Omelia (28-10-2018) |
don Mario Simula |
Il segreto del mantello La speranza che il profeta Geremia canta per il popolo è preziosa come l'aria, come una pioggia che ristora, come un urlo che si libera. Vogliamo sentire il canto anche oggi. Lo invoca ogni nazione, ogni frammento di umanità che ha perso dignità e parola. Noi, come Israele, camminiamo nel pianto, portando la semente da gettare. Il sudore, la fatica, la stessa dolorosa constatazione dei nostri limiti, la presa di coscienza delle nostre divisioni e dei nostri antagonismi sono le nostre lacrime abbondanti. Siamo sofferenti e profughi. Strisce umane infinite, spinte dalla disperazione e dalla fiducia. Dio viene: "Dice il Signore". Lo dice proprio Lui. E' Dio che si piega sulla nostra esistenza. Non possiamo dubitare. E' Parola sua e la sua Parola è affidabile. E' Parola per noi: "Erano partiti nel pianto, li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d'acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per Israele, Èfraim è il mio primogenito». Forse ci manca la consapevolezza dell'amore del Signore. Guardiamo pure piangendo la nostra vita con tutte le sue ferite. Guardiamo le nostre comunità con tutte le loro lentezze. Guardiamo il mondo con le sue contraddizioni. Non dimentichiamo: dice il Signore: "Io li riporterò, perché mi stanno a cuore. Io sono un padre per loro. Essi sono il figlio primogenito. Sì, li riporterò tra le consolazioni". Da molto tempo non sperimentiamo le consolazioni del Signore. Ci accontentiamo di compiacerci tra di noi e di dire ciò che sappiamo fare; diciamo anche, illudendoci, che tutto va bene. Ma non cogliamo le consolazioni del Signore, che potrebbero incoraggiarci e farci incontrare, lungo il sentiero della medesima prova, accompagnati da un Padre che ci offre i fiumi ricchi d'acqua e che ci conduce per una strada dritta, prendendoci per mano come figli. Immaginate: trovare le consolazioni di Dio e raccontarcele e rimanerne stupiti e capire che le dona a noi ma anche a coloro che guardiamo con sospetto o con paura. Il Padre dice al figlio: "Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell'andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni" (Salmo 125). La Lettera agli Ebrei ci conferma in questa fiducia. Ricorda alla nostra piccola fede che Gesù è il Sommo Sacerdote immolato, "in grado di sentire giusta compassione" perché anche Lui "è rivestito di debolezza". Con Gesù troviamo il sentiero per un cammino comune fatto di qualità divine: patire insieme all'uomo, ai fratelli, al mondo che ci stanno accanto. Fianco a fianco, incoraggiati nella notte e solidali durante il giorno. Il racconto di Bartimeo è la visualizzazione esistenziale della compassione e della consolazione. Bartimeo è cieco. Si accontenta, ormai da anni, di un po' di spiccioli o di un tozzo di pane. La sua casa è il ciglio della strada assieme al mantello col quale sopravvive ai rigori della notte e alle arsure del giorno. Sta per accadergli l'imprevisto di Dio. Sente che sta passando Gesù: l'opportunità della sua vita. Non gli rimane che gridare a tutta voce: "Gesù Figlio di Davide, abbi pietà di me!". Misteriosa, umile e accorata professione di fede che sfugge alle persone del corteo, anzi le infastidisce. Esse desiderano il silenzio per ascoltare il Maestro. Per Bartimeo esiste il bisogno e, adesso, anche la speranza concreta di essere accolto dal Signore. E urla più forte: "Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!". Anch'io grido al cielo e alla terra: "Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!". Gesù si ferma: ha tutto il tempo per quella supplica. Anzi blocca il tempo assieme ai suoi passi, per accogliere quella supplica. Fa' chiamare quell'uomo sempre inascoltato. Il "tempo perso" da Gesù mi affascina e mi confonde. Come è diverso "il suo stare" "dal mio fare"! Proprio quelli che lo volevano zittire chiamano il cieco e diventano annunciatori della misericordia: "Coraggio! Alzati, ti chiama!". Anche gli impazienti sono contagiati dalla compassione del Maestro e diventano portavoce del suo amore. Avviene l'imprevedibile. Marco lo descrive con una sequenza asciutta di tre verbi. Getta via il mantello, balza in piedi, va da Gesù. E' narrata una risposta generosa e pronta alla sequela. Gettare via il mantello. Quel mantello racchiude il segreto di ogni discepolo: lasciare tutto tetto, protezione, letto, sopravvivenza e incamminarsi. Balzare in piedi. E' l'entusiasmo di chi si libera da ogni orpello per ascoltare soltanto il Signore. Da vicino. Andare dal Signore. Cos'altro è se non seguirlo. Gesù parla al cieco faccia a faccia. Non gli manda l'SMS. Il bigliettino. La telefonata. Il segretario. Gesù ama i volti, ama le voci, ama le parole dirette. Ama il linguaggio più umano: "Cosa vuoi che io faccia per te?". Non è scritto: "Che mi lasci un appunto. Dillo al mio segretario!". E' possibile chiedere, quindi. "Rabbunì, che io veda di nuovo!". I miei occhi sono stati aperti nel battesimo, in ogni riconciliazione sacramentale, in ogni ascolto della Parola. Poi si sono oscurati. "Che io veda di nuovo!". Questa preghiera è urgente. Dobbiamo farla tutti, senza eccezione. L'eccezione sarebbe un'ipocrisia: autosufficienza presuntuosa. E Dio non la ama. Gridiamo come Bartimeo. La parola del Signore ci invaderà, come olio profumato: "Va', la tua fede ti ha salvato". Ancora una volta la fede che salva e rinnova e ristabilisce legami e disponibilità. Difatti "subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada". Dal ciglio alla strada, dai margini al cuore. Gesù, Dio della strada dove si annidano le sofferenze, i peccati oscuri, gli sfruttamenti più disumani, la mia stessa persona stanca, guardami Tu che hai gli occhi penetranti dell'amore. Gesù, Dio delle periferie umane, segnate dalla violenza, dal degrado, dalla disattenzione di tutti. Dio della mia periferia, quella che ho scelto come rifugio e nascondimento, punta i tuoi occhi su ogni dettaglio della mia vita e riabilitala all'esistenza. Gesù, Dio dei pellegrinaggi dolorosi e sconcertanti, disegnati lungo fiumi di lacrime in ogni parte del mondo, entra nella mia casa di cartone. Contempla, senza girare la faccia, la mia e la nostra sozzura; gusta l'amaro del nostro pianto; asciuga il nostro e mio dolore. Gesù, Dio della mia cecità, chiamami. Hai visto quanto è alta e implorante la mia voce. Fastidiosa per molti. Armoniosa per il tuo cuore di uomo. Gesù, Dio dei mantelli logori per la pioggia e il sole, dammi la forza di una povertà gioiosa, vissuta per amore, perché possa seguirti, libero e felice. Gesù, Dio che non elargisci spiccioli per mettere il bavaglio alla coscienza, dammi la sovrabbondanza di Te stesso: gli occhi tuoi, le tue mani, il tuo orecchio, il tuo gusto, il profumo delle tue narici. Gesù dammi Gesù. La ricchezza che mi appaga. La ricchezza che mi consola. La ricchezza che mi avvolge come un abbraccio. |