nei quali c'è la pienezza del sacerdozio e dell'ordine sacro. Ministri quindi per servire e non servirsi di Cristo e della Chiesa, per offrire la propria vita e non sacrificare la vita degli altri. Ministri di misericordia e di perdono e non uomini di potere che in base alla consacrazione sacerdotale pensano di poterla cavare anche nascondo il male e lo scandalo.
Mi piace citare quando ha detto Papa Francesco a noi Passionisti, nell'incontro di lunedì 22 ottobre 2018: "Vi incoraggio ad essere ministri di guarigione spirituale e di riconciliazione, tanto necessarie nel mondo di oggi, segnato da antiche e nuove piaghe...La Chiesa ha bisogno di ministri che parlino con tenerezza, ascoltino senza condannare e accolgano con misericordia".
E' tempo di conversione e di rinnovamento per tutti nella Chiesa di Cristo, come ci ricorda la prima lettura di oggi tratta dal profeta Geremia che guarda ad Israele, fuori dalla condizione di esiliata, e in una situazione di gioia, rispetto a quella del pianto e del dolore per la patria lasciata perché deportati: "Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d'acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per Israele, Èfraim è il mio primogenito».
Dio non è vendicativo, Dio è amore, perdono e misericordia. Per Lui ogni essere umano va salvato e redento, anche se ha commesso i più gravi crimini della terra, purché si penta amaramente dei propri errori e rincominci una vita nuova nel Signore, come è stato per Bartimeo, il cieco che ha riavuto la vista da Gesù, ma soprattutto hai riavuto la gioia di vivere seguendo il Cristo, vera luce e speranza di ogni cuore pentito e contrito, aperto alla tenerezza e all'amore di Dio e dei fratelli.
Sia questa la nostra preghiera oggi, in questo giorno dedicato al Signore, fonte della speranza per ogni cristiano: "O Dio, luce ai ciechi e gioia ai tribolati, che nel tuo Figlio unigenito ci hai dato il sacerdote giusto e compassionevole verso coloro che gemono nell'oppressione e nel pianto, ascolta il grido della nostra preghiera: fa' che tutti gli uomini riconoscano in lui la tenerezza del tuo amore di Padre e si mettano in cammino verso di te. Carissimi, non c'è vero cammino di nessun tipo se non iniziamo a fare almeno i primi passi per incontrare Dio e incontrare gli altri. Chi si ferma, dice un antico e noto proverbio, è perduto. Chi cammina ha speranza di raggiungere primo o poi la meta sperata, soprattutto se riguarda l'eternità. Camminare per santificarsi e santificare.
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