Omelia (01-11-2018) |
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Commento su Matteo 5,1-12 COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura delle Clarisse di Via Vitellia Solennità di tutti i Santi La solennità di Tutti i Santi è legata al vangelo delle beatitudini. Ogni anno, in questo giorno, sentiamo proclamare le parole con cui Gesù, nel vangelo secondo Matteo, comincia il suo primo grande discorso. Santi e beatitudini: un connubio che suggerisce di chiedere ai Santi di farci entrare nel testo delle beatitudini evangeliche per accoglierle come parola che illumina di speranza il cammino che siamo chiamati a percorrere insieme, sulle orme di Colui che desidera che la sua gioia sia in noi e nostra gioia sia piena (cfr. Gv 15,11). Si potrebbe immaginare di addentrarci, con il vangelo in mano, nella grande piazza che sta davanti alla Basilica di San Pietro, a Roma. Attratti nel colonnato del Bernini, che accoglie solennemente i pellegrini con i loro lunghi cammini di fede verso la tomba dell'apostolo Pietro, ci scopriremmo avvolti in un abbraccio di santità: se alziamo lo sguardo, vediamo su ogni colonna la figura di un santo o di una santa. Statue di marmo che fermano l'immagine caratteristica di ciascuno, l'immagine particolare con cui ognuno di quei santi ha espresso un aspetto, un colore, una sfaccettatura della santità di Dio. La santità è infatti la bellezza di Dio che si effonde, e i santi non fanno che rifletterne di volta in volta un raggio, così come ciascuno di noi è chiamato alla santità secondo la propria fisionomia particolare. Lo Spirito, autore di ogni cammino di conformazione a Gesù e quindi artista di tanta abbondanza di santità, verrebbe sicuramente ad aprire i nostri occhi per dischiudere davanti a noi, alla vista di ogni statua, altrettante esistenze di uomini e donne che in epoche, luoghi, culture, condizioni personali e sociali differenti hanno seguito Gesù e vissuto il vangelo delle beatitudini. La piazza si animerebbe allora di innumerevoli scenari di vita che hanno costituito per ciascuno il luogo dell'incontro con Gesù e della storia d'amore con lui: l'unica stanza di una numerosa famiglia povera, la vedovanza di una donna nobile, un ospedale colmo di dolore, la silenziosa ricerca di Dio in una abbazia, eremi nascosti tra boschi e montagne, strade di città popolate di bambini abbandonati a se stessi, la cattedra di una prestigiosa università, la fatiscente scuola di un quartiere malfamato, terre lontane, nascondigli bui in mezzo all'infuriare della persecuzione... non manca alcuna situazione esistenziale, al punto che tra tutte quelle scene di vita possiamo riconoscere in sostanza la nostra quotidianità, quella che si muove accanto a noi, nei volti e nelle storie del nostro tempo. I Santi, uomini e donne immersi fino in fondo in questa nostra vita, vengono dunque a dirci anzitutto che quel vangelo che abbiamo tra le mani non ha confini oltre i quali non possa essere vissuto, non ha porte che non possa varcare con la propria luce. Essi per primi sono stati sorpresi dalla parola del vangelo e per il resto della loro vita non hanno fatto altro che portarla ad altri, impressa dallo Spirito nella loro carne. I santi ci narrano con le loro innumerevoli storie la portata universale del Vangelo, il suo rivolgersi a ciascuno di noi, ovunque siamo e comunque stiamo; esso è infatti la buona notizia di Gesù Crocifisso e Risorto rivolta alla nostra vita bisognosa di luce, di amore, di un senso per tutta la fatica e il dolore che vi si incontrano, bisognosa di salvezza, di felicità, di beatitudine. I santi ci insegnano a confidare fino in fondo nella forza risanatrice della Pasqua del Signore e, riproponendo con la loro vita in mille modi diversi la pagina delle beatitudini, ci incoraggiano a scoprire la via di una gioia possibile a tutti e sempre. I