Omelia (04-11-2018)
don Luciano Cantini
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Uno degli scribi

Gli Scribi o dottori della legge, erano laici esperti della Scrittura. Avevano la cultura e l'autorità di interpretarla, di spiegarne i precetti e di trascrivere i testi biblici. Gli scribi predicavano nelle sinagoghe, insegnavano nelle scuole della Legge e erano la guida morale per il popolo, specialmente quando i sacerdoti avevano privilegiato il servizio del culto rispetto all'insegnamento.

Uno scriba aveva ascoltato la discussione di Gesù con i sadducei a proposito della resurrezione dei morti (cf. Mc 12,18-27) e gli si avvicina per fare una domanda, è un incontro testa a testa, non c'è rivalità ma la ricerca comune della verità e il reciproco rispetto anche se su piani diversi.


Qual è il primo di tutti i comandamenti?

Era usuale cercare di stabilire un nesso e le priorità tra i 613 precetti contenuti nella Torah, forse più sul piano accademico e teorico che su quello pratico e coinvolgente la vita.

Anche noi abbiamo perso la gerarchia delle verità se non la verità stessa, condizionati da un soggettivismo assoluto tale da essere il metro di ogni aspetto della vita, ma anche delle contraddizioni tra un lato e un altro della stessa realtà.

Ciò che diversifica la domanda dello scriba è la ricerca dell'assoluto: il primo di tutti (pròte pànton)... il principio fondante della fede disperso tra la multiformità dei pensieri, la diversità delle teorie, la complessità delle esperienze.

La risposta di Gesù coniuga due versetti della Scrittura (Dt 6,4-5 e Lv 19,18) tenuti insieme dallo stesso verbo «amare» (agapào). L'amare è fondamento di tutta la Legge, segna la relazione tra Dio e l'uomo, tra l'Altro e il prossimo. Gesù non aggiunge un comandamento all'altro, non somma le due espressioni ma le incastra tra di loro rendendole interdipendenti, l'una significa l'altra, l'altra valorizza la prima: "Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1 Gv 4,20).

Ciò che viene chiesto è un impegno reale, concreto e attivo, non ci si perda nei meandri dei sentimenti e delle emozioni, l'amore è fattivo la cui misura è il distante che mi diventa prossimo, il diverso che diventa simile, è l'altro (immagine del "totalmente Altro" che è Dio) che non mi è più straniero.

Amarsi è il problema fondamentale dell'umanità. Affrettiamoci ad amare, non ci rimane moto tempo: amiamo sempre troppo poco e troppo tardi, perché al tramonto della vita saremo giudicati sull'amore. (R. Benigni)


Ascolta, Israele!

Questa duplice relazione d'amore trova la sua origine dall'ascolto; il primo e sostanziale comando è Ascolta Israele (shema' Jisrael): un ascolto profondo che fa mettere il cuore dell'uomo accanto al cuore di Dio. Non è questione di udire, ma di permettere che la Parola scuota tutto il nostro essere: a me fu recata furtiva una parola e il mio orecchio ne percepì il lieve sussurro [...] terrore mi prese e spavento, e tutte le ossa mi fece tremare, un vento mi passò sulla faccia e sulla pelle mi si drizzarono i peli (Gb 4,12-15).

Ascoltare cambia, si riflette nel comportamento, crea legami, fedeltà reciproca, compromette la vita, non lascia indifferenti.

L'ascolto di Dio e della sua Parola è memoria di Dio che per primo si è messo in ascolto: "ho udito il suo grido (del popolo), conosco le sue sofferenze" (Es 3,7) e risposta alla sua azione: Sono sceso per liberarlo (Es 3,8).

Ascoltare l'altro è via per non dimenticare che anche tu sei stato ascoltato e liberato, che in qualche modo - se ora stai ascoltando e prendendoti cura di un fratello - è perché qualche fratello prima si è preso cura di te. Chi è ascoltato potrà a sua volta ascoltare, chi sarà stato ricordato, come Israele dal suo Dio, potrà a sua volta ricordare il fratello, facendosene carico, ospitandolo nello spazio del cuore (Caritas di Caserta, Lectio su Dt).