confini della nostra felicità, quella che noi cerchiamo, sono infatti ben delimitati e piuttosto fragili. Sono i momenti belli in cui ci sembra che la vita sia al riparo di qualsiasi ombra. Invece le beatitudini che oggi rileggiamo sul volto dei santi dilatano la luce su orizzonti nuovi. Basta lasciarsi incuriosire dalla vita di ciascuno per vedere trame quotidiane talvolta anche molto oscure intrecciarsi con fili di luce a formare tessuti preziosi e colorati. La beatitudine vera, che merita di essere al primo posto nei discorsi di Gesù, è quella che viene scoperta e ricevuta in situazioni in cui il cuore umano, lasciato a se stesso, si intristisce, si chiude, si incattivisce, sprofonda nella sua impotenza. Ce lo dice San Francesco rappresentato sulla destra del colonnato mentre stringe un crocifisso tra le braccia. La bellezza della sua santità, capace di parlare a tutti, coincide con la più profonda umanità, forgiata a partire dall'incontro con Gesù in un crocifisso del suo tempo: un lebbroso. Il lebbroso gli è ripugnante e vorrebbe evitarlo come al solito, invece gli si fa incontro come amico e fratello, scoprendo dentro di sé un amore nuovo che lo spinge a mettere sulla mano deforme non più soltanto del denaro, ma anche un bacio. Di quel cambiamento interiore Francesco scriverà sul finire della vita: «ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo», in beatitudine. Nel seguire Gesù, povero e crocifisso, il cuore si dilata, il confine della ripugnanza verso l'altrui e propria fragilità si trasforma in varco aperto sull'esperienza pacificante della misericordia: «beati i misericordiosi perché troveranno misericordia»! A poca distanza dal Poverello di Assisi, c'è l'immagine di Sant'Ignazio di Loyola, che Papa Francesco addita, nella Gaudete et exsultate, come uomo della povertà di spirito intesa come libertà interiore (n.69): con lui impariamo la via della "santa indifferenza", che è mitezza nell'accogliere la vita così come si presenta - e per Ignazio fu molto diversa dai progetti e dai sogni coltivati -, con l'arte del discernimento spirituale che introduce nella terra della pace e nella consolazione. «Beati i miti, perché avranno in eredità la terra»! Potremmo interrogare anche Santa Chiara (sempre sulla destra del colonnato) e la sua esperienza contemplativa condivisa in una vita fraterna sulle orme del Cristo Povero, e ancora: il canto della martire Cecilia, il sorriso di Filippo Neri... E poi i santi che incontriamo dentro la Basilica, lungo le navate, fino ai quattro a cui sono dedicati i grandi pilastri che sostengono la cupola: Longino, Andrea fratello di Simon Pietro, la Veronica e la regina Elena. Ognuno testimonia che il profumo delle beatitudini sboccia lungo il sentiero stretto che Gesù ha percorso e percorre con noi; ognuno dice che la prima beatitudine è stare su quel sentiero con Gesù. Tutti insieme poi additano il cuore da cui sgorga la possibilità di accogliere e di vivere le beatitudini: la grazia dello Spirito che ci fa confessare la fede in Cristo Gesù nostro Signore. Di questo ci parla san Pietro una volta arrivati al baldacchino del Bernini che corona da ultimo l'altare della confessione, eretto sul luogo della sepoltura del principe degli apostoli. Lì, sotto il chiarore della luce filtrata dall'alto della cupola, possiamo celebrare la meta del pellegrinaggio, ma soprattutto la fede pasquale a cui si alimenta la nostra vita cristiana. Pietro proclama per primo questa fede a Cesarea di Filippo (Mt 16,15-16), davanti alla domanda di Gesù in un momento cruciale del cammino: «Ma voi, chi dite che io sia?». La risposta: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», per la quale Gesù non è più soltanto un maestro o un profeta, ma l'Emmanuele, il Dio con noi, dona a Pietro una garanzia di beatitudine: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né sangue né carne te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». Non importa che quella di Pietro sia una fede ancora acerba, che dovrà fare i conti con la fragilità e i momenti di incomprensione. Gesù dona le beatitudini all'inizio del cammino perché non sono un premio finale. Sono un dono che inaugura un cammino di fiducia dietro a Lui. Lungo la via il discepolo vede che l'incontro con Gesù è beatitudine per i piccoli e i poveri, per i malati e gli indemoniati, per i meno amati e i meno amabili, come i pubblicani. Camminando dietro a Gesù, il discepolo si accorge di dover fare i conti con una propria illusione di felicità cercata nei primi posti o nei magazzini pieni e viene richiamato sempre più ad una fondamentale dimensione fraterna delle beatitudini. L'ultima beatitudine del vangelo di Matteo è riservata all'immagine di un servo che si prende cura di nutrire gli altri domestici: «Beato quel servo che il padrone, tornando, troverà ad agire così» (Mt 24,46)! La via delle beatitudini guarisce il cuore e le relazioni e porta alla gioia di vivere come Gesù, venuto «per servire e dare la propria vita» (Mt 20,28). San Pietro non tralascia di ricordarci che il cammino è segnato dalla fragilità e non si vergogna di farci rileggere la pagina del vangelo in cui si narra il suo rinnegamento di fronte a un Gesù fragile, che si è lasciato arrestare (Mt 26,75). Il pianto amaro che ne è seguito non fa' che esprimere la consapevolezza e la nostalgia di una beatitudine possibile solo nel restare con fiducia accanto a Gesù, fino in fondo. San Pietro ci riporta alla grazia di quelle lacrime versate per una fedeltà perduta nella paura e ci testimonia la beatitudine di una misericordia che Dio rinnova sempre. Il fallimento sperimentato a Gerusalemme nella sera fredda del rinnegamento, ha rilanciato un cammino capace di dire finalmente la propria appartenenza a Gesù fino al martirio, consumatosi a Roma durante la persecuzione dei cristiani: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né sangue né carne te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». Non si può che uscire dalla Basilica con la speranza e la fiducia nel cuore. La santità non è fondamentalmente questione di eroismo, ma di amore che si lascia conquistare dal Dio misericordioso e paziente. Nemmeno le cadute più dolorose lungo la via mutano la fedeltà di Dio, se vogliamo rialzarci. La nostra idea di santità dunque si allarga e abbraccia ogni fratello e sorella che vive la sua pasqua quotidiana con Gesù, cercando di incarnare la parola buona del vangelo. Papa Francesco nella Gaudete et exsultate parla dei santi «della porta accanto, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio». Le statue dei Santi che di nuovo incontriamo nella grande piazza del colonnato, ritornando alla nostra vita quotidiana, sembrano essersi moltiplicate: hanno fatto posto agli innumerevoli santi - a Tutti i Santi! - di cui solo Dio ha conosciuto la santità. Non mancano volti di persone che abbiamo incontrato nella nostra vita e che ci hanno testimoniato e trasmesso il vangelo in silenzio, in situazioni talvolta impossibili, non da eroi ma da poveri in spirito, miti, misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace... Anche sotto il colonnato sta certamente muovendosi qualche cristiano autentico, qualche santo della porta accanto che vive le beatitudini evangeliche in punta di piedi, senza notorietà. Forse anche noi possiamo pensarci in un cammino di santità sulle orme di Gesù «vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno» (Gaudete et exsultate n. 14). La pagina delle beatitudini ci ricorderà sempre che il cammino cristiano ha il sapore della gioia e trova la sua pienezza nella partecipazione alla Pasqua di morte e risurrezione di Gesù. La strada la si fa sempre in comunione con i santi del cielo e della terra. |